Non dobbiamo perderci di vista. L’analisi del voto verrà in seguito, ora bisogna evitare la smobilitazione dei nostri (e riprovare a mobilitare coloro che non siamo riusciti a far uscire di casa). Da subito. “A come rivoluzione” era il possibile retropalco del comizio finale del nostro Emidio Nardini, ma alla fine è stata scelta l’alternativa un po’ più moderata: “A come insieme” (la sconfitta era nell’aria?). Eppure, è una rivoluzione quella che abbiamo fatto, nonostante il risultato non sia stato affatto quello per cui ci siamo battuti. Viene ora il difficile, continuarla!
La rivoluzione è stata, innanzitutto, l’aver riunito dopo tanti tentativi falliti tutte le opposizioni al centrodestra ascolano, che governa ininterrottamente da 25 anni. L’abbiamo fatto tardi, l’abbiamo fatto male. Abbiamo perso tanto tempo a fare una sintesi delle varie istanze e anche proprio a fidarci l’uno dell’altro. In ultimo, anche cercando di tener dentro un centro politico che aveva ben altre mire. Abbiamo perso tempo per scegliere chi avrebbe potuto guidarci nella battaglia. Ma ce l’abbiamo fatta. Mimmo ci ha riflettuto un po’, proposto inizialmente da Pietro Frenquellucci – suo ex avversario del PD alle scorse elezioni – per rompere l’impasse: alla fine, ha accettato. Una persona straordinaria, di valore e di valori. Di un’umanità rara e di grande umiltà ed empatia. Ma la sua caratteristica più utile per noi, stavolta, è stata la generosità: il tour de force di una campagna elettorale non è affatto semplice. Altri nomi, rimasti coperti, sono stati sondati (come sempre in questi casi) e non si sono voluti imbarcare in una sfida in cui c’era molto da perdere, a livello individuale (ma tanto da guadagnare a livello collettivo, soprattutto per il futuro). La prossima volta, certamente, i nomi dovranno essere pronti per tempo e inseriti all’interno di un processo organico e costruito sul lungo periodo. Essere i portavoce credibili di un progetto radicato e noto alla città.
Ancora più rivoluzionario, però, è stato riuscire a mobilitare un pezzo della città. Una parte della città ci ha creduto che qualcosa di diverso fosse finalmente possibile. Nonostante un contesto anestetizzato, ebbro di successi di carta in una città paurosamente declinante. Non un voto “contro”, ma un voto “per”. Innanzitutto, un voto per un metodo diverso, ovvero la partecipazione. Finirla con gli uomini (proprio nel senso di maschi) soli al comando. Un programma scritto dal basso, una campagna di ascolto, un confronto continuo in mezzo alla gente. Tradotto in uno slogan davvero felice, al punto da produrre un maldestro tentativo di appropriarsene da parte dell’avversario: NON IO, MA NOI.
E qui un grazie a chi ha ideato la campagna. Un professionista di livello, ma che ha avuto a disposizione zero soldi e zero strutture per contrastare la corazzata avversaria (che ha comunque fatto parecchia acqua). Evviva il pensiero laterale (e l’arancione di .A).
Gli ammazzacaffè di Mimmo. Gli incontri al mercato e nelle piazze. Le discussioni con gli amici e i parenti. Con gli sconosciuti per strada. La nostra gioiosa e libera piazza finale (nonostante le falle organizzative: piccolo esempio, distribuire porchetta senza altre alternative). Aver riportato una parte dei nostri concittadini a parlare, a discutere, a pensare. A riappropriarsi della città. Penso anche al momento dei convegni partecipativi (agricoltura, area ex Carbon, ecc.), innovativi nell’approccio ed essenziali per confrontarsi insieme, ma partendo dalla conoscenza di argomenti e prospettive. Non per tifoserie.
Cosa è mancato?
