“Dove vai in vacanza? Da nessuna parte”

Per un ascolano, come me, il 5 agosto festa del patrono Sant'Emidio rappresenta l'inizio delle vacanze. Ma cosa ne facciamo di chi non parte?

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Dove vai in vacanza? Molti di voi avranno formulato o ricevuto questa semplice domanda. Siamo ad inizio agosto e chi non parte è perché è già partito, sta partendo e partirà. Secondo un’indagine di Federalberghi con il supporto tecnico dell’Istituto ACS Marketing Solutions il 54,5% della popolazione, pari a 32,5 milioni di persone ha già fatto una vacanza nel mese di giugno e di luglio o si appresta a farla nei mesi di agosto e di settembre. Nell’estate 2019 gli italiani in vacanza erano stati 34,6 milioni.

Io a quella domanda, come tanti altri (poco meno della metà della popolazione italiana), invece ho risposto in imbarazzo: “Da nessuna parte”. Può succedere di ritrovarsi senza nemmeno un compagno di viaggio, di non avere abbastanza soldi o semplicemente di non sentirsi psicologicamente invogliati a partire (o magari tutte e tre le cose). E così si resta a casa, di solito davanti allo schermo dello smartphone, sommersi da Instagram stories con corpi perfettamente abbronzati, sodi, sdraiati su spiagge bianche, che si bagnano in acque cristalline, che ammiccano davanti a piatti davvero fotogenici o che brindano con un Quattro bianchi alla fragola.

Ormai è quasi banale ricordarlo, ma Instagram ci ricorda continuamente che non siamo abbastanza. La pressione di dover rappresentare in modo poco realistico la nostra vita e il nostro corpo, adeguatamente modificati con filtri e altri strumenti, ci produce ansia (quando non depressione): il divario fra immagine reale e social diventa troppo grande e quasi insopportabile. Molti programmano la propria vita in funzione del grado di instagrammabilità: dobbiamo apparire belli, conosciuti, ricchi, felici… perfetti, per adeguarci ai contenuti proposti.

Il nostro valore però non si misura nel vuoto espresso dall’immagine social. Vacanza, dal latino “vacantia”, da “vacans”, participio presente di “vacare”, significa proprio “essere vacuo, libero, senza occupazione”. Nella nostra società, questo recipiente vuoto deve essere colmato, riempito da occupazioni (fosse anche la costruzione di sé attraverso i social). La società produttivistica del tardo capitalismo ce lo chiede. La vacanza ha senso se il vuoto viene riempito da esperienze, movimento, fotografie, souvenir, calorie, emozioni. Insomma, la vacanza, per come la intendiamo noi occidentali del XXI secolo, è esattamente il contrario del vuoto, dell’ozio, della stasi come ricorda Davide Mazzocco. in “Cronofagia”.

Viviamo in un mondo in cui l’horror vacui è una malattia diffusa, quasi pandemica. Il sogno perverso del capitalismo è un mondo di insonni, un pianeta in costante stato di veglia, popolato da individui pronti per lavorare o per consumare.  E d’altronde nel breve volgere di un secolo, abbiamo ridotto il tempo del sonno di un terzo. Infatti Il 12,3% della popolazione statunitense (40 milioni di persone) è interessato da disturbi del sonno e il 30% della popolazione adulta fa i conti con episodi di insonnia ogni anno.

In un mondo che sembra dover essere continuamente pieno di cose da fare, obiettivi da raggiungere, persone da vedere, posti da visitare c’è chi sta male. Eppure dovremmo trovare spazio e tempo per noi: basta capitalizzare ogni istante. “Servono buone frequentazioni, buone letture, buona musica, tante altre cose buone, tra cui in particolare il contatto frequente e profondo con la natura, sia essa mare, montagna, fiume, lago, foresta, fiori, animali. Detto in sintesi, per acquisire saggezza occorre alimentarsi di bene” afferma il filosofo e teologo Vito Mancuso.

Proviamoci. E ricordiamoci di avere valore, sempre e in ogni caso. Intanto ripetiamo insieme: “È ok anche non andare in vacanza”.

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