“Sono un uomo di pennello e non di parole”: il mio ritratto di Dante Fazzini

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Sono un uomo di pennello e non di parole”. Così una volta Dante Fazzini, in occasione di un evento pubblico dedicato al tema del ritratto – quasi a volersi giustificare – si era rivolto ai presenti. Io, al contrario suo – da uomo di parole e non di pennello – proverò a tratteggiarne la figura per iscritto.

L’atelier “Il ritratto ai tempi del selfie” dell’associazione Cisi sabato 17 novembre 2018 alla Bottega del Terzo Settore

Il ritratto è, se si vuole, il vero filo condutture della sua carriera artistica, iniziata all’incirca a 12 anni andando a bottega dal pittore Dino Ferrari. “Il volto dell’uomo, degli altri o quello che posseggo mi affascina. Per il mistero che sta dietro l’esistere, per il contenuto che esso trasporta. Come un uomo osservi un altro uomo è lo specchio, la misura, della profondità del suo sguardo. Da questa personale considerazione ritengo che il livello espressivo di un artista lo si vede da come osserva e comprende gli altri, da come svolge un ritratto”. I personaggi noti al Caffè Meletti, gli studenti in classe, gli amici nel suo studio: sono tanti gli ascolani (e non) che ne hanno sperimentato la generosità ricevendo in dono un ritratto o una caricatura. Senza contare che, durante tutta la sua vita, il soggetto più rappresentato è stato il suo auto-ritratto. Come in una continua ricerca di sé.

Gigi Morganti e Dante Fazzini per “L’ora del ritratto” al Caffè Meletti (foto Instagram)

Conosco me stesso soprattutto attraverso lo studio, gli autoritratti e l’osservazione delle umane forme. Il ritratto in particolare, mi attrae, mi illumina, mi intriga e mi arricchisce attraverso la luce che gli occhi, e l’architettura descrivono del profondo del modello. Guardare gli altri è stato il mio miglior passatempo. L’umanità mi affascina, occhi e viso sono specchi di un karma.

Dante Fazzini
Une delle whirligig (foto Instagram)

Dante Fazzini si definiva “artista multidisciplinare per via della mia curiosità nello sperimentare e saggiare modi espressivi diversi. E d’altronde amava ricordare che Michelangelo, all’età di 87 anni, aveva detto: “Sto ancora imparando”. Chiunque sia passato in questi anni per il civico 2 di via della Tribù Fabia – la sua “navicella spaziale” – e si sia anche solo fermato a osservare dall’esterno avrà notato che anche lui non aveva mai smesso di “imparare”, come artista (e come uomo). Dal soffitto pendevano marionette o legni levigati dall’acqua marina dipinti di quei colori sgargianti, vera cifra stilistica della sua arte. E non solo, nell’ultimo periodo si era concentrato molto su quelle che definiva all’inglese “whirligig”, ovvero delle speciali girandole metalliche azionate dal vento. D’altronde non amava dirsi anche “artigiano”?

I legni decorati

 

Olio su pietra “Mevlana” (foto Instagram)

Non mancavano poi sassi finemente istoriati a olio e micro-dipinti su tela. Una delle ultime volte che ero capitato nello studio si era soffermato su questi micro-dipinti, veri capolavori per i quali “ci vuole ben più lavoro che per quelli di grandi dimensioni che vedi qui intorno”. La sua straordinaria abilità non si esercitava soltanto nel dipingere in piccole dimensioni, ma risiedeva anche nella realizzazione delle micro-tele (altrimenti difficili da trovare date le dimensioni di una carta di credito circa) e finanche dei micro-cavalletti su cui erano montate. I soggetti, come sempre, vari: amici, paesaggi, visioni oniriche, maestri della musica (sua grande passione) e di vita.

I micro ritratti con una citazione di Leo Longanesi (foto Instagram)
Autoritratto da sufi (foto Instagram)

Scriveva su Twitter nel marzo 2020: “Il risvolto positivo dell’essere chiuso a casa, dopo una chemio e in tempi di epidemia? Dare il meglio delle e sulle cose che ami. Io disegno al tablet con una app…”. Il suo rapporto con la tecnologia è stato particolare.  Navigando in rete troverete siti, pagine, profili, blog che nel tempo ha aperto e abbandonato. Innumerevoli i suoi profili sui social network (quattro o cinque solo su Instagram). Facebook fu il primo, poi abbandonato e cancellato. Su WhatsApp per un certo periodo inviava video, immagini, pensieri. Ora le sue parole le affidava soprattutto a Twitter, dove si descriveva con questi hashtag: “#Cultura #Bellezza #Arte #Conoscenza #Compassione #diversitá #Umanitá, #NoRazzisti #NoFasci #NoPorno #NoBestemmie”. Da una parte, dunque, il social del pensiero breve ma ficcante, un genere forte e antichissimo che ben si adattava a una personalità come la sua. Dall’altro il social dell’immagine, imprescindibile per un artista. Non solo immagini fisse però, ma video a volte anche narrati dalla sua viva voce. E ancora, animazioni di sue opere. Fino a vere e proprie realizzazioni artistiche digitali, come quella che accompagna il citato tweet: “Selfportrait as a sufi master“.