Un dato balzava all’occhio, mancavano i giovani. E per giovani non intendo semplicemente gli adolescenti, ma gli under 35 ma anche under 40. Dov’erano? Di certo la nostra città ne perde una buona quantità ogni anno, e chiunque se ne rende conto girando per la città, ma anche i pochi che c’erano, dov’erano finiti? Non siamo stati capaci di coinvolgerli. Non siamo stati capaci di parlare a chi va a scuola. Che ancora per poco non ha il diritto di voto, ma ha nonni, nonne, padri, madri, fratelli, sorelle, amici. Persone magari disinteressate o disilluse che avrebbero aiutato a mobilitare. Ci vogliono iniziative fatte diversamente, una comunicazione con un linguaggio diverso. Bisogna lavorare per tempo, e non per accattivarsi simpatie, ma per capire i bisogni e darne una traduzione politica, costruendola insieme a loro. Dare una mano a loro iniziative, quando serve. Creare un collegamento permanente con quelle generazioni. Si può fare? Sì, ma il personale politico deve essere svecchiato. Così, non può più funzionare. Il futuro della città deve essere scritto sempre di più da chi lo avrà in mano anagraficamente.
E le vecchie modalità. I grandi vecchi. Le vecchie sigle… Se non possono sparire, almeno facciano un passo indietro. Deciso. Noi siamo una comunità inclusiva, dove c’è spazio per tutti quelli che ci stanno per davvero. Ma ora dobbiamo lavorare realmente in comune. Non per carriere, per contropartite, non per altri fini. E dimostrarlo alla città.
Tanti mi dicevano: “Voto te perché ti conosco e so il tuo valore. Ma anche perché basta, ci vogliono giovani in questa città!”. Come si dicevano una volta, mi sono candidato per spirito di servizio. Tanti, troppi declinavano. È facile salire sul carro del vincitore, meno su quello del probabile perdente. Ma noi ci abbiamo creduto fino in fondo. Nonostante io stia ancora adesso preparando un concorso. Nonostante abbia appena superato un’abilitazione, oltre a quella che già avevo. Nonostante la scrittura. Nonostante il complesso lavoro a scuola di quest’anno, in particolare. A volte ciò che è semplice, ciò che ci conviene individualmente, non è per forza ciò che è giusto. È stata una scelta etica, come ha detto anche Mimmo. Una campagna a costo zero, di pochi video e post sui social autoprodotti in modo sfacciatamente artigianale e veloce. Un po’ di passaparola casuale. Nient’altro. Eppure, non mi lamento. Sono qui per proseguire la battaglia.
[Ma gli altri leader nazionali dov’erano?]
Un ragazzo con cui ho parlato ieri, dopo aver votato, mi ha detto: “Questa era la prima volta che votavo. Ero emozionato. Mi sentivo come se il mondo aspettasse il mio voto per andare avanti. Sembrerà stupido…”. E invece no, è importante coltivare quel brivido. Il brivido del mestiere del cittadino, per citare il grande classico di Claude Nicolet sulla Repubblica romana. Cittadini si è tutti. Ogni giorno. In ogni piccola scelta di vita quotidiana. E certamente il voto ha un posto speciale, ma così deve averlo tutto ciò che ci porta fino a lì (assemblee, dibattiti, manifestazioni, ecc.). Capire l’importanza del nostro contributo. Nel mio piccolo è stato interessante essere fermato per strada (o attraverso i social), essere riconosciuto e riconoscibile. Non per vanità, ma per il ruolo nell’aiuto a risolvere problemi. A parlarne. L’ascolto è fondamentale.
Un appello.
Adesso voglio rilanciare. Un post della bellissima pagina satirica “Comiche picene” mi dà il là. A cui sono seguite altre conversazioni con cari amici.
Costruiamo insieme un nuovo network informativo per la città. Per fare inchiesta dal basso, per approfondire. Un mezzo informativo cittadino, un po’ corsaro e presente coi linguaggi giusti su tutti i social. Costruiamo una comunità informata e partecipativa. Che è presente online e offline. Incontri, dibattiti, convegni, presentazioni di libri e riviste. Facciamo rete con le poche associazioni e i pochi centri culturali che ci sono vicini. Scriviamo, consigliamo, critichiamo, finanziamo (per quanto possiamo). Riteniamoci co-proprietari (e quindi co-responsabili) di una fonte di informazione libera da ogni condizionamento. Ripartiamo insieme, chi ci sta?