All day I dream about photography

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Ricordo perfettamente il giorno in cui ho conosciuto Giorgia, quella domenica mattina del 25 settembre il nostro paese si muoveva verso i seggi elettorali per votare. Ci siamo incontrate in un bar del lungomare che era quasi vuoto, il proprietario ci ha detto che nemmeno pensavano di aprire quel giorno per via della pioggia e delle elezioni. Noi saremmo andate nel pomeriggio, perché quella mattina ci attendeva una lunga chiacchierata. Era da un po’ che non intervistavo qualcuno e mi piaceva l’idea di farlo con una persona che fa fotografia, una attività che mi incuriosisce molto. Per lei, invece, era la sua prima intervista, era un po’ agitata, ma le ho subito raccontato per rompere il ghiaccio cosa per me significhi svolgere questo lavoro: un incontro di storie, uno scambio di idee, un intreccio di visioni diverse. Scrivere è un modo di lasciar venire a galla ciò che ribolle dentro di noi. Una intervista si fa sempre in due, chi viene intervistato crede di essere il destinatario delle domande e non immagina quante domande, allo stesso tempo, pone a sua volta.

Siamo partite dall’inizio, dalle origini della passione di Giorgia per la fotografia.

“Non ho fatto nessun corso per imparare a fotografare. Mio padre era appassionato, aveva già le analogiche, poi si è comprato anche una reflex, mentre io utilizzavo alcuni strumenti su internet come Flickr. Infatti, la mia passione nasce dal momento in cui mi sono imbattuta nelle foto degli altri, anche su Facebook. Alessio Albi e Marta Bevacqua hanno avuto una influenza molto forte su di me, ad esempio”.

Come scegli i soggetti? Per te è più importante il soggetto o il contesto? Chi è che fa da protagonista per te?

“Prima di scegliere dove fare foto ci sono sicuramente già stata, non vado a caso. Guardo anche che tipo di luce naturale c’è e cosa ne potrebbe uscire, la preferisco a quella artificiale. Adoro la Sentina qui”.

Quindi scatti principalmente all’esterno…

“Anche il soggetto è importante. Fino a qualche tempo fa pensavo che avrei dovuto cercare la figura perfetta per quel determinato luogo, ma poi ho realizzato che quello che voglio raccontare è come l’uomo faccia profondamente parte della natura, quindi catturarne l’armonia tra i due. Se ci pensi chiunque può essere fotografato nella natura”.

Osservando le tue foto non sembra che siano state scattate su misura per i soggetti, ma che i soggetti siano già parte di quel contesto e che tu abbia semplicemente catturato l’immagine. Questo mi affascina. Ho sempre pensato che non tutti siamo fatti per essere fotografati, che se il soggetto non è quello giusto si vede subito che è fuori luogo. Insomma, non hai delle caratteristiche precise che ricerchi?

“Ora no, ma ad esempio prima ero ossessionata da alcuni dettagli, come i capelli lunghi e la spina dorsale. Non ci faccio più molto caso, quello che voglio raccontare è altro”.

Immagino comunque che il soggetto che scegli almeno debba sentirsi a proprio agio davanti all’obiettivo, o sbaglio?

“Si questo sì, quando mi metto in contatto con qualcuno faccio presente alcune cose, come ad esempio che prediligo luoghi un po’ imboscati, ma penso che chi mi scrive già abbia visto come lavoro, quindi può intuire”.

Invece quanto è importante l’ispirazione per te, nel tuo lavoro? Ti dico, io sono una che agisce molto di pancia. Se non sono ispirata da una cosa, stai sicura che non esce niente di buono. Come dire, non me la faccio venire l’ispirazione, ecco, piuttosto aspetto che arrivi da sola. Non potrei mai essere un’artista che fa lavori su commissione. Le domande che ti sto facendo non sono state preparate, vedi, mi stai ispirando tu!

“Nemmeno io mi sono preparata…L’ispirazione, comunque, è importante. Mi lascio ispirare dal momento, mi preparo piuttosto prima alcune cose come il vestiario da proporre ai soggetti”.

Vorrei tornare ora su un argomento che mi preme molto: la natura, che è protagonista dei tuoi scatti. Noi la stiamo distruggendo senza tenere bene a mente che non è a nostra disposizione. Abitiamo il mondo credendo di esserne i padroni.
Voglio parlare di questo perché è una tematica urgente e attuale. Perché noi di Ithaca vogliamo dare tanto spazio ai giovani? Perché saremo noi a fare i conti con tutto questo ed è per questo che dobbiamo fare un forte lavoro di denuncia. Io e te, coetanee, sedute a questo tavolo, lo stiamo facendo, con due mezzi diversi lo stiamo raccontando. La fotografia, come tutte le arti visive, ha il potere di rappresentare una realtà.
Non ti fa male sapere che questa natura che tu scegli di rappresentare, coì bella e viva come appare nelle tue foto, stia andando in rovina? Ci pensi mai che quell’albero, forte e imponente, che hai scelto di rendere parte della tua arte potrebbe domani essere distrutto da un incendio causato dalle alte temperature?

