La riforma Valditara: un passo avanti o un ritorno al passato?

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Durante l’ultimo Question Time al Senato, l’attuale Ministro dell’Istruzione (e del Merito) ha risposto, più che ad una domanda, ad un elogio, giunto da una senatrice negli scranni della maggioranza, riguardo alle recentemente approvate nuove “Indicazioni Nazionali per la scuola primaria e secondaria di I grado”. Queste modifiche, destinate a partire tra due anni scolastici, puntano a rinnovare il sistema educativo italiano; come ogni riforma che tocca il nostro sistema educativo però, solleva interrogativi e necessita di una riflessione critica.

A partire, dalla discussa reintroduzione del latino nelle scuole medie, che era stato già oggetto di accesa discussione nella prima “riforma della scuola media unica” nel 1962, per poi essere direttamente abolito a partire dall’anno scolastico 1977/78 affinché si permettesse una maggiore attenzione alla tecnologia e alla matematica in un mondo sempre più industrializzato. Il ritorno del latino potrebbe sembrare una proposta lodevole per sviluppare competenze logiche e critiche, ma sorge una domanda, la stessa che qualcuno nelle nostre Aule si pose una cinquantina di anni fa probabilmente: in un’epoca in cui le esigenze professionali e pratiche della società sono sempre più orientate verso competenze STEM, è giustificato il ritorno di una lingua che, seppur culturalmente significativa, ha applicazioni limitate nel mondo contemporaneo? La proposta è più un ritorno nostalgico verso la tradizione che un passo verso l’innovazione, rischiando di mettere a rischio altre materie più strettamente legate alla realtà quotidiana degli studenti. Ciò non deve in alcun modo screditare il latino, nostra base socio-culturale, ma l’introduzione di un’ora facoltativa a settimana cosa può lasciare all’alunno? Diviene così vano, quello che poteva essere un insegnamento utile anche nella scelta, magari, del Liceo Classico, che oramai è in una crisi consolidata.

Allo stesso modo, l’introduzione dello studio della Bibbia come parte del patrimonio culturale nella scuola primaria solleva interrogativi.

Valditara in Aula ha affermato che la Bibbia non mina assolutamente la laicità dello Stato, lo studio di essa effettivamente può essere visto come una risorsa per comprendere meglio la cultura occidentale, non si può però ignorare il rischio che, in un contesto pluralista e multiculturale, specialmente nelle attuali scuole primarie, un’attenzione così marcata a un solo testo religioso possa risultare divisiva. La sfida, in questo caso, sarà quella di garantire che tale studio venga percepito come un’opportunità di crescita culturale, sfida da non prendere sottogamba vista anche la fascia d’età a cui ci si rivolge.

Sul fronte dell’abbandono della geostoria per un ritorno nuovamente separato della geografia e della storia come materia loro stanti è solo che una buona notizia praticamente, mi permetto, oggettiva. L’unione delle due materie, voluta dalla Riforma Gelmini per renderne l’insegnamento più fluido, si è rivelato in un decennio di esperienza: disastroso, con competenze geografiche prossime a quelle dei nostri vicini d’oltreoceano e con la storia affrontata in fretta senza possibilità di approfondimenti, proprio su quest’ultima, Valditara ha voluto dargli una piega ancora più eurocentrica e qui il dilemma su cui ponderare è se la storia insegnata nelle nostre scuole abbia mai effettivamente oltrepassato gli Urali già prima di questa riforma e se in un mondo sempre più globalizzato sia questa una scelta effettivamente sensata.

In conclusione, la riforma Valditara rappresenta un tentativo quasi significativo di riformare il sistema educativo italiano, ma in quale direzione? Ideologica e tradizionalista o verso le reali esigenze del futuro? Come ogni riforma, va analizzata attentamente e implementata con cautela. Il punto cruciale sarà garantire che queste modifiche siano in grado di preparare le nuove generazioni a un mondo sempre più complesso e tecnologicamente avanzato e proprio qui l’Europa e dunque anche l’Italia, non possono permettersi di rimanere indietro.

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