“Illustratrici, illustratori, disegnatrici e disegnatori di fumetti per me sono tra i più autentici, profondi e sensati artisti di questi tempi oscuri. Solo tra di loro vedo un sincero desiderio espressivo, lontano dalle mondanità delle biennali e dallo sciattume della CGI, dal mal uso dell’intelligenza artificiale“. Queste parole di Riccardo Falcinelli, scritte proprio oggi, risuonano in me immediatamente mentre, alla libreria Rinascita di Ascoli Piceno, ascolto Giuseppe Palumbo, figura chiave del fumetto italiano contemporaneo.
Palumbo ha iniziato la sua carriera negli anni ’80 pubblicando su Frigidaire e Cyborg, creando il personaggio cult Ramarro, il primo supereroe masochista. Da allora, ha lavorato per testate storiche come Martin Mystère e Diabolik, collaborando con editori italiani e internazionali, tra cui Rizzoli e Kodansha. Oltre al fumetto, si occupa di illustrazione, grafica e insegnamento, contribuendo alla formazione di nuove generazioni di autori.

Fra le mani degli intervenuti, di tutte le età, c’è “Tomka, il gitano di Guernica” (Rizzoli), la graphic novel da lui disegnata su testi di Massimo Carlotto, considerato uno dei migliori scrittori di noir e hard boiled a livello internazionale. L’evento, organizzato nell’ambito del progetto “Educare alla pace con l’Arte: Picasso e Guernica” promosso dall’AICVAS (Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna), non vuole essere una semplice presentazione. È un atto di resistenza culturale. Accanto a Palumbo siede infatti Italo Poma, presidente AICVAS e figlio di Anello Poma -partigiano e combattente in Spagna- che ha lavorato per anni alla raccolta e conservazione delle testimonianze dei volontari italiani nella guerra di Spagna.
Palumbo, con la sua contagiosa capacità affabulatoria, esordisce: “Quando l’editore mi propose di collaborare con un grande scrittore come Massimo Carlotto, io non ebbi dubbi, anzi fui felice, perché per me riprendeva un’idea di fumetto che non fosse puramente scappista, insomma, non solo un passatempo. Volevo un linguaggio adulto, che potesse reggere il confronto con la letteratura“.

Un gitano a Guernica, mentre un aereo tedesco si stacca dallo stormo e bombarda l’accampamento, i cavalli, i carri con la sua gente. La decisione di partecipare alla guerra civile dalla parte della Repubblica, contro i franchisti, i tedeschi, i fascisti, solo per vendicarsi e morire. Una storia d’amore segnata dall’atmosfera di incertezza e tradimento. Il romanzo a fumetti di Massimo Carlotto e Giuseppe Palumbo racconta le illusioni e la crudeltà della guerra di Spagna, vera prova generale del secondo conflitto mondiale, attraverso la visione di un popolo – quello gitano – che non conosce la guerra. Racconta anche temi classici come la fuga, la sconfitta, l’accanimento del destino, il bisogno di scacciare i fantasmi del passato, il desiderio di espiare arrendendosi a quei fantasmi.
“Tomka prese il volto di José Ortega“, racconta Palumbo, “artista spagnolo che conobbi a Matera da bambino. Era un grande artista, un esule antifranchista. A 15 anni attaccava manifesti contro Franco a Madrid; a 23 anni, lo condannarono a 10 anni di carcere, di cui ne ha scontati cinque. Dopo la fuga a Parigi, conobbe Picasso e Le Corbusier. Alla fine arrivò a Matera: gli ricordava la Spagna. Una delle persone che lo accolse in città fu mio padre, Franco Palumbo“.
Rievocando quel periodo, Palumbo descrive Ortega: “Aveva un volto scavato come Pasolini, occhi penetranti, una cappa nera foderata di raso rosso. Dipingeva con terre colorate in barattoli di vetro, creando tonalità liquide, intense“.

