Elettronica, indie, rock, metal, rap, hip hop: le note cupe ed emozionali dei Melancholia a San Benedetto

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Poter assistere ad un live, nel 2021, sembra un miracolo.
Era l’estate 2019 quando il Geko di San Benedetto del Tronto ospitava ogni mercoledì nel suo cortile all’aperto, da circa metà luglio fino ai primi di settembre, i live organizzati dall’associazione culturale Prima Persona Plurale – nata da pochissimo – senza che questi prevedessero posti a sedere prenotati e limitati, senza il monitoraggio della temperatura, senza il distanziamento: si entrava e si sceglieva il posto più congeniale. Chi vicino al bar, chi in un angolo appoggiato al muro, chi in uno dei pochi tavolini liberi che c’erano; i più si sedevano a terra di fronte al palco. Ricordate?

Ora, possiamo sognarci ancora per un po’ le vecchie dinamiche, ma chi fa musica, chi la ascolta e chi la ama non smetterà mai di ricordare come essa fa ci sentire.
Quest’anno è stato un anno ancora più critico per i locali e per gli artisti, che in questi posti hanno una loro seconda casa. Il palinsesto originario, infatti, della stagione estiva 2021 al Geko è stato più che dimezzato a causa di continui rinvii delle aperture, affinché tutto fosse in completo ordine e sicurezza.
Nonostante ciò, i Melancholia (con l’accento sulla ultima vocale, ndr) sono arrivati a portare una ulteriore ventata d’aria fresca in questi ultimi giorni d’agosto, che già hanno visto un leggero calo di temperature almeno durante la sera (cosa che hanno notato anche i ragazzi: “finalmente suoniamo in un posto dove fa freschetto!”) e si capisce bene quindi come la presenza nella nostra riviera di un gruppo del loro calibro, fresco di X Factor, sembrasse a tutti noi presenti un doppio miracolo. E anche a loro, forse più che a noi.

Quello che hanno messo in scena Benedetta (voce), Fabio (tastiere) e Filippo (chitarra) è la dimostrazione di come il calore umano sia facilmente trasmissibile anche senza contatto.
Ad oggi, non si può parlare di un evento senza parlare anche di ciò che la pandemia ci ha tolto, cioè il rapporto stretto tra chi fa arte, di qualsiasi tipo, e chi ne fruisce.
Abbiamo visto mostre e musei virtuali, gare e spettacoli in diretta streaming, convegni e conferenze su zoom, presentazioni dei libri nelle storie di Instagram.
Ci si accontenta quindi, adesso che l’estate ha permesso gli eventi all’aperto, di concerti da seduti, senza abbracci e senza pogo, che mancano a tutti.
Benedetta, infatti, a metà circa del concerto, esordisce così: “Mò ci incazziamo perché non possiamo pogare, ma fatelo con il cuore”.
Difficile ascoltare una musica come la loro, guidata da una voce così carismatica e travolgente, stando fermi. La cantante però non ha desistito, non ha esitato dal passare nei corridoi tra un tavolo e l’altro, cimentarsi in salti e giravolte, arrampicandosi sulle estremità più libere che il luogo offriva.
Incredibile come la sua sola presenza bastasse a creare tutta la dinamicità tipica di un concerto.

La sua voce è stata certamente l’ipocentro (non a caso mi piace usare questo termine) di una vera e propria eruzione di energia e divertimento, ma anche la tecnica e la bravura strumentale di Fabio e Filippo hanno contribuito a tale atmosfera che ha visto il susseguirsi di generi più disparati: elettronica, indie rock, rock, metal, rap, hip hop. Toni dai più bassi ai più alti. Una modulazione della voce, a volte dura e graffiante, altre più dolce e sensuale, degna di una professionista.

I giovanissimi di Foligno, inoltre, erano felici di essere lì.
Quando racconto di un concerto, magari a distanza di qualche anno, non ricordo mai tutte le canzoni che un gruppo, uno o una cantante hanno scelto di proporre, ma mi rimane sempre impressa la gioia e la passione che mi è stata trasmessa. E la sensibilità.
Quando è stata annunciata Alone, canzone dalle note più malinconiche, molto lontana ad esempio da Grounds o la cover Bloodmoney che hanno infuocato la platea, Benedetta ha rivelato di piangere spesso senza motivo ricordando che non c’è nulla di male,  quindi, a fare un applauso dedicato proprio a questo, “a chi piange senza motivo”.
Con Medicine invece, ultima uscita di maggio, l’atmosfera è tornata movimentata al massimo, grazie anche al ritornello facile da ricordare, che al momento del bis della stessa ha unito il pubblico in un coro unanime.

I Melancholia hanno dato anche prova di una grande capacità di improvvisazione. Alla fine, decidendo sul momento, hanno dato una interpretazione tutta personale e originalissima di La bambola di Patty Pravo. Per chi se la fosse persa consiglio di chiudere gli occhi e immaginare il testo della canzone accompagnato da una base più elettronica e la voce di una Benedetta che piroetta tra un tavolo e l’altro sotto le inconfondibili luci natalizie del Geko.
In un’ora e un quarto circa di spettacolo non hanno certo dimenticato i due brani che hanno sconvolto e convinto i giudici alle audizioni autunnali di X Factor 2020 (qui per rivederle): la loro Lèon – lasciata non a caso quasi alla fine – e la cover Look at me! di XXXTentacion.

Anche se il pubblico non li avrebbe lasciati andare ancora un po’, i Melancholia hanno dovuto salutarci. Lo hanno fatto con grande calore, ringraziamenti sentiti ed uno speranzoso “alla prossima”. 
Questi ragazzi meritano veramente di fare lunga strada, già inaugurata nel 2015 grazie al loro spiccato talento.

E che sia veramente così, che ci sia una prossima. Per loro che la producono, per noi che la ascoltiamo.
Per me che senza musica non ci so stare e mi piace raccontarvela.

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