L’informazione oggi in Italia: un’intervista per saperne di più

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Qui su Ithaca tanti ironizzavano sul fatto che prima o poi mi sarei dovuto fare una auto-intervista. Ancora non ci sono arrivato, ma intanto pubblico la trascrizione tradotta di un’intervista effettuata da due brillanti studentesse – Martina Tarquini e Sofia Sapuppo – dell’Università di Lisbona, nell’ambito del corso di Sociologia della comunicazione. Cerco di dire la mia sullo stato dell’informazione oggi, un tema che da sempre mi sta molto a cuore. Buona lettura!

1) Presentazione

“Sono di formazione un giornalista, anche se oggi il mio lavoro principale è quello di docente. Ho scritto per testate nazionali e locali e da un po’… sono sbarcato su Ithaca. Scrivere, devo dire, mi piace. Mi piace condividere le mie conoscenze e le mie riflessioni. Mi piace raccontare”.

2) In che settori hai concentrato la tua attività giornalistica?

“La politica è da sempre la mia passione, ma da un po’ ho sviluppato un certo interesse per il giornalismo culturale”.

3) Qual è il modo migliore di informarsi, secondo te?

“Il più efficace per raggiungere un pubblico vasto sono i social media, ma se dovessi parlare di qualità dell’informazione direi i giornali cartacei”.

4) Perché?

“Perché questi ultimi permettono di andare a fondo nelle questioni. Io compro il quotidiano, quindi lo pago, è un oggetto fisico che mi si propone davanti e lo sfoglio. Mi prendo il tempo per approfondire. Una relazione molto diversa dall’idea di informarsi scrollando notizie raccontate in modo apparentemente gratuito e apparentemente neutrale (oltre che in breve) su un social”.

5) Che ne dici della versione online dei giornali?

“Personalmente ero innamorato della carta. Però i costi sono diventati importanti, ora leggo da un po’ sul tablet. Gli abbonamenti online, oltre a essere convenienti, permettono di sostenere sul lungo periodo le imprese editoriali. [mostra il Jacobin magazine Italia, ndr] Questo è una delle tante riviste cartacee che ho (e a cui sono abbonato). Hanno tutte in comune di essere dei progetti indipendenti, chiari, forti e che riescono a resistere perché sono stati in grado di aggregare una comunità attorno a loro. In un mondo che legge meno, se sai creare la tua nicchia attenta, hai vinto”.

6) Pensi che i giovani siano interessati all’informazione tradizionale?

“No. Perlopiù c’è quest’idea di essere informati scrollando sui social. Ci si ferma a una fruizione abbastanza passiva e velocissima di dati grezzi. Ma cosa ci si fa di tutto questo? Al massimo conosco un fatto ma non so interpretarlo, collocarlo nel contesto e, quindi, capirlo realmente. Informarsi vuol dire andare al di là della superficie delle cose. Troppi sembrano accontentarsi di poco”.

7) Pensi che sia un problema solo italiano?

“No, credo che sia un problema generale ma che è ancora più profondo in Italia perché già prima si leggeva meno che altrove”.

8) Quali sono gli argomenti che interessano di più i giovani in Italia?

“C’è la cronaca nera, la cronaca rosa… Anche se noto un certo interesse di molti per le questioni di genere e l’ambiente. Di sicuro, e questo è un problema capitale, non ci si approccia alla politica. E questo è anche un problema dell’informazione, probabilmente, che non sa attirare le giovani generazioni. E un problema della scuola che non li ha resi consapevoli del fatto che se loro anche possono non occuparsi della politica, la politica si occuperà sempre di loro. E peggio, molto peggio, di come potrebbe”.

9) Il basso tasso di partecipazione al voto, nelle recenti tornate di elezioni in Italia, potrebbe essere un effetto di un basso tasso d’informazione?

“Ci sono dittature con le elezioni a suffragio universale, ma non ce ne sono con un sistema di libera informazione. La stampa libera è il fondamento di ogni sistema democratico, ben più del gesto di mettere una scheda in un’urna ogni tot anni”.

10) Allora l’Italia è un Paese democratico oppure no?

“Chiaramente non viviamo in una dittatura, ma attenzione a ritenerlo sufficiente. Le democrazie, spiega bene Zagrebelski, non sono mai dei sistemi statici: ma sono una lotta continua per la democrazia, una continua battaglia contro le oligarchie che continuamente si formano (e provano a perpetuarsi). Senza una partecipazione attiva e permanente di cittadini informati… uno Stato non può dirsi davvero democratico”.

11) Chi è messo meglio e chi peggio a livello di qualità dell’informazione?

