Scuola, perché dovremmo abolire una volta per tutte l’Invalsi

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Guai a dimenticare il dramma scuola rivelato dall’Invalsi”, dichiara Andrea Gavosto direttore della Fondazione Agnelli, che si occupa di “education” (così dal loro sito). Ogni anno la stessa storia, anzi quest’anno di più complice la Dad diventata il bersaglio polemico preferito da demolire a ogni costo (ne abbiamo già parlato qui). Ogni anno, comunque, vagonate di articoli su quanto la scuola italiana faccia letteralmente schifo. A destra come a sinistra e al centro tutti concordi: “Grazie Invalsi che ci mostri oggettivamente una realtà di assoluto fallimento” (per i risultati di quest’anno si veda ad esempio qui). Ma qualcuno si è mai posto la questione del cosa ci sia dietro i test Invalsi? Qualcuno sì, in effetti, ma con ben poca risonanza nell’opinione pubblica. Francesco Sylos Labini, noto fisico teorico del Cnr esperto di astrofisica e fisica dei sistemi complessi, è il fondatore del sito Return on Academic Research e la sua sentenza è lapidaria: “Invalsi andrebbe demolita e sulle sue rovine va sparso il sale. Direi che la valutazione algoritmica sia da evitare come la peste sempre e comunque”.

Prima di entrare nel vivo della questione, sintetizziamo in cosa consistono i test Invalsi per chi non lo sapesse con le parole di Girolamo De Michele:

Oggi, in Italia, qualche oscuro tecnocrate esterno alla scuola prepara un test di rilevazione, lo inserisce in una busta che, sigillata, viene inviata alle scuole, nelle quali il dirigente si limita a trasmettere detta busta ai ‘somministratori’, che si consiglia dover essere docenti esterni tanto alla classe quanto alla materia, e da questi nelle mani e nelle menti degli studenti, che appongono sotto sorveglianza le loro debite crocette; questi test sono poi restituiti ai correttori, che con l’ausilio di uno scanner (quando va bene), o a mano conteggiano le risposte e trasmettono all’INVALSI gli esiti, affinché il «gruppo di esperti» esterno alla scuola elabori una misurazione (che viene spesso disinvoltamente spacciata, o confusa, o scambiata per ‘valutazione’), che a sua volta viene di nuovo trasmessa alle scuole.

Sempre Sylos Labini argomenta:

Chiunque abbia messo il naso anche da lontano della metodologia Invalsi capisce al volo che si tratta di pseudo-scienza, cioè si misurano delle quantità che sono un surrogato di quello che si vorrebbe misurare (la qualità dell’apprendimento) e che con quello che si vorrebbe misurare non ha nulla a che fare. Però questa maniera di presentare “i dati” sembra tanto scientifica che quando va sui giornali passa come se fosse davvero scientifica. Si tratta appunto di pseudo-scienza che si ammanta di una veste tecnico-scientifico ma che in realtà vale tanto la previsione di un cartomante.

Andando più nel dettaglio, il sistema di valutazione dell’Invalsi è realizzato seguendo il modello di Rasch, un modello di psicometria per il quale, necessariamente, 1/3 delle prove è sotto un valore “soglia”. Le domande sono selezionate ed adattate in tutto il processo di pre-test in modo che appunto l’esito dei test segua questa distribuzione. Questa selezione è pure una procedura costosa, oltre 20 milioni di euro secondo alcuni. portando il sistema agli estremi, se applichiamo la metodologia Invalsi a un corpo di studenti che sono tutti premi Nobel comunque 1/3 risulterà sotto soglia e allo stesso modo se l’applichiamo a un corpo di veri e propri “somari” 2/3 risulteranno sufficienti anche se, magari, sanno a malapena leggere un testo lungo tre pagine. Il dibattito è su scala internazionale perché la metodologia è la stessa del test Ocse-Pisa.

Svend Kreiner dell’Università di Copenhagen, allievo di Rasch, ha studiato l’applicazione di questo modello nei test Ocse-Pisa. Enrico Rogora ricorda che:

Kreiner ha provato a fare dei calcoli per quantificare gli effetti di queste ‘sbavature’: la posizione del Regno Unito nel ‘Reading Test’ 2006 oscillerebbe tra 14 e 30, quella della Danimarca tra 5 e 37, quella del Canada tra 2 e 25 e quella del Giappone tra 8 e 40. Se si trattasse di un termometro, ci sarebbe il rischio di confondere una febbre da cavallo con un congelamento. ‘The best we can say about Pisa rankings is that they are useless’ conclude Kreiner. In definitiva il protocollo utilizzato dall’ Invalsi per costruire un test definisce la variabile che si intende misurare. In altre parole, e questo è necessaria conseguenza del modello di Rasch, l’abilità matematica testata dall’ Invalsi è l’abilità di risolvere i test Invalsi. Non voglio entrare nel merito se questo sia giusto o sbagliato, voglio solo osservare che necessariamente questo non è modificabile.

