Vivere di scrittura, Dafne Perticarini e la sua esperienza

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Dafne Perticarini è nata a Recanati (Macerata) nel 1980 e oggi vive ad Ascoli Piceno. Interessante la sua carriera, tutta legata alla scrittura, di cui parleremo diffusamente durante la nostra chiacchierata. Lou Damiano è lo pseudonimo utilizzato nel libro pubblicato nel gennaio del 2019 con Nulla Die Edizioni intitolato “Lou ha detto che non torna”. Prima ci sono stati libri scritti per imparare a scrivere e mai pubblicati, oltre un lungo saggio sul made in Italy, intitolato “Red in Italy” del 2015 per la Cavinato Editore di Brescia. La incontro alla vigilia della presentazione del suo terzo libro, “Il sapore della vittoria”, pubblicato da Carlo Filippini Editore. L’evento, realizzato dalla Libreria Prosperi (che ci ospita anche per l’intervista), è in collaborazione con l’Uteap e si svolgerà venerdì 10 dicembre alle ore 17 nella sede di quest’ultima in via dei Cappuccini, 26.

Il sapore della vittoria", Dafne Perticarini presenta il suo ultimo libro  ad Ascoli - Piceno Oggi

Partiamo proprio dal tuo ultimo libro, raccontacelo un po’.

Un romanzo vero, così l’ha chiamato il mio editore.  Io scrivo in presa diretta, o comunque prendo nota di qualcosa subito dopo il suo svolgimento. La protagonista sono io, con la mia storia. I miei libri si concentrano sulla mia crescita personale: in particolare in questo si parla d’amore. Al centro c’è la storia fra me e il mio ex compagno. Particolare è stato il luogo d’incontro: il carcere. Lui era un detenuto al Carcere Barcaglione di Ancona, io facevo lì la volontaria. Quindi racconto il passaggio nella comunità di reinserimento, la fase successiva alla detenzione, che dovrebbe preparare il ritorno alla ‘normalità’. Voglio precisare nuovamente che questo non è un libro su di lui, ma un libro su di me, su tutto quello che ho dovuto capire e decidere sull’amore. È stata una storia d’amore più difficile delle altre e mi ha fatto capire come si ama (o comunque io penso d’averlo capito). Anche se bisogna dire che al termine del libro ci sono alcune domande… In ogni caso il titolo, ‘Il sapore della vittoria’ è venuto fuori subito perché effettivamente noi due ci siamo riusciti, ed è stato una vittoria”.

Come sei arrivata al volontariato in carcere?

Cercavo qualcosa in un momento in cui c’erano poche opportunità sia di lavoro che di formazione. A forza di cercare, una sera mi ritrovo a uno spettacolo teatrale realizzato da detenuti. Uno spettacolo bruttissimo, bisogna dirlo (ma per colpa del regista), eppure la verità che loro trasmettevano mi ha davvero colpito.  Mi sono allora andata ad informare, ho seguito poi dei corsi con loro all’interno e – insomma – ho imparato proprio tanto.  Come spiegano coloro che ti formano, ci vuole molto a capire i meccanismi di funzionamento di quell’ambiente. C’è la giustapposizione di vari strati comunicativi, di diversi linguaggi sovrapposti ed è necessario possedere la chiave per decifrare tutto quello che succede: se non hai la guida giusta, rischi di fare errori. La formazione è lunga e mi viene solo da dire che è un posto veramente triste”.

Cosa mi dici invece degli altri libri che hai pubblicato?

Sempre pubblicati con editori indipendenti, sono anche quelli legati in qualche modo: io parlo di me, sono l’unica cosa onesta di cui posso parlare. Ho abbandonato l’idea del romanzo, mi sono data un’etica che è quella di non usare la storia d’altri. Penso ai classici reportage di una volta, che pure mi hanno formato, ma usare – ad esempio – degli esseri umani sotto le bombe per realizzare una bella foto… non fa per me!

Il libro precedente era sul viaggio negli Stati Uniti, che sembra una cosa banalissima (e lo è) ma nel mio caso è avvenuto alla fine di una relazione durata 21 anni. E così mi sono ritrovata ad affrontare tutto da sola, immagina me, in Louisiana a lavorare in un cantiere della ricostruzione post-catastrofe. Anche semplicemente imparare a dire in inglese i vari strumenti da lavoro. Ecco, in questo viaggio solitario ho appreso che, come donna, non mi arrangiavo poi tanto male. Anche quello, quindi, un libro sulla mia crescita. Mi sono chiesta: ‘Ma solo nell’Ottocento o prima ancora si potevano esplorare mondi nuovi? A noi non è rimasto proprio nulla? Un approccio ingenuo, forse, ma un modo per vedere il mondo con occhi freschi”.

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Rispetto al tuo stile, invece, nella presentazione si fa riferimento alla lezione appresa da Hunter S. Thompson.

