Matteo Ricci ad Ascoli: “Le Marche devono tornare a correre. E io pedalo per questo”

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foto di Andrea Vagnoni

Un ringraziamento innanzitutto alla gente che è dovuta rimanere fuori“. Il teatro Filarmonici di Ascoli Piceno, infatti, è pieno, le poltrone rosse occupate da una platea variegata e speranzosa. I sorrisi si sprecano, è un popolo che prova a ritrovarsi per credere in una vittoria possibile. Sul palco, Matteo Ricci – ex sindaco di Pesaro, oggi europarlamentare del PD e candidato alla presidenza della Regione Marche – prende la parola con il tono di chi ha deciso di “rimettersi in gioco”, ma non per tornare indietro. “Mi hanno chiesto: perché lasci un posto sicuro in Europa? Ci stavo benissimo – confessa – ma quando chiama la tua terra, non puoi resistere. Non è una rinuncia, è un richiamo più forte”.

Per Ricci, le Marche vivono oggi un momento critico, una stagione che descrive senza giri di parole come “declino”. La Regione, dice, è diventata marginale, invisibile, incapace di incidere. “Siamo scesi verso sud – denuncia – ma senza avere gli strumenti del sud. Un arretramento economico e sociale che ha fatto scivolare le Marche fuori dai radar nazionali”. Eppure, avverte, non basterà un buon programma: servirà una visione coraggiosa, “una nuova primavera”, e la capacità di fare sistema in una fase storica che definisce “drammatica” per la democrazia e per l’idea stessa d’Europa.

Per quasi due ore, Ricci alterna instancabilmente (si ferma solo per qualche sorso d’acqua, lamentando con ironia: ‘Nemmeno un tavolino dove poggiarla…“) analisi globale e proposte locali. È un filo continuo che lega Istanbul a Macerata, l’Ucraina a Camerino, le dichiarazioni della Meloni alla crisi delle aree interne. Con un linguaggio diretto e appassionato, attraversa i grandi nodi del nostro tempo: guerra, inflazione, diseguaglianze, solitudini sociali, arretratezza tecnologica, trasformazioni climatiche, spopolamento. E lo fa con uno stile che è insieme affondo polemico e racconto di speranza.

Stiamo vivendo un’epoca in cui la democrazia non è più un valore condiviso – afferma –. Si governa come se fosse un ostacolo. Guardate alla Turchia: un sindaco che mi ha aiutato in una missione per salvare posti di lavoro nelle Marche con Beko, oggi è in carcere perché il governo ha riformato la Costituzione per mettere i giudici agli ordini dell’esecutivo”. E poi aggiunge: “Anche in Europa abbiamo un problema: sovranismi ovunque, governi che vogliono il ritorno al veto, e poi le vergognose parole della presidente del Consiglio sul Manifesto di Ventotene. Chi non rispetta i valori costituzionali, i valori europei, non può rappresentare degnamente le istituzioni italiane”.

Il cuore del suo discorso, però, batte forte sul tema della sanità. Ricci racconta storie precise, concrete: una su tutte, quella di un uomo rimasto per sei giorni su una barella nel pronto soccorso di Macerata, con un cartello tra le mani per denunciare l’assurdità di una sanità regionale allo sbando. “Un marchigiano su dieci ha smesso di curarsi – dice con voce accesa –. È gente che non trova risposte nel pubblico e non ha i soldi per il privato. È inaccettabile”.

Accusa la Giunta uscente di aver trasformato la sanità pubblica in un guscio vuoto, di aver svilito il servizio sanitario con una gestione confusa, contraddittoria, fatta di rimpalli, assessori “con il tutor”, ospedali senza personale. E rivendica una differenza netta: “Per noi la sanità privata è integrativa, per loro è sostitutiva. E così stanno creando un sistema dove chi ha soldi si cura e chi non ce li ha si arrangia”.

Ricci parla anche di cultura. E lo fa a partire da un simbolo: il teatro. Il 21 marzo ha scelto di iniziare la campagna elettorale da Osimo, proprio in un teatro, per affermare che “la cultura deve tornare al centro della proposta politica”. Non un vezzo per pochi, ma una politica pubblica, una leva di sviluppo, uno strumento di coesione sociale. “La cultura è la lingua centrale della nostra proposta – ribadisce –. Una Regione che non investe sulla cultura è una regione che rinuncia a se stessa”. Non è solo un’idea astratta: parlando della capitale italiana della cultura a Pesaro: “È stata una grande occasione persa per tutta la Regione. Sarebbe bastato poco per promuovere anche Ascoli, Fermo, San Benedetto, Urbino, Macerata. Invece nulla. Perché? Perché il sindaco di Pesaro non è della loro parte politica”. Un’accusa diretta a chi, a suo dire, ha usato la Regione “come strumento di vendetta politica anziché di visione condivisa”. E rilancia l’idea di un marketing culturale unificato: “Dobbiamo smettere di voler comunicare tutto e iniziare a comunicare ciò che ci rende unici: il buon vivere marchigiano”.

