Nel suo discorso di insediamento il presidente Mattarella ha utilizzato per 18 volte la parola dignità, in pratica l’ha declinata in tutte le sue definizioni. Lo si scopre facendo la più semplice delle operazioni, digitando dignità sulla barra delle ricerche di Google. Si viene proiettati in un mare infinito a riprova sia dell’interesse che ha suscitato il discorso sia della curiosità di conoscere meglio una parola che negli ultimi tempi era caduta quasi in disuso e che è tornata alla ribalta col Presidente e di recente quale titolo di un decreto governativo di aiuti per i guasti della pandemia.
Ma che cosa significa davvero dignità? Scorrendo i vari siti si scopre che quasi tutti concordano nel farne risalire l’etimo alla parola greca axios che significa degno e soprattutto assioma, cioè ciò che è talmente evidente (come ci insegnano matematica e filosofia) che non ha bisogno di essere dimostrato. Un valore intrinseco ed umile che scaturisce dall’essere umani, uno status ontologico che non dipende da alcuna scelta, azione, da nessun’altra qualità. La dignità è l’intima, indimostrabile nobiltà dell’uomo, l’intima, indimostrabile nobiltà di ogni essere (animale, pianta, roccia), pilastro postulato su cui si fonda l’intera costruzione del formidabile castello dei diritti civili, della vita civile, della cultura civile. Di ciò che noi definiamo civiltà.
Da qui nei secoli pensatori e filosofi (Kant soprattutto) si sono arrampicati nel terribile sentiero che dovrebbe portare a meglio definirla per giungere poi più o meno tutti ad identificarla come il rispetto e la stima che tutti gli esseri umani meritano ed è affermata da coloro che possiedono un livello irreprensibile di qualità umana . In questa accezione è stata recepita anche nel preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che parla della “dignità intrinseca (…) di tutti i membri della famiglia umana“, e quindi afferma nel suo articolo 1 che “tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignità e diritti“.
Fermiamoci qui senza addentrarci in discussioni e ricerche che ci porterebbero molto lontano come ad esempio l’utilizzo di dignità per indicare cariche ricche di responsabilità e onori.
Ma a me a ha colpito soprattutto l’uso che ne ha fatto Matterella di rispetto e vicinanza umana per le minoranze più svantaggiate ed emarginate. Un significato nuovo e che illumina uno dei tratti della personalità di Mattarella che più lo rende stimato e rispettato.
Inoltre in tempi in cui la pandemia ci obbliga ad usare per meglio definirla un linguaggio a metà fra l’italiano e l’inglese, la riscoperta di una bellissima e antica parola italiana non può che essere un bel segnale. Non a caso lo stesso Mattarella ne è stato cosciente nel suo saluto alle comunità italiane all’estero delle quali ha sottolineato il compito e l’impegno a diffondere la cultura italiana e quindi la sua lingua.
E allora impegniamoci fin da subito, per non deludere Mattarella, ad usare invece di booster la parola richiamo, che non sarà nobile come dignità, ma almeno ci fa capire subito quello di cui parliamo.