Cemento, cemento, cemento… ma quanto suolo stiamo consumando?

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In pochi sanno che il nostro futuro dipende dallo strato sottile che si estende sotto i nostri piedi. Il suolo e la moltitudine di organismi che in esso vivono, ci forniscono cibo, biomassa, fibre e materia prima, regolano i cicli dell’acqua, del carbonio e dei nutrienti e rendono possibile la vita sulla terra” ha scritto la Commissione europea lo scorso anno. Sul suolo camminiamo, coltiviamo, costruiamo case, chiese, palazzi e strade. Ma nell’epoca del cambiamento climatico, bisogna considerare che il suolo è anche uno straordinario deposito di carbonio, un magazzino di CO2 che, quando funziona, impedisce l’ulteriore accumulo di anidride carbonica in atmosfera.

Nonostante questo, dalla rivoluzione industriale, metà delle terre coperte da vegetazione è stata trasformata in altro, contribuendo a rilasciare in atmosfera una quantità di carbonio che si aggira tra i 200 e i 260 miliardi di tonnellate, quasi pari alle emissioni generate dall’uso dei combustibili fossili. Malgrado le costanti sollecitazioni della comunità scientifica e le denunce della società civile che da tempo si mobilita per proteggere il suolo, si continua a costruire come se la terra fosse un inerte e non uno strumento fondamentale per affrontare la difficile fase climatica che abbiamo prodotto.

A confermarlo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.

Tra il 2006 e il 2021 il Belpaese ha perso 1.153 km2 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km2 all’anno a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno.

I valori percentuali più elevati del suolo consumato sono in Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%). Per quanto riguarda le provincie, in termini assoluti, la città metropolitana di Roma si conferma quella con la maggiore superficie consumata al 2021, con oltre 70.100 ettari. Un ritmo non sostenibile che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale. Insomma, quella che manca è la politica…

Andando a vedere una panoramica locale, partiamo dei tre Comuni principali della nostra zona fra il 2006 e il 2022: ad Ascoli Piceno sono stati consumati 44 ettari in più, passando di un consumo di suolo del 9,5% a uno del 9,8%. A San Benedetto del Tronto 31 ettari in più, con un passaggio dal 36,2% al 37,2% del suolo consumato. Infine a Fermo ben 118 ettari in più, con un consumo di suolo che dal 10,1% va all’11%. Se invece consideriamo le intere province, abbiamo Ascoli che passa da 7454 ettari (6,1% del suolo consumato) a 7830 ettari (6,4% del suolo consumato). Fermo da 6336 ettari (7,4%) a 6752 ettari (7,8%). Infine l’intera regione passa da 60996 ettari (6,5% del suolo consumato) a 64691 ettari (6,9% del suolo consumato).

Stando ai dati diffusi da Ispra, il suolo consumato negli ultimi dieci anni, avrebbe garantito la fornitura complessiva di quattro milioni e 150mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Stesso discorso vale per la capacità di stoccaggio del carbonio che equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero più di “un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di due milioni di volte il giro della terra“.

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