Sulle motivazioni dell’assoluta invalidità dell’Invalsi a livello statistico si potrebbe ancora dire molto (si veda eventualmente quiqui e qui) ma, per non affaticare il lettore, prendiamo pure per buono che l’Invalsi misuri davvero qualcosa. Ma cosa? Tutto, tranne quello che valga la pena misurare. Come spiega molto bene Matteo Vescovi:

Per l’Invalsi ciò che conta è il risultato, per noi ciò che conta è il percorso, il ragionamento, lo scarto tra ciò che sapevo e ciò che ho imparato; per l’Invalsi ciò che conta è fornire subito una risposta, per noi ciò che conta è l’elaborazione della domanda, la costruzione del sapere attraverso l’indagine e l’approfondimento; per l’Invalsi ciò che conta è il punteggio finale, la comparabilità dei singoli punteggi, la graduatoria, per noi ciò che conta è il grado di soddisfazione raggiunto, il senso di appagamento per il compito ben svolto, per le nuove domande rimaste sul campo da cui è possibile ripartire; per l’Invalsi è necessario essere fattivi, non dubitare mai delle sue richieste, per noi ciò che conta è sviluppare il pensiero critico, divergente, poter anche mettere in discussione l’autorità.

E non potrebbe essere diversamente perché per l’Invalsi, supremo frutto delle tecnologie del controllo attraverso la performance, ciò che conta è produrre un individuo flessibile, cioè che sa adattarsi alle richieste della società e del mercato del lavoro. Il perseguimento di questo obiettivo dichiarato produce uno stravolgimento del processo di apprendimento e ciò è tanto più evidente se si pensa agli alunni di seconda elementare, in cui lo choc provocato dall’inserimento improvviso dell’impossibilità di correggere le risposte e del rispetto di tempi contingentati, in nome di una pretesa validità statistica, è il marchio di infamia di questo “nuovo” strumento disciplinare che in un sol colpo ripristina pratiche scolastiche ottocentesche.

Per noi, invece, ciò che conta è formare un cittadino autonomo, padrone delle proprie idee e capace di leggere criticamente il mondo che lo circonda, perché consideriamo che attraverso l’istruzione sia possibile costruire quelle forze che continueranno la battaglia per superare l’attuale stato di ingiustizia sociale determinato negli ultimi trent’anni dalle politiche neoliberiste. Il nostro compito, però, non si esaurisce nell’immaginare una didattica inassimilabile dall’Invalsi, perché è necessario mettere la stessa dedizione anche nel boicottare in ogni modo possibile la somministrazione di queste prove”.

Il superamento di test a scelta multipla celebra e premia una forma peculiare di intelligenza analitica, apprezzata dai gestori e dalle imprese del settore finanziario che non vogliono che dipendenti pongano domande scomode o verifichino le strutture e gli assiomi esistenti: vogliono che essi servano il sistema. Questi test creano uomini e donne che sanno leggere e far di conto quanto basta per occupare posti di lavoro relativi a funzioni e servizi elementari. I test esaltano quelli che hanno i mezzi finanziari per prepararsi ad essi, premiano quelli che rispettano le regole, memorizzano le formule e mostrano deferenza all’autorità. I ribelli, gli artisti, i pensatori indipendenti, gli eccentrici e gli iconoclasti — quelli che pensano con la propria testa — sono estirpati.

scrive ancora Chris Hedges.

Eppure nessuno sembra protestare più, al contrario di quanto furono introdotti (si legga ad esempio qui), perché? Molti credono, complice il Covid19, che i test Invalsi siano una al più inutile pratica perlopiù burocratica. Una perdita di tempo, come tante altre in una scuola sempre più kafkiana… E invece no, anche dietro si intravedono molti pericolosi indizi.

Per Giovanni Carosotti Rossella Latempa, “la consegna nelle mani dell’istituto Invalsi del controllo dell’efficacia e della qualità dell’azione delle scuole; e la certificazione di fatto delle credenziali educative nazionali, seppur formalmente ancora affiancate ad un esame di Stato sempre più svuotato di contenuti e significato formativo. Avanziamo allora un’ipotesi: tali interventi, nel solco delle politiche neoliberali attuate da decenni, non consisteranno certo nel dare di più a chi ha di meno, in termini di risorse e infrastrutture materiali, umane o culturali”.

E perché no iniziare a privatizzare in tutto o in parte la scuola pubblica. Amen.                       

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