Giorno di votazione per il rinnovo del Parlamento. Tutto in sedici ore e al termine di una inusitata, breve campagna elettorale in piena estate. Sui contenuti sorvoleremmo, di programmi poco o nulla, di invettive invece a piene mani. Che “vinca il migliore” non ci sembra il caso, meglio “il meno peggio”.
In molti dicono che non sanno se andranno a votare, come se così facendo la consultazione elettorale non sortisse alcun risultato. Pessima idea. Qualcuno vincerà lo stesso e lo farà con una percentuale minima rispetto a tutta la popolazione italiana.
Una riflessione amara che interessa ai politici nella misura in cui serve per spingere al cosiddetto ‘voto utile’. Ma utile per chi e per cosa?
La politica si è allontanata sempre più dalla gente, dai suoi desideri, dai suoi bisogni non solo immediati, ma di lungo respiro. Dovremmo ricordare, allora, a chi ci richiama alla responsabilità del voto, una consequenziale responsabilità nel gestire la cosa pubblica, con spirito di servizio e mettendo al centro i più fragili. Invece continuiamo ad assistere ad un vergognosa corsa alle poltrone e ad una crescente comparsa di personaggi impreparati, arroganti, capaci solo di lanciarsi accuse senza assumere, loro sì, una seria responsabilità di governo.
Su questo dovremmo riflettere e chiederci se il nostro non voto contribuirà a rendere il Paese migliore o se lo accompagnerà allo sfascio. Forse allora il “non so se andrò a votare” non avrà più senso di esistere.
Votare significa democrazia, soprattutto quando non c’è coercizione alcuna. In questi giorni si vota in due paesi diversi: Italia e cosiddette repubbliche secessioniste dell’Ucraina. Credete che sia la stessa cosa?