Guardiamo alla guerra in Ucraina. Se vogliamo avere idea di quello che accade davvero, con buona approssimazione, leggiamo la grande stampa statunitense. Ed è un paradosso, visto che tanti dei problemi alla risoluzione del conflitto vengono dal governo di quel Paese. In Italia è molto più difficile avere buona informazione su questo argomento. La stampa americana ha una storia fatta di giornalismo di inchiesta, di giornalismo cane da guardia e non cane da riporto del potere. Inoltre, ha molte più garanzie legislative. In Europa penso alle democrazie del nord Europa, ma soprattutto per guardare a un nostro vicino: la Francia. Per fare degli esempi, è la patria di Charlie Hebdo con la sua satira feroce, o di mediapart.fr, un sito presente ormai da parecchi anni che fa inchieste scottanti e si finanzia con gli abbonamenti degli entusiasti lettori.
Esempi in negativo sono i Paesi dell’Est Europa con i tentativi di asservire stampa e sistema giudiziario (che sono appunto i principali contropoteri) o in generale le dittature più o meno mascherate in giro per il mondo
”.

12) Pensi che il modo di fare informazione online favorisca le fake news?

“In generale credo che gli strumenti siano neutri, dipende dall’uso che se ne fa. A me i social servono e ci trovo ottima informazione. Dopo di che sappiamo, perché se ne parla spesso, che i loro algoritmi favoriscono l’effetto bolla: ci presentano sempre opinioni su cui siamo d’accordo, disabituandoci al confronto, al dubbio. E poi sono fondati parecchio su brevità ed emotività, non proprio gli ingredienti di una sana informazione, fondata sulla riflessività. Tengo però a sottolineare che non è che le fake news siano nate con i social, ma esistono esattamente da quando esiste l’informazione”.

13) Credi che comunque i social rappresentino un passo indietro?

“In un certo senso sì. Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutemberg, siamo passati da una cultura dell’oralità a una cultura scritta, fondata sulla distanza critica da quanto si assorbe. Fondata su un certo protagonismo di chi legge. Oggi stiamo facendo il passaggio inverso, dallo scritto all’oralità, magari coadiuvati da immagini e video accattivanti. Una regressione a una minore capacità di riflessione”.

14) Il cartaceo sta morendo?

“Non credo che il supporto carta abbia un qualche futuro. Non morirà solo perché è già morto. Certo ci sono le versioni a pagamento online, ma troppo poche per sostenere il sistema. Non riescono a intercettare i bisogni informative delle persone, o comunque a far venire quel bisogno. Ci vorranno progetti nuovi, interattivi, diversi, ibridi, social. Ci sono tanti esperimenti al momento, si tratta di inventare un sistema che sia economicamente sostenibile. E qui ci vorrebbe anche un ruolo del pubblico in tutto questo. Il giornalismo è una professione essenziale, deve essere ben pagata e formata e produrrà prodotti informativi di qualità in piena libertà. Tutto questo ha un costo. I lettori di articoli online gratuiti, che si scorrono in gran velocità, forse non si rendono abbastanza conto di questo”.

15) E il giornalismo locale?

“In questo caso, rimando a quanto abbiamo già scritto su Ithaca QUI. E aggiungo che ci sono differenze anche geografiche fra nord e sud in Italia. Che hanno a che fare con le differenze economiche e con la presenza della criminalità organizzata. I tanti esperimenti liberi dal basso dei decenni scorsi, per cui anche c’era stato chi aveva dato la vita, sembrano affievolirsi sempre più al sud”.

16) Pensi che l’informazione debba essere imparziale?

“L’obiettività non esiste. C’è sempre un punto di vista. I fatti sono poca cosa in sé, vanno interpretati e contestualizzati e, nel farlo, abbiamo il nostro personale bagaglio culturale. Allora invece che di imparzialità dovremmo parlare di onestà. Dico quello che penso, sulla base del mio impegno, delle mie idee, delle mie conoscenze e voglio sinceramente informare. Se sbaglio, è perché sono umano ma non perché voglio fregarti. Chi si proclama obiettivo, sta solo nascondendo in modo fraudolento il suo punto di vista personale”.

17) Il governo italiano limita la libera informazione?

“No e sarebbe quasi bello se un governo occidentale lo facesse a viso aperto. La società civile reagirebbe, protesterebbe violentemente. Invece no, tutto avviene sempre in modo più indiretto, coperto, soffice. Spesso sono i giornalisti stessi che si autocensurano ormai. Perché gli editori hanno i loro interessi da preservare, perché non bisogna disturbare gli inserzionisti altrimenti non ci pagano altra pubblicità, perché non vogliamo nuove querele da chi abbiamo criticato/indagato nei nostri articoli. L’informazione controlla il potere e non viceversa, anche se sembra esserselo dimenticato. E questo a prescindere da chi sia al governo”.

È sempre stato così?

“No, pensiamo al fermento degli anni ’70. Le radio libere, i fogli cartacei che nascevano, la controcultura insomma. Quando c’è domanda, l’offerta appare. Oggi i lettori sono abbastanza pigri, bisogna trovare il modo di riattivarli. Ma a molti, forse, va bene così”.

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