Da quando ho cominciato a dipingere, ho affiancato alla mia attività ‘manuale’ la curiosità per la ricerca della conoscenza

Dante Fazzini

Dante Fazzini mostrava un certo interesse per la sapienza orientale (ma dialogava profondamente anche con Enzo Bianchi). Citava sempre una massima di un poeta arabo Sufi che gli era rimasta impressa: “Tutto quello che possediamo consiste in tutto ciò che non possiamo perdere in un naufragio”. E poi spiegava: “Vuol dire che non possediamo nulla. In un naufragio potresti perdere tutto: famiglia, affetti, denaro… anche il tuo corpo, la tua vita…, non sei tu a decidere… Quello che ti rimane è il tuo lascito, la tua eredità, quello che effettivamente sei…”.

AHAD danza dervish olio su tela 60 x 80 x 4 cm anno 2018 (foto instagram)

Qual è allora il suo di lascito? Non c’è altro modo, per rispondere, che quello di rievocare il mio rapporto di conoscenza con lui, senza nessuna la pretesa che tutti debbano riconoscervisi. Per me è sempre stato il “professor Fazzini” , anche ora che prof. lo sono pure io. Ero alle medie, in seconda, quando venne alla D’Azeglio di Lungo Castellano. Tutti, fra le varie sezioni, avremmo voluto averlo come insegnante – la sua fama lo precedeva – ma io non ebbi quella fortuna.

Foto Instagram

Ci conoscemmo al corso di mini-guide, a cui teneva molto. Certo, qualche supplenza era capitata anche in orario scolastico, ma il vero incontro fu nello storico corso pomeridiano dedicato a preparare delle piccole guide della città di Ascoli. In realtà nemmeno lì era un mio insegnante, dovetti aspettare la gita premio annuale di fine giugno. Io e un’altra ragazza (e lui in quanto accompagnatore) rimanemmo bloccati alla frontiera per la Croazia per problemi coi documenti. Io e lui dormimmo in una doppia e la ragazza in una singola. Prima ci godemmo Muggia, sul Golfo di Trieste. Una pizza vista mare e poi un giro per il borgo. “Sapete da che cosa deriva il termine ‘rua’?” e dopo la mia risposta corretta: “Però, forte questo Tabani”. Sarebbe rimasto il suo leitmotiv con me.

Era una persona abbastanza schiva (come me peraltro). Lui in modo poetico diceva: “Faccio mia questa citazione del poeta Gottfried Benn: ‘L’essenza dell’arte è riservatezza infinita’. Aggiungo inoltre che la condizione migliore per creare è il silenzio di una caverna priva di… specchi”. Non amava le luci della ribalta. Non amava l’arte di oggi, asservita al mercato e costretta fra mostre, critici incomprensibili, prezzi da pagare (in tutti i sensi). Al primo posto, nella sua scala di valori, c’era la libertà.

“‘Io e la luna’ autoritratto in tempo d’Apocalisse” (foto Instagram)

Albus Silente. Io sono della generazione che per prima ha conosciuto i libri di Harry Potter, che via via venivano pubblicati. Il preside di Hogwarts viene presentato come saggio, eccentrico, benevolo e ironico: il mentore perfetto per il protagonista, poiché cerca di convincerlo delle potenzialità che ha dentro di sé. Ed era così che lo vedevo. Pacato, gentile, capace di tirar fuori profonde citazioni (mentre armeggiava col pennello) e di sguardi che sembravano scrutarti dentro. Ma anche sempre disposto al sorriso, alla battuta. Un uomo buono, che sapeva sempre metterti a tuo agio.

Fuori dal tempo. Questa l’impressione che ebbi la prima volta che passai un pomeriggio, con un mio caro amico, nel suo studio. Parlammo di vita, di scelte, d’arte. Ci teneva a ricordare la sua esperienza al Cammino di Santiago, che l’aveva cambiato profondamente. Lui che è sempre stato un uomo alla ricerca. Ci raccontò di avere una formazione tecnica, di aver poi subito dopo iniziato a lavorare ma… il richiamo dell’arte lo portò ad abbandonare tutto per iscriversi all’accademia di Belle Arti.

“L’Ego che va a sfruguliare il terzo occhio. L’opera che è l’Alter ego, lo invita a smettere e tacere” (foto Instagram)

Mi colpì un’opera, alta e stretta, di uno splendido turchese e con incastonati dei levigati ciottoli di fiume. Era peraltro l’homepage del suo primo sito (dantefazzini.it). La frase che ancora mi risuona nella mente è una citazione di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo“. La sua era un’arte democratica, riconoscibile da tutti, capace di far riaffiorare la bellezza insita in ogni epoca della Storia. “L’arte vera è quella universale, il miracolo che tutti sanno cogliere. E  l’educazione alla lettura di un’opera d’arte dovrebbe essere compito formativo delle scuole, delle comunità attraverso le tradizioni culturali dei popoli”.

