Eric Salerno, una vita fra giornalismo e Medio Oriente

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Giornalista e inviato speciale, Eric Salerno è un fine conoscitore dell’area mediorientale e di quella africana. Quando non è a Gerusalemme, dove comprò casa per esigenze di lavoro, vive a Roma. Ha scritto a lungo per “Il Messaggero” e ha di recente tenuto un blog su “HuffPost”. É autore di vari saggi, l’ultimo quest’anno, “Orizzonti perduti, orizzonti ritrovati”, ripercorre le tappe dei suoi viaggi, raccontandoli da ospite prima che da inviato: racconti, fotografie d’epoca, aneddoti, memorie di persone incontrate, di confini attraversati, di musiche, libri, film, cibi, incidenti di percorso, analisi puntuali su come sta il mondo sotto vari punti di vista.

Nel 2016 ha scritto anche il suo primo romanzo, perché: “Se non hai le prove, scrivi un romanzo”, secondo la citazione riportata nell’incipit. Personaggio spesso contestato per le sue opinioni controcorrente, quando l’ambasciata israeliana o la comunità ebraica romana (di cui fa parte) chiamavano per protestare, i suoi direttori a Il Messaggero erano usi ripetere sempre la stessa formula: “se riuscite a dimostrare la falsità delle cose che ha scritto, possiamo parlare ancora della questione. Altrimenti…”.

Salerno, fin dall’inizio della chiacchierata, è molto chiaro: “Le colpe di noi europei, nel disordine mediorientale, sono immense”. Non si tratta però solo di colpe antiche, come spesso si è portati a pensare: “Chiaramente il colonialismo ha avuto un ruolo importante, ma dalla decolonizzazione sono ormai passati più di 50 anni”. Seguono invece poi gli anni di una faticosa fase postcoloniale in cui “i paesi mediorientali e africani, liberi dal giogo coloniale delle potenze europee, vivono dolorosamente lo sviluppo, in modo più subdolo e indiretto, di nuove forme di dipendenza e sfruttamento”. Ed è in questo contesto che allora può innestarsi l’odierno fenomeno terroristico.

Gerusalemme, Israele, Città Vecchia, Muri

Non mi piace vivere a Gerusalemme perché la gravità, il peso della religione mi risulta insopportabile [Salerno non è credente, ndr], tutto l’opposto di una religiosità africana, che ho sperimentato decenni fa, decisamente più libera, gioiosa e spontanea”. Nell’area mediorientale le tensioni presenti in ogni società umana si sono perversamente intrecciate con gli interessi economico-politici delle potenze occidentali e con il ruolo peculiare svolto dalla religione: questa la chiave di lettura di Salerno. “Occorre però fare molta attenzione alle strumentalizzazioni, in tema di terrorismo. Ricordo un libro dell’allora giovane Netanyhau che considerava terrorismo anche le azioni dell’Esercito di Liberazione Nazionale in Algeria, nel chiaro intento di giustificare le politiche di Israele”.

In questo contesto si inserisce un’amara osservazione sul giornalismo di oggi. “Oggi viviamo la crisi del mondo editoriale in cui sono nato e cresciuto, il mestiere che ho svolto – nel modo in cui ho potuto svolgerlo – ormai non esiste più. Si tratta di un problema per il quale io al momento non riesco a intravedere soluzioni. Se viviamo però nell’epoca delle fake news allora l’unico antidoto rimane l’andare sul campo per trovare e interrogare le fonti, per guardare la realtà con i propri occhi. Ma la verità – afferma sconsolato Salerno – è che nessuno è più disposto a pagare per questo tipo di lavoro”.

Una situazione che a volte può provocare autentici disastri, come ad esempio – aggiunge Salerno – lo sciagurato intervento franco-statunitense del 2011 in Libia, finalizzato a deporre Gheddafi. “Nelle settimane precedenti all’intervento un ruolo importante nella giustificazione della guerra, utilizzato poi dalla stessa Hillary Clinton, fu fornito dalla televisione degli Emirati Arabi Uniti, Al Arabiya. Uscì infatti la notizia della presenza di fosse comuni in Libia che contenevano oltre 10.000 morti al loro interno”. Una notizia che tutti i siti e i giornali del globo riportarono senza che nessuno si fosse preso la briga di andare a verificarne la fondatezza. “Mi ricordo di aver immediatamente alzato il
telefono per chiamare un mio contatto affidabile nei servizi segreti che, sorpreso, mi assicurò si trattasse di lavori di scavo in atto da mesi sulla spiaggia e che sarei potuto partire per andare a controllare l’indomani stesso
”.

L’esempio della situazione libica non è casuale, Salerno ne è infatti grande conoscitore: “Sono riuscito a instaurare un rapporto abbastanza curioso di reciproco rispetto con Gheddafi e il suo regime”. Un rapporto, il loro, che si era consolidato dopo che, nel 1979, il giornalista aveva pubblicato “Genocidio in Libia: atrocità dell’avventura coloniale italiana (1911-1931)”, frutto di ricerche approfondite in loco (tramite interviste ai sopravvissuti) e negli archivi coloniali.

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