Nostalgia di una presentazione con Lucrezia Ercoli

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Dissertatio medica de nostalgia. Nel 1688 lo studente svizzero Johannes Hofer pubblica la sua tesi di laurea in medicina e la intitola così. Nel suo studio si è occupato delle sofferenze dei mercenari svizzeri al servizio del re di Francia Luigi XIV, costretti a stare a lungo lontani dai monti e dalle vallate della loro patria. Si tratta della prima apparizione della parola ‘nostalgia’, il comun denominatore linguistico di un arcipelago di espressioni diverse presenti in tutte le lingue indoeuropee, dalla parola Heimweh tedesca al mal du pays francese, dalla homesickness inglese alla saudade portoghese. Hofer sceglie accuratamente due termini greci: nostos, ‘ritorno in patria’, e algos, ‘dolore o tristezza’. Si intende un malato in cui tutta l’energia vitale è concentrata in un solo oggetto e mancano le forze mentali e fisiche per occuparsi di altro se non del suo “dolore per il ritorno”. L’ammalato è sempre triste, non dorme, non ha forze, ha una minore sensibilità alla fame e alla sete.

“Yesterday. Filosofia della nostalgia” è un breve ma denso libretto presentato recentemente presso la libreria Rinascita di Ascoli Piceno. Insieme al giornalista Pietro Frenquellucci, c’era l’autrice Lucrezia Ercoli, docente di Storia dello spettacolo all’Accademia di belle arti di Bologna oltre che, dal 2011, ideatrice e direttrice artistica del festival di filosofia del contemporaneo ‘Popsophia’. Dopo il dottorato di ricerca in Filosofia e Teoria delle scienze umane all’Università degli studi di Roma Tre, ha anche collaborato con le cattedre di Estetica musicale e Filosofia morale. Fra le sue ultime pubblicazioni: Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer.

I saluti iniziali sono stati affidati a Maria Brandozzi, organizzatrice dell’ormai storico Mercatino dell’antiquariato ascolano. Una scelta non casuale, che spiega lei stessa: “Oggi non si vende più la consolle settecentesca ma l’oggetto anni’ 90”. Il vintage è la forma primaria che ha assunto la nostalgia nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ha parafrasato Benjamin l’autrice. La parola ‘vintage’ deriva dal francese vendenge, che significa ‘vendemmia’ (dal latino vindimia). Il vintage richiama l’idea di un pregiato vino d’annata, di una bevanda preziosa a cui il tempo ha conferito nuove qualità. Il collezionismo di oggetti d’epoca unici era un’ossessione di un manipolo di appassionati, il vintage è una moda mainstream: mercatini dell’usato e festival che ruotano intorno al vintage, negozi rétro e siti di e-commerce con abiti e oggetti old style. Il vintage non ha nessuna pretesa di coerenza estetica o di completezza storica, ma ci invita a fare una paradossale esperienza del passato, un’esperienza concreta di un passato che non abbiamo vissuto, ma che ludicamente indossiamo, mangiamo, ascoltiamo, giochiamo ogni giorno.

Viviamo in un “supermercato della memoria”, come lo ha definito l’antropologo Arjun Appadurai. I nuovi strumenti tecnologici di archiviazione rendono fruibile e disponibile sincronicamente tutto il passato, anche quello mai vissuto, anche quello mai esistito, anche quello mai sognato: la nostalgia si estende oltre la nostra esperienza e comprende anche ciò che non fa parte della nostra storia o di quella della nostra comunità di appartenenza. La nostalgia non è più un affare privato. Non è più scritta nel diario segreto che leggiamo solo noi; non è neanche condivisa solo con il gruppo ristretto di persone; la nostalgia si mostra quotidianamente a un pubblico sempre più ampio nel diario personale rappresentato dai nostri social. I social ci invitano a condividere esperienze vissute in presa diretta, ma anche a ri-condividere ricordi, a ri-postare vecchie foto, in un virtuale amarcord collettivo.

Ha fatto storia il saggio del critico musicale Simon Reynolds dal titolo Retromania dedicato alla cultura dei primi dieci anni del XXI secolo. Reynolds lo chiama il ‘ri-decennio’ tra revival, ristampe, remake, ricostruzioni. Tutte le novità artistiche rimandano ad altro: gli anni che dovevano aprire al nuovo sono stati il decennio del riciclaggio rampante. Dato che l’immaginario collettivo è formato dall’industria culturale che, a sua volta, si plasma sull’immaginario collettivo che essa stessa contribuisce a creare, non si esce dal circolo vizioso della nostalgia.

Viviamo in una ‘iperstasi’. La vita digitale quotidiana è fatta di istantaneità tra downloading immediati e scrolling sullo smartphone, ma a livello macroculturale la prospettiva è statica. L’iperstasi combina in modo paradossale rapidità e immobilità. Da un lato una quantità incredibile di cambiamenti che modificano la vita sociale, dall’altro una standardizzazione culturale che sembra piegata su una nostalgia incapace di dar vita a una qualunque novità. “Senza il nuovo, quanto può durare una cultura? Cosa succede se i giovani non sono più in grado di suscitare stupore?” scrisse Mark Fisher in Realismo capitalista, a ridosso della crisi del 2008.

Il passato ritorna per annunciare che il futuro non c’è più. Dalla fiducia nel futuro dei primi anni ’90 che immaginavano, con slancio prometeico, alternative post umane si è giunti al campanello d’allarme dei primi Duemila: il futuro annuncia la sua sconfitta, il futuro è perduto. L’oggetto del desiderio della nostalgia attuale non è, dunque, un particolare periodo del passato, ma il ‘non ancora’ dei vari futuri che eravamo preparati ad attendere e che non ci sono mai stati.

Ciò che non cambia mai, mentre tutto si trasforma, è il carattere ambivalente e duplice di questo sentimento. Esistono due nostalgie che fatichiamo a riconoscere e a separare: una nostalgia ci fa vivere e una nostalgia ci fa morire; una nostalgia ci fa ritrovare la nostra identità e una nostalgia ci fa perdere il contatto con la realtà; una nostalgia ci proietta nel futuro e una nostalgia ci chiude nel rimpianto. La nostalgia stessa è un inganno, un’illusione, un cuscino emotivo su cui riposare; un balsamo che lenisce le nostre ferite, ma anche un veleno che spegne ogni nostro desiderio. Un ‘farmaco’ di cui abbiamo bisogno per curare i sintomi della nostra condizione che, come tutti i medicinali, ha numerose controindicazioni ed effetti collaterali che conviene conoscere prima di sbagliare il dosaggio.

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