Poi si concentra sulle proposte per le Marche. E c’è spazio anche per Ascoli, con Lorenza de L’assalto ai forni e l’importanza dell’antifascismo [Ithaca lo invita già al Festival dell’antifascismo]. La nostra Regione deve diventare un modello europeo per qualità della vita. Parla di “benessere ecosostenibile”, riprende il discorso di Robert Kennedy del 1968 sull’inadeguatezza del PIL a misurare la felicità delle persone. Vuole indicatori nuovi, più veri: salute, istruzione, tempo di vita, qualità urbana. E accanto alla qualità, serve quantità: lavoro, crescita, redistribuzione. Per questo propone di rilanciare investimenti pubblici, di costruire una Regione attrattiva per i giovani, e non più un luogo da cui fuggire.

Annuncia contributi a fondo perduto per chi torna a vivere nei borghi dell’entroterra, trasporti scolastici e asili nido gratuiti nelle aree interne per i figli, incentivi ai medici di base, una guerra al consumo di suolo e la revisione dei piani regolatori per renderli più flessibili e a consumo di suolo zero. E ancora: intelligenza artificiale al servizio della manifattura, “perché se la manifattura muore, le Marche muoiono”, dice. E poi il “gemello digitale” di tutta la regione, ovvero la sua versione 3D, per gestire sicurezza, energia, servizi; la “SuperApp” che gestisca in un unico posto dai biglietti dei trasporti alla richiesta di documenti: sarebbe la prima Regione. Insomma, le Marche capaci di diventare leader italiane nella semplificazione amministrativa: “Il tempo è la nuova frontiera del benessere – afferma –. Ridurre le attese, snellire le pratiche, vuol dire restituire tempo ai cittadini”.

Nel lungo elenco di temi tocca la “sicurezza come diritto, non come strumento di paura”. Racconta come molti furti in appartamento nelle Marche siano opera di bande che si muovono da fuori, spesso con auto rubate. “Servono più forze dell’ordine – denuncia – e bisogna usare la tecnologia: telecamere intelligenti, lettori targa…”. Ma sicurezza, aggiunge, è anche rigenerazione urbana, illuminazione pubblica, politiche sociali. “Una Regione sicura è una Regione che cura”.
Poi la gestione dei rifiuti racconta un aneddoto giapponese, dove i cittadini portano i rifiuti a casa perché sentono che sono una loro responsabilità personale. “Dobbiamo arrivare a un modello in cui chi fa bene la differenziata paga meno. Serve trasparenza, educazione civica e gestione pubblica efficiente”.
Sul nodo infrastrutturale, Ricci è durissimo. Prende l’esempio dei cantieri autostradali, “un calvario che dura da anni”, e punta il dito contro chi non ha saputo decidere: “In cinque anni non hanno scelto se realizzare la terza corsia o arretrare l’autostrada. Sapete quanto ci è costato non decidere?” Ricorda i fondi europei persi e le opportunità sfumate, e rilancia l’idea di una Regione capace di scegliere: “Non per scontentare, ma per costruire”.

E poi ancora politica industriale, sostegno all’agricoltura. Non dimentica il problema degli alloggi che non si trovano sulla costa e l’assenza di edilizia popolare, né il trasporto aereo: “O integriamo gli aeroporti di Ancona, Perugia, Rimini e Pescara in una rete dell’Italia centrale, o rischiamo…“. Critica le troppe società partecipate che frammentano la gestione dei servizi pubblici locali – “in Emilia ce ne sono due, da noi ventitré” – e promette la chiusura immediata di ATIM.

Tutto questo, dice, si tiene solo se c’è una visione. E la sua visione ha una metafora precisa: la bicicletta. “Ho iniziato la mia campagna in bici – racconta – perché la bicicletta, se smetti di pedalare, si ferma. E io non mi voglio fermare”. È un’immagine che contrappone a quella della destra, definita più volte “seduta sul divano”, ferma, passiva, impegnata a raccontare i problemi altrui più che a risolvere i propri.

Chiude tra gli applausi di una standing ovation, con una promessa semplice: “Non sarò mai uno che mette il partito davanti alla gente. Il mio dovere, se sarò eletto, sarà rappresentare tutti. E lo farò pedalando forte”.

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