Alla Cartiera Papale arriva il “Sogno ricorrente” di Calenti

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Una mostra di un’artista piceno in forte ascesa nel panorama dell’arte contemporanea. E’ quella che si sta per aprire negli storici locali della Cartiera Papale di Ascoli che, da sabato 11 dicembre e per un mese, ospiterà le opere di Maurizio Calenti nella personale intitolata “Un sogno ricorrente” e curata da Enzo Di Salvatore.

Dopo l’esordio dello scorso anno ad Ostra Vetere e l’evento estivo alla galleria Marcantoni di Pedaso, anche il pubblico ascolano potrà ammirare da vicino le opere, frutto di una lunga produzione nel corso degli anni, dell’artista di Pagliare del Tronto che è anche docente e collaboratore del dirigente scolastico al Liceo Artistico “Osvaldo Licini”. Inoltre Calenti è stato uno dei finalisti del Premio Marche 2022 di Urbino dove è stato selezionato insieme ad importanti artisti del panorama nazionale e regionale.

La mostra si aprirà sabato 11 dicembre alle ore 16,30 con un incontro-dibattito sul ruolo che il sogno ha nell’arte a cui prenderanno parte l’artista Calenti insieme a docenti e studiosi come Maria Paola Alviti, Antonio D’Isidoro, Marino Capretti e Enzo Di Salvatore. L’evento è organizzato con il patrocinio della Provincia di Ascoli Piceno e dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione delle Marche.

“L’arte non è morta, ma è raro incontrare qualcuno che abbia ancora qualcosa da dire -spiega il curatore Enzo Di Salvatore– Uno di questi è Maurizio Calenti, la cui opera parrebbe non somigliare a quella di nessuno. La riconosci subito ed è come il caviale: o l’ami alla follia o la detesti profondamente; più difficilmente ti lascia indifferente. Le tavole e le tele di Calenti non possiedono messaggi dirompenti. La loro forza sta tutta nella bellezza formale – nel lirismo puro e assoluto – e nella precisione tecnica. Basterebbe dare un’occhiata alle incisioni degli anni ‘90 per rendersi conto di quanto rigore e abilità artistica restino rappresi sulla carta Rosaspina. Calenti non è ascrivibile ad alcun movimento conosciuto. A qualcuno la sua opera potrà forse ricordare i lavori di Claudio Olivieri o anche parte della splendida produzione di Alberto Burri; ma la distanza dalla pittura analitica e dai capolavori del Maestro umbro è netta. Non c’è pittura per la pittura; non ci sono meri segni, pura materia, né vivido colore. E, d’altra parte, diversamente da Burri, la geometria e la materia in Calenti non restano distinte: si sovrappongono, si integrano, si completano a vicenda. Calenti talvolta annienta lo spazio e abbatte il tempo, in modo che la materia possa fluttuare liberamente; talaltra la intrappola disperatamente entro curve o linee della memoria, che evocano prigioni immaginarie. Lontano dalla sua opera è l’informale; bandito è pure ogni concettualismo, ogni psicologismo. Non c’è improvvisazione, non ci sono idee, né illustrazioni: la tavola, attraverso il bianco e il nero, si propone di fissare una emozione, di restituire l’Heimweh, di offrire allo spettatore più sensibile il sapore di un ricordo, di un incontro e di una separazione; oppure, più semplicemente, la percezione di un sogno burrascoso, quando nel cuore della notte ci si desta all’improvviso senza un perché. La sua opera è rischiarata da una luce misteriosa, che attraversa la tavola, impreziosisce i chiaroscuri e gioca con la composizione, mentre il tratteggio non racconta una esistenza, ma mostra l’esistenza. Chi la guardasse a fondo resterebbe nudo, nonostante l’impossibilità oggettiva di contemplarla con partecipazione sentimentale. In essa è assente il dramma, non c’è azione; c’è solo il senso ciclico e profondo dell’esperienza umana, che è universale e per questo eterna”

