Ascoli Piceno e università, un rapporto complicato

7 minuti di lettura

Avete presente come è evoluta la struttura urbana della città dopo la nascita dell’università?“. Era a una lezione di Storia medievale a Bologna, da giovane studente di Storia, e la docente ci fece vedere una piantina della città che ne evidenziava l’impressionante espansione urbanistica, collegato all’incremento di popolazione. Un colpo d’occhio importante sull’impatto dell’università sulla vita di un centro urbano. In un’altra lezione il direttore del dipartimento, per non so che discorso, ci parlava del contributo economico che la presenza dell’Unibo dava a Bologna, che era stato quantificato in alcuni milioni di euro al giorno.

undefined
Le cinte murarie e i canali di Bologna. In rosso la cinta di selenite (tracciato ipotetico, fine impero romano). In verde l’addizione longobarda. In giallo la “cerchia del mille”. In viola la “circla” (XIV sec. circa).

Ad Ascoli Piceno si fa un gran parlare, in questi giorni, di università e del suo ruolo per la città. Pochi giorni fa, quasi in sordina, sul sito dell’Università di Camerino è comparso un annuncio: lo spostamento del Corso di Laurea in Tecnologie Innovative per i Beni Culturali dalla sede ascolana a quella di Camerino a partire dal prossimo anno accademico. Si tratta di una formazione, recita sempre il sito che “ha una natura fortemente interdisciplinare e si pone l’obiettivo della creazione di figure professionali in grado di intervenire, con competenze qualificate di carattere tecnico-scientifico unite a competenze di ordine umanistico, nel processo che accompagna gli interventi di diagnostica, conservazione e restauro dei Beni Culturali“.

La protesta è subito montata fra gli studenti iscritti che hanno aperto una pagina Facebook “No alla Chiusura della sede di Ascoli di Tecn. Inn. Beni Culturali” in cui, tra le altre cose, scrivono: “Ma effettivamente cosa facciamo noi studenti di Diagnostica? Oltre le diverse lezioni frontali teoriche, sono presenti anche diverse esperienze in laboratorio e di attività sul campo. In questo corso si toccano molti ambiti, scientifici e umanistici, ed è bello vedere come in realtà sono tutti strettamente legati! Dalla coltivazione batterica alle visite nella Pinacoteca di Ascoli, passando per la ricostruzione cranio-facciale tramite antichi calvari, per arrivare a sopralluoghi e analisi di edifici come l’Annunziata e la Fortezza Pia“.

Le opposizioni in Consiglio comunale sono insorte. I consiglieri del Partito Democratico (Ameli, Frenquellucci e Procaccini) in una interrogazione a risposta orale hanno chiesto al sindaco Fioravanti: “Se era a conoscenza della scelta dell’Università di Camerino; se il Cup era a conoscenza; se ritiene assolutamente necessario il mantenimento della sede del corso di laurea ad Ascoli; se e quali iniziative il primo cittadino intende mettere in atto affinché il corso di laurea possa essere mantenuto nella città delle cento torri“.

Su Change.org è nata una petizione, che: “Ascoli Piceno è una città ricca di patrimonio culturale, con numerosi musei, teatri, e una soprintendenza [Marche Sud, ndr] dei beni culturali attiva e dinamica. La città ha anche un forte collegamento con le facoltà di Architettura e Design, che offrono un’importante opportunità di sinergia e collaborazione. Inoltre, il corso di tecnologie innovative per i beni culturali è di grande importanza per la fase di ricostruzione post-terremoto che stiamo attraversando, e dovrebbe essere considerato come parte integrante di un rilancio integrato delle attività universitarie nella città. Il trasferimento del corso a Camerino rappresenta un grave impoverimento della città. Il corso è scarsamente promosso mentre meriterebbe una promozione adeguata da parte dei docenti e dirigenti Unicam“.

In una nota l’Università ha poi precisato che i pochi studenti attuali saranno salvaguardati: “(7 al primo anno, 5 al secondo e 11 al terzo) sarà garantita la continuità didattica nella sede di Ascoli, senza la necessità di trasferimento, costi aggiuntivi o modifiche al piano di studi scelto“. E ha aggiunto che: “come sempre accaduto, qualsiasi scelta inerente l’offerta didattica nella città, è stata comunicata e condivisa con il comune di Ascoli e il Cup. Tale rapporto di collaborazione proseguirà con la consueta disponibilità e chiarezza, che da sempre caratterizzano l’operato dell’ateneo di Camerino in questo territorio. È prevista l’attivazione di ulteriori due corsi di laurea: una laurea triennale in ‘arti, industrie creative e beni culturali’ ed una magistrale in ‘paesaggio ed agricoltura’“.

Nelle discussioni social in questi giorni, un ex studente è intervenuto in modo articolato: “L’u­ni­ver­si­tà me­ri­ta ri­spet­to ave­re una sede uni­ver­si­ta­ria nel­la pro­pria cit­tà non è un di­rit­to ac­qui­si­to ma un qual­co­sa da con­qui­star­si e pre­ser­va­re come uno scri­gno. Se an­co­ra chia­ma­te il Polo Uni­ver­si­ta­rio San­t’An­ge­lo Ma­gno “Ex Ospe­da­le Maz­zo­ni”, di cosa stia­mo par­lan­do? Se gli stu­den­ti uni­ver­si­ta­ri ad Asco­li han­no come uni­co luo­go di in­trat­te­ni­men­to il bar di At­ti­lio al­l’An­nun­zia­ta (co­mun­que po­sto fi­ghis­si­mo, ma non pro­prio spa­zio­so) di cosa stia­mo par­lan­do? 