Insomma, usi la fotografia anche come mezzo di critica? Per mandare un messaggio?

“Certo, anche perché ormai l’arte visuale è accessibile e fruibile facilmente, soprattutto grazie ai social. Quando ho iniziato ero più piccola e lo facevo più per me, mentre ora sono più consapevole. Ad esempio, con l’università (si è laureata a Pescara in Graphic Design, alla Università Europea del Design, UED, ndr) ho seguito dei ragazzi di moda e mi è piaciuto molto perché ho scoperto che anche la moda può essere un mezzo per dire qualcosa.

Mi piace comunicare con l’arte visuale e che trasmette qualcosa, anche banalmente un logo. Tornando alla natura, cercavo sempre di inserirla in qualche modo, se non nella fotografia magari nel logo o scegliendo per la stampa una carta riciclata. Una cosa che ho fatto spesso è stato rilegare i miei portfolio con una cucitura invece che con la colla”.

Anche a me piace molto l’arte visuale, perché può dare forma sia a qualcosa che è davanti ai nostri occhi, sia a qualcosa che non riusciamo a vedere

“Se devo pensarmi in un futuro mi piace vedermi fotografa di moda. Per me è stata una grande scoperta”.

Abbiamo parlato di vestiti, ora vorrei invece parlare della nudità.

C’è stato un periodo in cui mi piaceva molto scattare nudo. Ho iniziato perché mi ero resa conto che fotografavo sempre visi. Sentivo che dovevo metterci di più, soprattutto se volevo dimostrare che l’uomo fa parte della natura”.

E cosa c’è di più naturale del corpo?

“Ho iniziato semplicemente chiedendo di stare a piedi nudi sull’erba o sulla terra, già così si capisce chi si trova a proprio agio e chi no. Poi, come ti dicevo, c’è stato quel periodo in cui fotografavo schiene, spine dorsali, ecc…”

Il mio occhio cadeva continuamente sui fascicoli che Giorgia si era portata con sé così le ho chiesto di mostrarmeli. Li sfogliamo insieme.

Non capisco che problemi abbiamo con le immagini dei corpi. Viviamo in una società che ci bombarda di immagini, eppure il corpo nudo, che è il più naturale, viene censurato.
In queste tue foto vedo corpi reali…

Mi fa notare alcuni scatti dove si intravede il segno dell’abbronzatura.

“Ancora non ero laureata in grafica, quindi Photoshop zero… ma in realtà era voluto. Sono dei dettagli che mi piacciono”.

A proposito, preferisci togliere le “imperfezioni’’ o fare dei ritocchi?

“Tendo a lasciarle, ma studiando ho capito che lasciarle distoglie l’attenzione dello spettatore sul resto, sulla totalità dell’opera”.

Io sono fan dei dettagli, è proprio quel dettaglio disturbante che mi piace, per me devono rimanere, ma chiaramente dipende dall’obiettivo. Se parliamo di storia dell’arte, ad esempio, pensiamo alle avanguardie, nate proprio per rompere le regole. Il movimento Dada è il mio preferito.
Tu che rapporto hai con le regole?

“Mi piace l’idea che la fotografia si sia sviluppata parallelamente con alcune correnti come l’impressionismo. Fino a quel momento la pittura aveva avuto il compito di fotografare, il pennello era la macchina fotografica. Dopo che è nata la fotografia l’arte ha potuto prendersi maggiori libertà perché non c’era più bisogno che svolgesse un ruolo meramente documentativo. Lavorando per qualcuno, in ogni caso, ho meno libertà e questo a volte mi mette in difficoltà, è più difficile rompere gli schemi, ma ci ho fatto l’abitudine”.

Eppure tu hai iniziato proprio senza seguire delle regole, ti ammiro.

“Penso che alla base ci debba essere tanta passione e tanta voglia di comunicare qualcosa. Non ne sapevo niente di macchine fotografiche, ma volevo rappresentare quello che vedevo. Se io una banale tazzina da caffè la vedevo gialla (indica la tazzina sul nostro tavolo) mi chiedevo come fare affinché anche gli altri la vedessero così. Ed è qui che nasce anche la mia passione per la grafica, che permette di modificare e aggiungere a quell’immagine un significato in più. Ecco, in questo caso Photoshop sì…”.