“L’opera aniconica di Calenti -aggiunge Claudio Marcantoni– è il risultato di una ricerca pittorica per nulla scontata che parte da lontano. Si alimenta di poetiche visioni, di continui rimandi ad una dimensione alta dell’arte, dove il messaggio non è alla portata immediata dello spettatore, dove il piacere epidermico non permea totalmente e non soddisfa la sfera visiva. Tutt’altro, le opere dell’artista ascolano mettono a dovuta e voluta distanza colui che guarda, spiazzano intelligentemente, sono provocatorie. Buchi neri di un’arte che non vuol descrivere, non vuol rappresentare ma presentare. Tele e carte che si armonizzano su variazioni tematiche eterogenee, consonanze di un poema sinfonico che trova ispirazione da retaggi culturali potenti, lucidi e voluti. L’arte di Calenti non è figlia del nostro tempo. Troppo spesso abituati ad alfabeti effimeri ed immediati, le sue opere sono volutamente decontestualizzate dall’immaginario collettivo di un’arte iconografica becera e superflua. Non è emozione quella che traspare dai lavori qui esposti, non è voglia di invaghire, di stupire con effetti realistici. Ci troviamo di fronte ad una personalità complessa, che fatica nel creare il proprio alfabeto artistico, che si tormenta nella ricerca di pentagrammi che siano equilibrati ma dissonanti. Suoni amalgamati con maestria e sapienza tecnica che sprigionano orizzonti sonori su di un basso continuo solido e impregnato di sapere. E’ la ricerca che contraddistingue l’originalità di un’opera o di un testo artistico visivo. La storia dell’arte ce lo insegna e lo ha messo sempre in evidenza. C’è ricerca coloristica nelle tele dei pittori analitici, c’è ricerca verbale nei collage dei poeti visivi, c’è rappresentazione storiografica rivisitata negli artisti del gruppo dei “ Milanesi”. Nelle opere di Calenti c’è quella ricerca che lo contraddistingue e lo fa essere un artista fuori dal coro. Non è assolutamente un linguaggio poetico lineare il suo. Accostarsi alle sue opere ci mette quasi in soggezione, una diffidenza voluta che ci obbliga ad entrare in una sfera artistica non comoda ma totalmente coinvolgente. Il suo lavoro apparentemente monocromatico nella maggior parte delle sue tele ci inganna. Il suo è un approccio certosino di cromatismi affini ma diversissimi, sfumature di rara eleganza che emanano pennellate sonore debussyniane dove il tema non è mai esplicito ma aleatorio e costantemente decantato da timbri diversi. Si cimenta inoltre nella lavorazione di opere incisorie. Si sporca le mani nella creazioni di segni incisi dal sapore antico. La terra Marchigiana è storicamente riconosciuta come la culla di grandi acquafortisti che hanno lasciato letteralmente un segno indelebile nella storiografia di questa elegante e difficile tecnica. Anche qui l’autore si sente a suo agio. Sa quali tasti toccare, sa decantare le sue idee con risultati sempre raffinati e mai scontati. Il percorso che è stato qui pensato e creato vuole essere una “passeggiata sonora”dove lo spettatore può immergersi e navigare mondi lontani che “solo in sogno si possono visitare”. Spaziare e farsi ammaliare da queste tele in un apparente silenzio coloristico è il mondo e il modo in cui Calenti vorrebbe fossero lette le sue opere. Il suo è un ritmo artistico volutamente ripetuto, un canone poetico ad appannaggio di un pubblico che vuole ancora stupirsi con l’arte, che vuol riflettere e non dare nulla di scontato. Uno stimolo provocatorio che è essenziale nell’arte -conclude- Un creare per stimolare e non per sbalordire. Tutto questo è Maurizio Calenti, un’anima sensibile ed unica che naviga e si eregge a faro di un messaggio artistico intriso di stimoli e di ricerche complesse. Linguaggi che devono entrare in maniera prorompente nelle menti degli spettatori, che non devono avere risposte evidentemente plausibili ma percorsi stimolanti e sempre costellati da domande e non da effimere risposte”.

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