Marx al circolo Caciara: pensare la politica (ancora) con la scienza della critica

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La merce è l’oggetto più misterioso...” quando Silvestre Gristina, assegnista di ricerca all’università di Ferrara, pronuncia questa frase, il pubblico di un sabato pomeriggio al circolo Caciara è già immerso nella prima occasione di quello che vuol essere  un tentativo tanto necessario quanto raro: pensare la politica in modo critico. Con Marx, attraverso Marx, dopo Marx per sfidare il senso comune.

Prima di partire col seminario – introduce Otello Palmini, research fellow al Trinity college di Dublino– vogliamo dare un po’ di coordinate sul pensiero di Marx, utili sia per pensare storicamente il suo pensiero, ma anche per contestualizzare in un’epoca storica diversa alcune riflessioni che Marx ha fatto e che possono esserci utili per la pratica politica».

Ecco allora che il primo compito della serata è “disintossicare” Marx dalle caricature, riportandolo al centro come autore di un impianto teorico rigoroso, non come profeta o ideologo. “Il primo libro del Capitale è un’opera che Marx lavora per tantissimi anni… contiene le coordinate di una grande scoperta scientifica: la scoperta di un sistema di concetti.

Una scienza, sì. Non un manuale militante, né un invito alla rivoluzione in dieci mosse. “Non è uno scritto di immediata azione politica, ma una teoria scientifica della critica dell’economia politica E questo lo rende tanto più attuale: perché non ci dice cosa fare, ma dove guardare.

Marx scrive Il Capitale per decostruire i meccanismi della realtà capitalistica, non per raccontarla. Ed è per questo che, a distanza di più di 150 anni, resta un libro difficile. “Ci sono due ostacoli principali: uno ideologico, perché l’ideologia capitalistica distorce la percezione della realtà; l’altro teorico, perché Il Capitale richiede l’adozione di un nuovo sistema di concetti astratti (valore, plusvalore) che descrivono processi concreti.”

È una lente, non una mappa. E cosa si vede, con quella lente?

Si parte dalla merce. Oggetto apparentemente neutro, in realtà complesso. “Possiede due valori: valore d’uso e valore di scambio. Il valore di scambio è la manifestazione di un valore puramente astratto, determinato socialmente”.

È qui che scatta il feticismo della merce, che “viene venerata in sé stessa, attribuendole qualità naturali che invece sono sociali”. È il momento in cui un paio di scarpe diventa status, un iPhone diventa identità, un trattamento dal chirurgo estetico diventa investimento. Ma dietro quella sacralità si cela qualcosa di ben più concreto: lo sfruttamento del lavoro.

La forza lavoro è la quintessenza delle capacità fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità del lavoratore. Il salario paga solo una parte del valore prodotto; il plusvalore è il lavoro non pagato che genera profitto”. Il cuore dello sfruttamento è questa espropriazione del pluslavoro: il tempo in cui il lavoratore continua a produrre valore senza essere pagato. È qui che il capitale diventa furto sistemico.

Il capitalismo – spiega Gristina – aumenta lo sfruttamento in due modi: con più ore di lavoro e con un aumento della produttività. In entrambi i casi, il lavoro vivo resta la fonte del profitto.

E qui entra in scena il denaro: “La formula del capitale è D-M-D’ (denaro-merce-più denaro), non M-D-M (merce-denaro-merce)”. La differenza è tutto: l’obiettivo non è soddisfare bisogni, ma accumulare. Il denaro non è più un semplice mezzo di scambio, ma diventa fine. Serve a quantificare il lavoro astratto, ma nel farlo oscura la relazione concreta di sfruttamento. Trasforma lo sfruttamento in cifra, lo rende invisibile, naturale, neutro. Dietro la freddezza di un prezzo si cela la violenza del plusvalore espropriato.

Ed è fertile il campo di riflessione aperto da Marx. “C’è un punto cieco in Marx: il lavoro riproduttivo. Tutto il lavoro svolto nelle case dalle donne, che serve a riprodurre la forza lavoro, non viene contabilizzato come produzione di valore”. Ma il suo metodo resta utile: “Se applichiamo l’analisi del plusvalore al lavoro domestico, vediamo che è fondamentale per il capitale, ma invisibilizzato”. E dal pubblico: “Silvia Federici, giusto?”. “Esattamente”.
E poi: “Oggi si discute molto del rapporto tra Marx e la natura. Il capitale tratta l’ambiente come una merce, estraendo valore fino all’esaurimento. Il processo di produzione capitalistico non è sostenibile: distrugge risorse e crea crisi ambientali. Alcuni autori usano Marx per pensare un modo di produzione alternativo, non predatorio”.
I Postcolonial Studies utilizzano Marx per comprendere i meccanismi dello sfruttamento e del dominio, in particolare facendo riferimento ad alcune analisi contenute nel terzo libro del Capitale”. In molti casi, queste letture si concentrano su come il capitale operi su scala globale, traducendo lo sfruttamento in termini di razza, nazione, e potere coloniale e postcoloniale.
Infine: “Un’altra linea teorica, invece, si sviluppa a partire da autori più filosofici, come Georg Lukács, il filosofo ungherese che ha esteso e radicalizzato l’idea di feticismo della merce, concetto chiave in Marx. Questo ‘mistero’ della merce, che trasforma i rapporti tra esseri umani in rapporti tra cose, viene da Lukács portato alle estreme conseguenze attraverso la nozione di reificazione. Lukács sostiene che nella società capitalistica ogni relazione sociale venga ridotta a una relazione tra oggetti. Quando un venditore e un compratore si incontrano — che si tratti di casse di legno o di forza lavoro — ciò che accade non è più un incontro tra persone, ma un’interazione mediata dalla merce, che rende la relazione impersonale, astratta, alienata. L’altro non è più visto come essere umano, ma come una funzione economica, valutata esclusivamente in base alla sua capacità di produrre valore. È questo, per Lukács, il cuore della reificazione: la completa sottomissione del legame sociale alla logica del mercato“.