E poi Matera, “grazie a Carlo Levi, grazie a Pasolini, era all’evidenza nell’ambito della produzione culturale. Ortega decise di creare il suo studio in una casa dei Sassi. Immaginate che negli anni ’70 i Sassi di Matera erano buoni solo per essere abbandonati. Ricordo che con mio padre andavamo in giro a cercargli una sistemazione, e alla fine gli trovammo un posto dove potesse aggiustarsi un letto, un cucinotto e continuare a dipingere. Lui conobbe i maestri cartapestai e cominciò a sperimentare la cartapesta dipinta con la tradizione materana. Ricordo i suoi barattoli di vetro pieni di terre colorate, il suo modo di impastare i colori con la polvere, creando tinte incredibilmente liquide. ‘Con la cartapesta materana’, diceva, ‘si può raccontare tutto’. Questa idea mi è rimasta dentro: ogni tratto deve essere denso, materico, deve portarsi dietro la memoria della storia”.
Palumbo svela poi il suo metodo: “Disegnai non la pagina a fumetti così come è prodotta nel libro, ma ogni singola porzione della pagina su fogli separati, direttamente a pennello, senza fare nessun tipo di studio a matita. In questo modo ogni segno era l’esatta riproduzione dell’espressione che volevo ottenere leggendo il testo. È chiaro che questo è un esercizio di concentrazione, potremmo definirlo Zen, senza esagerare, perché lo Zen è una disciplina e io sono indisciplinato. Se il disegno non mi veniva bene, lo buttavo via“.
Poi, il montaggio, come per un film: “Usai QuarkXPress – oggi obsoleto – per creare ritmo: zoom, inversioni di tono, sovrapposizioni. Le sequenze del bombardamento di Guernica, per esempio, dovevano avere il martellamento delle bombe. Per questo spezzai l’opera di Picasso in frammenti, incluso ciò che lui aveva scartato. Picasso diceva che Guernica era un ‘gigantesco cartoon’: io ho preso alla lettera quella definizione, usando le foto di Dora Maar che documentano la genesi del dipinto, per frammentarlo e inserirlo nella narrazione del bombardamento. Non volevo che il lettore lo guardasse da fuori, ma che lo sentisse addosso.
Avrei potuto facilmente fare una serie di vignette con gli aerei che sganciano bombe. Ma dove finiva l’emozione? Intercettando la genesi di Guernica, ho capito che dovevo raccontare il bombardamento attraverso i frammenti del dipinto. Il lettore riconosce le immagini e l’atto di leggere diventa ancora più forte: non è più solo una scena, ma un’esperienza“.






Una prima domanda dal pubblico: “Quanto c’è di storico e quanto d’inventato?“. Risponde prontamente Palumbo: “Massimo ha fatto un gran lavoro di ricerca. Non c’è nulla di improvvisato. Anche i miei disegni sono stati verificati da storici esperti. La Guerra di Spagna è stata la prima guerra raccontata attraverso il cinema, la letteratura, la fotografia. Cinque Premi Nobel vi hanno partecipato, più tanti altri artisti e scrittori. L’arte ha sempre combattuto il fascismo. Tomka è immaginario, ma incontra Gerda Taro, la fotografa morta in Spagna; i muri di Madrid li ho studiati sulle foto, ma li ho resi simili ai Sassi di Matera. La maledizione gitana è autentica: Massimo trovò il testo in lingua rom. Io l’ho tradotta con un alfabeto inventato“.
E poi ancora: “Come ha lavorato con Carlotto?“. Palumbo: “Massimo scrive storie disperate, senza scampo. Quando lessi il suo racconto, sentii subito che lì dentro c’era qualcosa di più. Un personaggio senza terra, un gitano che vaga tra la vendetta e la speranza. E forse, senza saperlo, Massimo ci aveva messo dentro anche molto di sé. Lui stesso ha vissuto l’esperienza di chi sfugge a un destino già scritto, di chi è stato risparmiato dalla giustizia non da un tribunale, ma da un atto di grazia del Presidente della Repubblica. In Tomka c’era anche questo: la possibilità di una seconda possibilità, anche quando tutto sembra segnato.
Non cambiai una virgola del testo, ma gli proposi di riordinare alcune scene. Lui capì: il fumetto ha un ritmo diverso dal romanzo. È come un quadro che si svela passo passo“.
E un altro: “Perché il bianco e nero?“. “Non è una rinuncia“, sottolinea Palumbo. “È la luce che taglia le ombre, il sudore di Tomka sotto il sole spagnolo, il sangue che non si vede, ma si immagina. Ho usato inchiostri densi, quasi materici, come le terre di Ortega“.






Palumbo conclude: “A volte mi è capitato di disegnare storie completamente inventate che tutti hanno preso per vere, e storie documentate che mi sono state contestate come frutto della mia immaginazione. Il confine tra realtà e finzione è sottile: nel fumetto puoi renderlo ancora più sfumato”. Le persone cominciano a sciamare verso il tavolo per il firmacopie. Molti si affrettano per arrivare in via delle Canterine, al Frida Museum, dove sono esposte le tavole originali della graphic novel per un’imperdibile mostra (tutti i giorni 10-13 e 17-20).