Se l’u­ni­co Au­di­to­rium al­l’in­ter­no del­la sede uni­ver­si­ta­ria è chiu­so e non è frui­bi­le dal­la co­mu­ni­tà stu­den­te­sca, di cosa stia­mo par­lan­do? Se non ci sono scon­ti­sti­che ad hoc per gli stu­den­ti nel­le at­ti­vi­tà com­mer­cia­li e ri­cet­ti­ve del­la cit­tà ma per i mi­li­ta­ri si… di cosa stia­mo par­lan­do? Se le se­ra­te uni­ver­si­ta­rie ven­go­no in­ter­rot­te a mez­za­not­te per la pri­ma la­gna di qual­che cit­ta­di­no … di cosa stia­mo par­lan­do? Es­sen­do sta­to stu­den­te uni­ver­si­ta­rio ad Asco­li, so bene di cosa sto par­lan­do e il cli­ma non è si­cu­ra­men­te di­na­mi­co per una co­mu­ni­tà stu­den­te­sca uni­ver­si­ta­ria. Cer­ta­men­te, an­che l’u­ni­ver­si­tà avrà le sue col­pe, ma Asco­li ha da sem­pre fat­to fa­ti­ca ad ac­cor­ger­si del po­ten­zia­le del­la sua co­mu­ni­tà uni­ver­si­ta­ria e con­ti­nua a pa­gar­ne le con­se­guen­ze”.

Intanto lato università Politecnica delle Marche, al momento guidata dal rettore ascolano Gian Luca Gregori, si conferma con quasi certezza l’attivazione dal prossimo anno accademico del corso di laurea in Tecniche di radiologia presso l’ospedale Mazzoni. Si confermano inoltre Infermieristica e Sistemi agricoli innovativi. Quest’ultimo, partito con 13/14 iscritti al primo anno, quest’anno ne avrà oltre 20.

C’è molto da fare insomma per il neo-presidente del Consorzio universitario piceno, Claudio Massi. Arrivato da poche settimane, sarà in carica per poco più di un anno, quando scadrà il mandato del Consiglio d’amministrazione. A settembre scorso si era dimesso Achille Buonfigli. L’Amministrazione comunale ascolana intanto ricorda i milioni di euro che saranno spesi prossimamente per le strutture universitarie cittadine.

Qual è l’impatto delle università decentrate?

Le iscrizioni all’università iniziarono ad aumentare nella metà degli anni Sessanta, con l’incremento dell’accesso all’istruzione secondaria che trasformò l’università, da istituzione chiusa dedicata alla riproduzione delle élite esistenti, a un sistema in espansione, che accoglie un insieme di studenti più ampio e più articolato di quanto sia mai stato in passato. Poi, nel 1969, il processo proseguì con la liberalizzazione dell’accesso ai corsi universitari per i diplomati degli istituti tecnici e professionali. Per permettere un ampliamento dell’offerta di educazione terziaria a una quota maggiore e più diversificata della popolazione, non si scelse la strada di percorsi alternativi tra università ed educazione terziaria non universitaria, come avviene in paesi quali Olanda e Germania (dove sono presenti rispettivamente Hogescholen e Fachoschulen, scuole tecniche superiori di livello terziario) oppure l’incentivazione della concorrenza tra offerta di educazione terziaria da parte del settore pubblico e privato, come avviene per esempio in alcuni paesi anglosassoni, dell’America latina e in Portogallo. Si preferì invece incoraggiare la delocalizzazione territoriale dell’offerta formativa.

Negli anni ’70 e poi negli anni ’90 fu approvata l’apertura di nuovi atenei, molti dei quali in centri urbani di medie dimensioni e poi anche di piccole. Molti atenei hanno in seguito scelto di aprire sedi decentrate in centri diversi da quelli della sede principale, e storica, dell’ateneo. Nel 2004-2005 ben l’80% degli atenei statali italiani aveva attuato una qualche delocalizzazione delle proprie attività didattiche (nel 52% dei casi anche delle proprie attività di ricerca) al di fuori del territorio comunale in cui ha sede l’ateneo centrale. Di conseguenza, nel 2006 ben 277 città italiane di varie dimensioni ospitavano almeno un corso universitario.

Il dibattito sulle sedi decentrate in Italia ha assunto spesso connotazioni negative. È stato osservato come i processi di decentramento abbiano spesso risposto a logiche di convenienza politica, motivate dal desiderio delle istituzioni locali di aumentare il prestigio della propria città e attirare finanziamenti pubblici, senza un’analisi approfondita delle specifiche esigenze del territorio. Questo porterebbe a una serie di problemi quali la duplicazione di corsi già esistenti in sedi relativamente vicine; la creazione di corsi non necessari, inefficienti, e slegati dal contesto locale; scelte di localizzazione dettate da convenienza economica e logiche politiche anziché da una oculata analisi della domanda di formazione espressa dai residenti. Dall’altra parte, non mancano contributi teorici ed empirici, a livello nazionale e internazionale, che hanno invece messo in evidenza come la presenza di una offerta formativa decentrata abbia vari effetti positivi su aspetti quali: l’ampliamento dell’accesso all’istruzione universitaria, in particolare a nuove categorie di studenti che tradizionalmente non erano soliti frequentare l’università; l’agevolazione dell’accesso al mercato del lavoro locale e non; la promozione di una forza lavoro locale maggiormente qualificata e l’offerta di competenze e conoscenze scientifiche particolarmente rispondenti alle esigenze delle imprese locali, fattori che diventerebbero motori di sviluppo per il territorio”.

Citazione e tabella da: “L’impatto economico delle università decentrate: il caso di Cuneo”, I quaderni della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

“Dram-madre”, alla Rinascita il nuovo romanzo di Giorgio Massi

Next Story

Ascoli, il libro che celebra la Marcia su Roma e la risposta dei centristi

Ultime da