Per lui ho una vera e propria venerazione. ‘Paura e Delirio a Las Vegas’ è il suo pezzo più famoso, l’esperienza letteraria definitiva per intere generazioni di lettori. Il suo Gonzo Journalism sovverte le regole tradizionali che si apprendono nelle scuole di giornalismo (imparzialità, oggettività ecc.) e porta la prima persona nel reportage, presentando i fatti quasi come se il lettore fosse lì a viverli direttamente. Nella convinzione che il giornalismo per essere veritiero e onesto non deve per forza essere rigidamente asettico. Io non sono alla sua altezza. Da lì sono partita per costruire poi uno stile tutto mio, quello diciamo è il riferimento che abbiamo scelto di dare con il mio editore. Alla fine, però, è uno stile mio”.

Come sei arrivata alla scrittura?

In prima elementare ho imparato a scrivere e… Questo è la risposta scherzosa che do quando mi chiedono che percorso ho seguito per arrivare a scrivere. Seriamente, niente di particolare: inizi a scrivere per te e non hai il coraggio di mostrarlo; poi lo fai vedere a qualche amica, poi apri un blog e alla fine sono arrivati gli editori (un’esperienza importante, in quanto si tratta di porsi in modo diverso). Nel frattempo c’era stata la scrittura online, anche per un magazine americano (peraltro l’unica volta in cui mi è risultato utile LinkedIn). Leggevo moltissimo a 12 anni, poi col tempo ho smesso. Ora pochissimo. In ogni caso sono sempre stata attirata da quell’emozione che deriva dalla realtà, senza perdermi nei romanzi di ‘fantasia’: il verismo, Zola, gli scrittori americani… ‘Il vecchio e il mare’ di Hemingway è la cosa più perfetta che io abbia mai letto”.

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Oggi vivi finalmente di scrittura, come ci sei riuscita?

Progressivamente. Studiando. Inventandomi delle cose. Sapevo solo che volevo e potevo fare solo quello che mi piaceva. Ho messo insieme esperienze diverse – il marketing turistico ad esempio – che possono sembrare confuse, ma in realtà mi hanno permesso di costruire la mia figura professionale. Offro tutta una serie di servizi e… sta andando bene. In generale mi occupo di comunicazione, utilizzando il mio lavoro di scrittura pura per aiutare aziende e singoli a raccontare la loro storia, con libri (ghostwriting), articoli strategia comunicativa e contenuti su tutti i supporti e le piattaforme. Ora, ad esempio, sto lavorando con una persona alla sua biografia, stiamo ragionando poco a poco sul trovare le sue parole. Per una cantina, invece, sto preparando articoli, coordinandomi, con umiltà, con quello che già c’è e hanno fatto: occorre costruire qualcosa di tagliato su misura sui loro valori, il loro tono di voce ecc”.

In questo vasto mondo della scrittura, che cosa preferisci?

Certamente, come tutti, scrivere quello che pare a me. Però fra le varie cose che faccio devo dire che i percorsi narrativi con persone fragili (e non) sono la cosa che mi dà di più. Proprio perché egoisticamente ho da imparare moltissimo. Senza maschere, ti raccontano, si raccontano.”.

Si tratta di ragionare insieme a loro sulla trama, per capire un po’ la trama della loro vita a che punto sia. Di solito uso qualcosa di scritto come gancio. C’è, ad esempio, chi mi dice: ‘Voglio scrivere una lettera d’amore e non so farlo’ oppure chi mi racconta che gli è successo qualcosa di brutto e vuole scriverlo per metterlo via. O ancora, mi raccontano la loro storia e io ne faccio una piccola favola. Partiamo da lì per ragionare poi sugli obiettivi di quelle persone, quanto è stato realizzato, la trama. Il tutto in un confronto con gli altri operatori (come psicologi ecc.) che li seguono. E funziona. Voglio raccontarti di questa persona, senza nessun tipo di formazione culturale; parliamo di miti greci e lui mi capisce all’istante. Io volevo portarlo a trovare la sua strada in autonomia e quindi volevo presentargli i miti sull’uccisione del genitore… Ero preoccupata ma, in realtà, ho avuto conferma della potenza e dell’universalità della letteratura”.

Cosa diresti a chi vuole intraprendere una carriera nel mondo della scrittura?

Citerei Bukowski:

‘Se non ti esplode dentro

a dispetto di tutto,

non farlo

a meno che non ti venga dritto

dal cuore e dalla mente e dalla bocca

e dalle viscere,

non farlo.’

Non si diventa ricchi. Neanche lontanamente. Però se, come per me, è l’unica cosa che ti interessa occorre farlo. Quel qualcosa che ti piace profondamente, che ti aiuta a guarire. Quel qualcosa che ti aiuta a colmare quel deficit comunicativo che tutti, in una certa misura, sentiamo di avere. Altrimenti fai altro”.

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