San Benedetto, Emanuele Coccia presenta la sua “Filosofia della casa”

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Scrivere, per me, è come drogarsi. Quando si assume una sostanza psicotropa, si ha la possibilità di avere visioni incredibili e sublimi. Ecco la scrittura permette lo stesso risultato, peraltro senza effetti collaterali (se non una dipendenza mostruosa), ma con in più la possibilità di poter condividere quello che si vede, e si prova, con gli altri. Chi scrive (o legge) vede il mondo allargarsi. La casa è un po’ la stessa cosa, uno stranissimo supplemento d’esperienza, che non ha niente a che vedere con lo spazio circostante. Essa è un tentativo di plasmare il mondo a propria immagine e somiglianza, di raccontarsi e di costruire sé stessi”. Così Emanuele Coccia, nell’ambito degli “Incontri con l’Autore 40° edizione estate”, de I Luoghi della Scrittura e la libreria Libri ed Eventi, a cura di Mimmo Minuto con il sostegno di Comune e Regione. L’autore de “La filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità” è intervenuto lo scorso lunedì presso il Circolo Nautico Sambenedettese, conversando con Giovanna Frastalli.

LA CARRIERA –Se faccio qualche errore, parlando, perdonatemi ma sono i miei vent’anni di peregrinazioni che mi provocano qualche incespicamento lessicale e/o problemi di consecutio”. Filosofo, classe 1976, dal 2011 insegna all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. È editorialista di “Libération”, collabora con “Le Monde” e “la Repubblica”. Tra le sue pubblicazioni: La vita sensibile (Il Mulino, 2011), Il bene nelle cose (Il Mulino, 2014), La vita delle piante. Una metafisica della mescolanza (Il Mulino, 2018).

Filosofia della casa, Emanuele Coccia. Giulio Einaudi Editore - eBook

LA GENESI DEL LIBRO –Il progetto nasce prima della pandemia. Anche perché, vi assicuro, stare un anno chiusi in casa a parlare di casa è una buona definizione di inferno; a saperlo avrei scelto di parlare di spiaggia e mare o di viaggi intergalattici. La riflessione, comunque, scaturisce dal fatto che, per mille ragioni, ho traslocato moltissimo. Nel libro scrivo trenta volte, ma sono molte di più e ce ne saranno altre ancora: ogni volta so che non sarà l’ultima. Non sto bene troppo tempo nella stessa abitazione perché a un certo punto sento il bisogno di liberarmi delle cose e ritrovare un minimo di rapporto con me stesso, senza – appunto – la mediazione delle cose stesse”.

CASE E TRASLOCHI –L’idea fondamentale è, quindi, semplice. Il trasloco ci permette di capire che cos’è veramente una casa, molto più del semplice abitarci. L’angoscia (e anche la felicità) del trasloco sta nel capire che la casa consiste innanzitutto in quegli scatoloni in cui abbiamo messo la nostra piccola porzione di mondo. Col trasloco capisci che essa non è un semplice luogo architettonico, ma un cerchio magico in cui abbiamo raccolto cose, persone, animali, piante, atmosfere, eventi, immagini e ricordi con cui abbiamo deciso di avere un rapporto più intimo. L’intimità precede l’identità: attraverso ciò che decidiamo che ci è intimo arriviamo a essere ciò che siamo. Ẻ questo il contesto in cui possiamo provare a realizzare la felicità, come un’armonia arbitraria ed effimera che stringe per un attimo cose e persone in una relazione di intimità fisica e spirituale”.

CASA E CITTÀ –Questo è il libro più personale che abbia mai scritto, anche se si tratta di un’opera teorica, di filosofia. La felicità è, però, un io che si esprime e quindi ho dovuto costringermi a farlo. Partendo nelle riflessioni da me, anche da episodi stupidi. Da due anni e mezzo sono a Parigi in uno degli appartamenti che mi sono piaciuti di più. La posizione è molto centrale, architettonicamente è molto bello, seicentesco e si trova in una viuzza molto piccola dove non entra nessuno. La pandemia ci ha permesso di capire meglio alcune cose, quanto queste case, che poi a Parigi sono pure piccolissime, ci stanno strette. Abbiamo costruito uno spazio in cui tutto il bello sta fuori. Siamo una civiltà che ha scommesso sulla città”.

CITTÀ E MODERNITÀ – “Abbiamo ingiustamente ignorato la casa come spazio degno d’attenzione. Lo spazio di azione in cui accadono tutte le cose più importanti, infatti, è stato identificato con la dimensione pubblica, lo spazio urbano. Un approccio che ha avuto la duplice conseguenza di ignorare la rilevanza dello spazio domestico nella creazione della nostra identità e di incentivare la disuguaglianza di genere tramite la sovrapposizione tra la dicotomia pubblico/privato e quella maschile/femminile. La modernità è proprio nata strappando il lavoro alla casa. Ed in effetti siamo portati a pensare alla casa come a un luogo di ritiro. Continuiamo a costruire case come due o tre secoli fa, eppure oggi con i social abbiamo plasmato una sorta di salotto digitale spazi di intimità molto più grandi di quelli che una casa offre, bypassando le città e persino gli Stati”.

CASA E AMOREIo ogni giorno scambio con 5/6 persone almeno una trentina di messaggi. Forse per questo non esiste una casa per me, perché non c’è quella con cui posso condividere tempo e spazio non solo con quelle persone con cui tradizionalmente si è sempre fatto. E la pandemia ha accelerato questi cambiamenti: ‘Con chi ho bisogno di abitare’, questa è una delle domande che ci ha lasciato. La casa è infatti lo spazio per vivere l’amore. Siamo ossessionati dall’incontro, dall’innamoramento, eppure non abbiamo voluto creare un sapere su cosa sia un amore duraturo. Sarà l’amore a definire sempre di più l’architettura delle case e delle città: il modo in cui daremo forma a questa intimità sarà molto più capillare e diffuso, in cui l’amicizia avrà un ruolo chiave”.

PANDEMIA, CASA E CITTÀ –  “Iniziano infatti ora ad esserci possibilità di forme spaziali slegate dal lavoro, ma legate alla scelta delle persone con cui vogliamo vivere per essere felici. Le grandi imprese, incentivando lo smart working anche dopo l’emergenza, stanno infatti portando soprattutto i ceti dirigenti a lasciare le città. Per i negozi e i servizi sarà un danno e il paesaggio urbano dovrà essere ridisegnato. Al contempo le case, che non necessitano più di essere in città, si stanno riappropriando della dimensione lavorativa. E questo è uno dei passaggi più radicali degli ultimi secoli”.

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