“Passaggi del ritratto. A padre Enzo Bianchi, fondatore della Comunità Monastica di Bose, Dedico con riconoscenza questo ritratto digitale”. (foto Instagram)

Per questi ultimi 15 anni sono passato davanti al suo studio spesso. Il centro di Ascoli è piccolo, quella era la mia tappa fissa. Se sentivo già da lontano un sottofondo musicale, era al lavoro. Altrimenti mi avvicinavo alla porta e sbriciavo le novità esposte. A volte lo trovavo fuori e allora ci si fermava, anche a lungo, a parlare. Non si negava mai a nessuno. Da conoscenze comuni, seppi che parlava di me. E non faceva che ripetere che avrei fatto qualcosa di grande. Dicendolo gli brillavano gli occhi. Era entusiasta che insegnassi. Una volta, incontrandolo fuori da una cartolibreria con un rotolo, mi disse: “Vieni a questa manifestazione che farò, io chiederò chi vuole un ritratto e facciamo finta di non conoscerci e lo farò a te”. Me l’aveva promesso anni prima, non l’aveva dimenticato. Ne sarebbe uscito fuori un ritratto che era a metà fra i realistici ritratti funebri dell’età ellenistica (Fayum) e un monaco buddista e/o sufi: così mi vedeva, disse.

Una volta mi aveva mostrato un Rembrandt appeso nel suo studio. Un falso, certo. D’autore, perché era suo. “Devi capire i miei prediletti maestri: Velasquez, Rembrandt, Lucien Freud e molti, molti altri… Non ho i soldi per comprarli e appendermeli qui da ammirare. Così, ho imparato a farmeli da me all’occasione”. Anni dopo mi aveva colpito un quadro a cui lui teneva molto, che rappresentava l’estasi raggiunta attraverso la loro danza dai dervisci.

Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”. Così scriveva Don Lorenzo Milani e sembra parlare della sua passione civile: è stato generoso, anche in questo. Interpretava la diffusione del Bello anche in chiave attiva: non basta stare a guardare. Non semplicemente quando alle ultime elezioni si è candidato consigliere comunale per una lista civica di sinistra-sinistra. Ci sono le battaglie contro il degrado della città, “per tentare di salvare un luogo bellissimo, diventato sempre meno vivibile”. La nuova (pessima) illuminazione a led: “Un corteo pacifico con i partecipanti muniti di torce, per protestare contro il buio che regna sovrano in città” grazie a una camminata snodatasi lungo le principali strade maggiormente penalizzate. E ancora la camminata nelle zone più trascurate del centro, “coprendo le scritte realizzate dai vandali e dai writers con dei cartelloni ironici e plastificati” con “scrittoQuanto è bella la città’ oppure ‘Questa non è arte ma un crimine’“.

Una delle manifestazioni organizzate da Dante Fazzini

Penso anche che l’amore per la storia dell’arte non debba essere un fatto privato (o peggio un’evasione, o un modo per non pensare), ma pubblico e ‘politico’”. Dante Fazzini? No, Tomaso Montanari. E non è un caso che l’ultimo post di uno dei profili Instagram del professor Fazzini sia dedicato al libro “L’ora d’arte”, con la dedica dell’autore: “Per le sue, le mie battaglie”. Due strade che si erano già incrociate qualche anno fa quando Montanari aveva scritto su Repubblica delle “Cene ele­gan­ti al mu­seo di Asco­li, ap­plau­dendo alla rea­zio­ne ci­vi­ca pro­mos­sa dal “pit­to­re asco­la­no Dan­te Faz­zi­ni”.

Marguttiana “Arte Sì – Tag No” in rua delle Stelle (‘rrete li mierghie). Come dimenticare anche le sue manifestazioni auto-organizzate che mescolavano pittura, musica dal vivo, scultura, giocoleria, laboratori per bambini, spettacoli di marionette per riappropriarsi di pezzi di centro storico lasciati in abbandono. E poi i “Sabato sera in Via Vidacilio” e i tanti altri eventi che vedevano in azione il pennello del professor Fazzini.

Pensavo ci sarebbe stato più tempo per parlare, avrei voluto scrivergli di più, partecipare più attivamente alle sue iniziative. Poco tempo fa l’ho visto in giro che chiacchierava con qualcuno. Non l’ho voluto disturbare. Ora è tardi, ma non per ricordarlo con tutto l’affetto e la stima che meritava. Dante, ci mancherai.

6 marzo 2021. “Sto lottando. E voglia di parlare+energia. Pochissima”. Lotteremo, anche per te. E non staremo zitti, come ci hai insegnato.

Dante Fazzini e Giorgio Tabani col ritratto work in progress

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