Grottammare, Fascismo immaginario: come la destra ha riscritto la storia

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L’egemonia culturale della destra dalla caduta del fascismo a oggi“. Questo il titolo, più che mai attuale, dell’incontro svoltosi qualche mese fa nel contesto della rassegna comunale “I conti con la storia” a Grottammare. La presentazione del libro “Fascismo immaginario. Riscrivere il passato a destra” di Andrea Martini ha attirato un pubblico numeroso e attento, nonostante il caldo estivo nel suggestivo scenario del belvedere del Paese Alto, affacciato sul mare.  
Martini, con il suo saggio, ci ha guidato in un viaggio attraverso le strategie con cui il fascismo, pur sconfitto militarmente e politicamente nel 1945, è riuscito a ri-legittimarsi culturalmente e a rientrare nel dibattito pubblico. La tesi centrale del libro è chiara: i fascisti non furono messi a tacere, ma riuscirono a inserirsi nei circuiti editoriali e giornalistici, costruendo una narrazione che li vedeva come “esuli in patria”, vittime di una giustizia sommaria e di un’epurazione che, a loro dire, li aveva esclusi ingiustamente dalla vita pubblica.

Attraverso libri e rotocalchi, hanno proposto un’immagine edulcorata del Ventennio e della Repubblica Sociale Italiana. Se i libri ricostruivano la legittimità politica per il fascismo, i rotocalchi contribuivano a riscrivere la memoria collettiva a livello popolare. Garzanti, Longanesi, Mondadori e altre case editrici pubblicavano non solo opere memorialistiche di ex gerarchi, ma anche saggi storici che presentavano una lettura attenuata delle responsabilità del regime. Attraverso titoli ad effetto e un ricco apparato fotografico, invece, riviste come Epoca, Oggi, Tempo e La Settimana Incom illustrata veicolavano una narrazione in cui i protagonisti del fascismo venivano presentati in modo indulgente, a volte addirittura eroico. Ex gerarchi fascisti e personalità legate alla Repubblica Sociale Italiana trovavano spazio su queste pagine, a volte attraverso interviste compiacenti, altre volte mediante reportage che li raffiguravano come vittime della storia o patrioti traditi.
La diffusione di queste pubblicazioni superava quella dei quotidiani, con una tiratura complessiva che raggiungeva i 4,5 milioni di copie agli inizi degli anni Cinquanta, quasi pari alla somma di tutti i quotidiani messi insieme.

Le immagini avevano un ruolo determinante. Mussolini apparve per la prima volta sulla copertina di Oggi nel 1951, e reportage sulla guerra civile scritti da Giorgio Pisanò per Gente presentavano una versione distorta degli eventi, riducendo i crimini fascisti e puntando il dito contro la Resistenza. Queste narrazioni, inoltre, tendevano a minimizzare gli aspetti più violenti del regime e a costruire una memoria pubblica in cui il fascismo non era più un problema, ma un’epoca di grandezza nazionale bruscamente interrotta dalla guerra.

Un ruolo fondamentale nella costruzione della memoria fascista è stato svolto da Duilio Susmel, ex repubblichino e fervente sostenitore del regime. Susmel ha curato l’Opera Omnia di Mussolini, un lavoro monumentale che raccoglieva tutti gli scritti e i discorsi del Duce, con l’intento di costruire un’immagine epica del leader fascista. Questa operazione, spacciata per un lavoro ‘oggettivo’, era in realtà un potente strumento di propaganda: senza un apparato critico, le parole di Mussolini venivano riproposte come verità storica, alimentando la nostalgia del regime.

Anche l’opera di Renzo De Felice ha avuto effetti importanti. La sua imponente biografia su Mussolini, pur basata su solide fonti, ha finito per offrire una visione che molti nostalgici hanno interpretato come una riabilitazione del Duce. Martini sottolinea come alcuni abbiano sfruttato la sua opera per legittimare la narrazione di un fascismo “buono” e di un Mussolini pragmatico, separato dagli orrori del regime. uesta operazione si inserisce in una più ampia tendenza a riscrivere il passato in chiave revisionista, creando un immaginario in cui il fascismo viene percepito come un’ideologia neutra, quasi svincolata dalle sue conseguenze più drammatiche.

Martini ha smontato l’idea dell’esilio interno, dimostrando come il fascismo si sia presto ricollocato in modo organico nel panorama culturale. Giorgio Pisanò, che mai ha rinnegato il suo passato, ha partecipato attivamente alla riscrittura della storia, cercando di ridurre il numero delle vittime della Resistenza e di parificare le responsabilità tra fascisti e antifascisti. L’operazione della ‘parificazione’ dei morti e delle responsabilità è stata una delle strategie più sottili e incisive della narrativa neofascista. Con il pretesto di una lettura più ‘equilibrata’, si è costruito il racconto di una guerra civile in cui ‘tutti hanno fatto il loro’ e dunque nessuno dovrebbe sentirsi colpevole. Questa interpretazione, che riecheggerà anche in seguito nelle opere di Giampaolo Pansa, si è imposta con forza anche nei media, legittimando l’idea che il passato debba essere sepolto senza processi critici.  In questo quadro, il fascismo viene presentato come un fenomeno storico chiuso, senza reali conseguenze sul presente, mentre l’antifascismo viene spesso ridicolizzato o ridotto a un’ossessione anacronistica.

Il ‘fascismo critico’. Giuseppe Bottai, figura centrale del regime fascista e poi critico di Mussolini, tentò di separare il fascismo dalle sue degenerazioni, presentandosi come un intellettuale pragmatico più che un ideologo radicale. Il suo libro di memorie ebbe larga diffusione e contribuì a mantenere viva una certa immagine “nobile” del fascismo, lontana dagli eccessi della guerra. L’idea, portata avanti anche da altri ex gerarchi, servì a legittimare culturalmente un’eredità politica del Ventennio, fornendo alla destra postbellica un’identità compatibile con la nuova democrazia.

Bruno Vespa, in epoca più recente, ha contribuito alla normalizzazione del discorso sul fascismo attraverso le sue opere. La sua narrazione, spesso indulgente nei confronti del Ventennio, ha giocato un ruolo importante nella diffusione di un revisionismo morbido, capace di insinuarsi anche in un pubblico non apertamente nostalgico.  Lavori come questi rientrano in un più ampio contesto in cui il fascismo viene ridotto a un semplice fenomeno storico, depotenziato del suo carico ideologico e svincolato dalle sue responsabilità politiche.

La battaglia sulla storia continua, e il libro di Martini è un contributo essenziale per smascherare miti e revisionismi. Il ‘suo’ fascismo immaginario non è una semplice distorsione del passato, ma una costruzione ideologica che continua a influenzare la politica e la cultura italiana.

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