Foto per gentile concessione di Andrea Vagnoni

Non di solo pane vive l’uomo, ma di resistenza

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Lorenza Roiati che incontra il candidato PD per la Regione Marche, Matteo Ricci. Lorenza Roiati in video con Massimo Gramellini (ed Elly Schlein). Lorenza Roiati in presenza con Ilaria Cucchi. E poi i collegamenti video con le maggiori testate, le conversazioni con i giornali. La foto del post Instagram con cui la pagina de L’Assalto ai forni annunciava lo striscione rivisitata dagli artisti. E giù il chiacchiericcio: la borghese di sinistra (da Palazzo Roiati) che cerca visibilità per il suo portafoglio a destra.

Foto per gentile concessione di Andrea Vagnoni

Fermiamoci un attimo. Si parla de L’Assalto ai forni e di Lorenza Roiati per un gesto. Molto semplice. Fatto abitualmente ogni 25 aprile. Un gesto normale, da cittadina di “una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista“, come disse per il 78esimo anniversario della Liberazione il presidente Mattarella. E quindi la storia dello striscione ormai iconico: “Buono come il pane / bello come l’antifascismo“, che abbiamo già riassunto ampiamento QUI. Certo, poi sono arrivati gli striscioni nella notte successiva con una scritta in vernice nera “L’assalto ai forni” ma con la parola “L’assalto” cancellata. Quindi, solo “ai forni“, un riferimento non troppo velato… L’altro invece recava: “Da quel forno un tale fetore che diventa simpatico anche il questore”. Trovarsi nell’occhio del ciclone non è stato (né è) bello o voluto. Anzi. È il momento di spostare il focus: andiamo oltre i nomi e guardiamo al contesto.

Foto per gentile concessione di Andrea Vagnoni

‘Il nostro lavoro è scoprire come si resiste in un’epoca oscura’. Lo scriveva Miguel Benasayag in un breve, densissimo, saggio-intervista del 2014, pubblicato come postfazione all’edizione Feltrinelli del Discorso sulla servitù volontaria di La Boetie (a cura di Enrico Donaggio)“. Così inizia un bell’articolo dello speciale del Manifesto per il 25 aprile a firma Valentina Pazè. Che a un certo punto prosegue: “stiamo assistendo, oggi, ma al graduale spostarsi in avanti delle frontiere di ciò che è dicibile, sfrontatamente, in pubblico, alla luce del sole, e di ciò che è fattibile e concretamente progettabile“. E mi fa pensare al colore nero, ai bracci destri tesi… punta dell’iceberg di qualcosa di profondo. I fatti della nostra città, ha dichiarato la senatrice di AVS Cucchi “sono, a mio avviso, estremamente gravi. Non riguardano solo Ascoli, ma l’intero Paese” collegandoli poi al recente decreto Sicurezza.

Foto per gentile concessione di Andrea Vagnoni

E allora non resta che “resistere, dunque” -ricorda Pazè- contro l’erosione di “tutto ciò che sembrava acquisito con la sconfitta dei totalitarismi novecenteschi: l’universalismo dei diritti, la pace, la democrazia“. Perché l’antifascismo ci parla, come dicevamo con il prof. Enzo Di Salvatore solo pochi giorni fa QUI, di uguaglianza sostanziale. E quindi di ambiente, di scuola, di università e ricerca, di lavoro, di sanità pubblica, di pensioni, di tasse, di pace e guerra, di welfare in tutte le sue forme… Ci chiama a difendere e ampliare un mondo di diritti: i diritti sociali, che rendono agibili (cioè reali) i sacrosanti diritti civili e politici. Non lo si può può limitare a stanca retorica.

Foto per gentile concessione di Andrea Vagnoni

Che fare, allora? Costruire, ci suggerisce ancora Valentina Pazè, “di un’opposizione che tenga insieme le tante forme di attivismo già esistenti su singoli temi (la Palestina, la pace, il lavoro, l’ambiente)“, ma si riuscirà ad avere finalmente quel “sovrappiù di visione del futuro, di strategia, di politica?“. E qui la parte che vorrei evidenziare di più: “Servirebbe non solo radicalità nell’analisi, ma capacità di ascolto, mediazione, superamento dei settarismi“.

Che si manifesti, che ci si organizzi. Insieme, orizzontalmente. Più volte, in più forme e nel tempo. Non lasciando che il kaìros, — il tempo buono, il momento irripetibile — si spenga. Ma non basta. Dovrebbe, per una sinistra che ambisce a vincere, essere solo il primo passo per ripensarsi in un percorso unitario. Con iniziative dal basso, sui temi. Momenti diversi, con forme diverse, ma partecipati e continui. Soprattutto, unitari. E magari riattivando (o forse attivando) un momento culturale, di confronto, di costruzione di una comunità che si incontra e si conosce, che cresce insieme. Come abbiamo provato a fare noi di Ithaca, nel nostro piccolo, dall’inizio di quest’anno. Come potremmo ancora fare, insieme.

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