Tanta è la partecipazione del pubblico già durante la relazione e poi soprattutto nella discussione, al punto che sono ormai le 20 passate e, nonostante le prime defezioni, c’è chi vuole continuare a riflettere insieme.

Ad esempio, come avvicinarsi a Marx oggi? “Un libricino utile è quello del filosofo francese Althusser, ‘Leggere il Capitale’, o ’12 lezioni sul Capitale’ di David Harvey, disponibile online“.
C’è poi chi vuole approfondire il rapporto di Marx con la tecnologia: “Marx aveva già visto che il capitale la usa non per emancipare, ma per estrarre più plusvalore relativo. Oggi l’IA e l’automazione seguono la stessa logica: aumentano la produttività, ma lo sfruttamento resta. Anzi, è più nascosto. La tecnologia non è neutra: Renato Panzieri e gli operaisti hanno mostrato che è usata per controllare e intensificare il lavoro, non per liberare il lavoratore. Oggi il lavoro è ovunque: programmatori, rider, operai logistici… Marx ci aiuta a vedere i nuovi luoghi di sfruttamento, anche se sono lavori pagati 10 volte di più di un operaio. Dietro ogni algoritmo ci sono lavoratori sottopagati che correggono dati, etichettano immagini, moderano contenuti. L’IA non ‘produce’ valore da sola: lo estrae da lavoro vivo reso invisibile”.
Marx critica lo Stato? Come lo lega al capitale? “Il giovane Marx critica lo Stato nella Questione ebraica… Anche nel Capitale mostra che lo Stato moderno garantisce le condizioni per la riproduzione del capitale: leggi, infrastrutture, repressione degli scioperi“.
I regimi comunisti hanno applicato l’analisi marxiana? “Stalin ha applicato la pianificazione del Capitale libro II, ma Marx non diceva che quella era la soluzione! Ha solo descritto la logica capitalistica… In URSS lo Stato era semplicemente l’unico capitalista, ma il rapporto di sfruttamento restava”.
Welfare e diritti contraddicono la logica capitalistica? “Sono conquiste, ma servono a tamponare un sistema basato sullo sfruttamento. Se chiedi solo diritti, il sistema ti può togliere tutto domani. Il problema è cambiare i rapporti di produzione, non aggiustarli”. E aggiunge uno degli intervenuti: “Negli anni ’70 le lotte avevano senso perché c’era un’alternativa. Oggi la sinistra non mette in discussione il capitale, quindi perde”.
Esempi di lotte oggi? La logistica è un bersaglio? “Marx aveva già visto nel II libro del Capitale la tendenza del capitale a espandersi globalmente. Oggi, la guerra commerciale e il controllo delle rotte logistiche lo confermano. Oggi gli scioperi logistici (portuali, trasporti) sono criminalizzati perché bloccano il cuore del sistema. Ma servono reti di sostegno, perché il capitale ha ‘riserve’ per compensare gli scioperi. Lo Stato democratico deve mantenere la finzione della ‘libertà contrattuale’, ma quando gli scioperi minacciano il profitto, usa leggi speciali e polizia. Esempio: in Italia, i portuali di Genova che bloccano navi armate rischiano multe e licenziamenti. È una repressione più subdola di uno Stato autoritario, che ti ammazza direttamente”.

E per concludere: “Marx non è un moralista: non dice ‘lo sfruttamento è sbagliato’, ma mostra come funziona. La scienza serve a trovare i punti in cui il sistema può essere spezzato.”

La serata si chiude senza slogan, ma con una sfida. «Marx non è un manuale di soluzioni, ma una cassetta degli attrezzi. Ci aiuta a vedere: dove avviene lo sfruttamento (non solo in fabbrica, ma nel lavoro digitale, domestico, ecologico); come il capitale si riproduce (attraverso Stato, tecnologia, globalizzazione); dove possiamo intervenire (scioperi, sabotaggi logistici, lotte per il salario)”. La teoria scientifica marxiana, lungi dal prendere polvere in archivio, “ci insegna a vedere il mondo dietro le merci, il lavoro dietro il profitto, la lotta dietro l’apparente pace sociale”.

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