All’inizio era il bianco e il nero, poi venne il colore

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Definire Terenzio Eusebi un pittore è quanto mai riduttivo, dal momento che la sua opera seppur iniziata con le tele, da queste si è allontanato per continue sperimentazioni. Lavora nella dimensione pittorica pur utilizzando materiali sempre diversi, carte, scotch, pigmenti anche se certamente è la terza dimensione che lo occupa maggiormente, producendo opere a metà tra il design, l’arte e l’architettura. Usa indifferentemente materiali industriali come resine e materiali più tradizionali come il marmo. La sua ricerca verte sul non-finito, sulla minimalità delle forme di essere sempre evocatrici di qualcosa di intuibile ma di non esplicito. Possiamo azzardare “Plasmatore artistico” giacché la materia, qualunque essa sia, nelle sue mani e nei suoi pennelli si forma e si trasformando sfidando il Creatore del tutto.

Incontro Eusebi nel suo studio, in una di quelle antiche viuzze che punteggiano il vecchio corso che dal Carmine arriva a Porta Romana. Sembra lo studio di un bohemien parigino. Giovane artista Eusebi non lo è più e neppure attende la notorietà conducendo una vita povera e disordinata, ma è libero e anticonformista perciò quell’appellativo gli appartiene.

Come spiegheresti ad una persona che non consce il tuo lavoro?

Non voglio spiegare il mio lavoro… Vorrei invece raccontare molto del mio immaginario, questo sì.

Immaginario di tutti i giorni, i dubbi, le attenzioni, i primi piani, le curiosità, il mio mai prendersi sul serio e lo stare in disparte anche con lo stesso lavoro per poi cercare in qualche modo di cogliermi di sorpresa, alleggerirmi  di molte assurdità, aiutarmi a pensare che bisognerebbe soltanto vivere. Se solo riuscissi a fare una magia! Evviva!

Tutto questo mi fa affermare che la tua arte è molto evocativa, ti consideri anche un poeta?

Mi sento più musicista che poeta.Da ragazzino sono stato a scuola di solfeggio:  il mio maestro impazzì ed io smisi. Sono più vicino ad un’armonia dei suoni con i suoi fuori tempo e anche volute stonature; alle partenze nel dubbio e alle sospensioni lunghe… ma ahimè devi camminare fortemente abbracciato a te stesso per cercare di essere una persona sola!

Poesia, musica, sperimentazione. Oggi sembra interessarti l’idea dell’architettura per metterla spesso nelle tue opere?

I passi, il fermo immagine, il cammino, l’essere nomade, l’andare a zonzo, calpestare una linea e disorientarsi, lasciare piccolissime tracce su una personale mappa dell’emergenze giornaliere, per ritrovarsi. Questo è ancora oggi il mio concetto di architettura. Un cammino armonico fatto di bellezza e forme simboliche che con discrezione trasformano il paesaggio, lo spazio, un territorio; ma con molta franchezza “molto” è andato a farsi friggere!

Hai cominciato come tutti gli amanti della pittura, dipingendo immagini, poi forme, poi suggestioni… Qual è stato il momento di svolta della tua storia di artista?

Quando ho capito che anche se qualcosa non succedeva, non succedeva niente. Vi racconto… sono nato un 9 febbraio, di domenica in un piccolo paesino dell’entroterra Piceno. Come ben saprete, di domenica il grande disegnatore dell’universo si riposò. Debbo dire che sono mentalmente lavativo, mi piace guardare le nuvole e sono stato  sempre poco attratto dalle varie forme di potere. 

Mi ci sono avvicinato e scappato non appena  hanno iniziato a scandire i tempi del mio tempo.

Così ripartendo anche da alcune lacrime, dolci e trasparenti… sono andato!  E credetemi, quelle rare volte che torno sui miei passi, non ci sono mai!

Quanto conta Ascoli nella tua formazione di artista visivo?

Ad Ascoli vivo da tanti anni ma non sono ascolani. I miei periodi formativi sono stati il mio “paesello” e Roma, hanno formato uno spazio e un tempo; quello dell’adolescenza nel paesino di nascita a direttissimo contatto con le varie forme della natura… sarà l’ombra di un fiore o il fiore stesso? Sarà l’ombra del fiore che con forza si separa dal fiore e dalla sua stessa ombra?

Poi, la fanciullezza a Roma: sbalordito, sospeso, stupito da questa meraviglia, masse enormi e leggere di una città che ha dell’eterno. E ancora… l’estetica dell’alta moda (mia zia era capo atelier delle sorelle Fontana). È così che poco a poco ti avvicina la bellezza, è così che poco a poco ti avvicina il buon senso, il pre-amore e poi l’amore; riuscite ad immaginarmi?

Giriamo la domanda ai lettori: riuscite ad immaginare l’artista e le sue forme?

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