Credo che sia un’arma a doppio taglio. Modificare non è una cosa necessariamente negativa, piuttosto parlerei di trasformazione. Siamo nel 2022 e abbiamo degli strumenti, perché non utilizzarli?
Essendo tu sia grafica che fotografa, credi che ad oggi possa esistere la fotografia senza grafica? Anche considerando il fatto che ormai il principale terreno su cui la grafica vive è quello dei social. Senza questi due strumenti perderebbe la fotografia di potenziale?

“Fotografia e grafica possono andare insieme, ma anche no. La grafica può aiutare la fotografia a comunicare al meglio il proprio messaggio, può aprire la fotografia a tutti. Usando una didascalia, uno schema, un logo, la scelta di una collocazione… Quindi la può aiutare in questo senso, sì.
Per quanto riguarda i social, pensa, sul contratto c’è scritto che sono social media manager. Mi piace starci ma sono sempre un po’ scettica, cerco di usarli come stimolo.
Sto cercando di adattarmi e migliorare sempre di più, anche con i video che sono sempre più richiesti”.

Pensi che ti abbiano aiutato ad emergere? Ormai sono come un biglietto da visita.

“Questo sicuramente sì, anche perché io sono molto timida, hanno parlato per me”.

Oltre a Instagram dove ti possiamo trovare?

“Per le foto principalmente 500px. Per presentarmi ad un lavoro, altrimenti, ho il mio portfolio digitale, che sarebbe come un cv.

Sono contenta che mi abbia contattato la Xiaomi per una collaborazione, ho un contratto per un anno che mi richiede cinque foto al mese scattate con l’ultimo loro cellulare uscito sul mercato, le pubblicano poi nel loro profilo. Questo mi dà molta visibilità”.

Deve essere stato strano per te passare anche a metterci la faccia… mi chiedo: quanto è necessario metterci la faccia? Di solito chi crea lascia che sia il proprio lavoro a parlare per sé. Io stessa lo faccio con la scrittura, ma mi rendo conto che affinché il messaggio sia più forte occorra buttarsi sulla scena anche con tutta la nostra immagine. Oggi tutti possono fare tutto, tutti possono dire tutto, ma non tutti sono coerenti con quello che fanno e dicono.
Vedo anche molti tuoi autoritratti…

“Sì, ma sono quasi tutti fatti da me o alcuni dal mio ragazzo. Preferisco di gran lunga stare dietro alla macchina fotografica, quando invece mi lascio scattare una foto è perché mi sento completamente parte di quella scena, non starei bene ovunque. Con la Xiaomi mi è stato facile perché mi hanno chiesto di fare cose semplici e naturali. Ho potuto essere me stessa e rappresentarmi la quale sono”.

Fotografi si nasce o si diventa?

“Per esperienza personale posso dire che ci si può diventare, se senti una passione forte, se hai sete di quella cosa”.

Forse la differenza sta proprio in quanto sei tormentato dalla tua passione. Sul tuo profilo 500px hai scritto una cosa che mi ha colpito: all day I dream about photography.

“Esatto, il termine tormento è azzeccato. Io sono proprio immersa, come un sogno”.

Continuiamo a passare in rassegna gli album, ne sono colpita da uno che ha il titolo “Ritorno alla natura”.

“Questo invece è il primo lavoro di moda, mi hanno dato la possibilità di usare la mia visione per il loro progetto. È bello quando ti incontri con qualcuno che prova il tuo stesso tormento”.

“Quest’altro invece per un esame di fotografia…”.

Abbiamo parlato a lungo scambiandoci altre riflessioni. Abbiamo convenuto sul valore memoriale e storico che può avere la fotografia, come ci possa aiutare a non dimenticare. È però anche un mezzo paradossale, perché può anche trarci in inganno. La realtà è in continuo movimento, in divenire. Ricordate Eraclito, no? Panta rhei. La fotografia può catturare un momento che nel secondo successivo già non esiste più.
Roland Barthes ha sostenuto che “ciò che la fotografia riproduce ha avuto luogo una sola volta” e che “essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente”.

Che letture consiglieresti a chi si vuole approcciare al mondo della fotografia?

“C’è un libro che veramente mi ha aperto un mondo, sì… vi segnalerei Nelle ombre di un sogno di Claudio Marra e Il primo libro di fotografia di David Bate”.

Hai progetti futuri?

“Mi rendo conto che non mi piace lavorare su commissione, è limitante e stressante per me. Nei miei progetti c’è quello di aprire uno studio, uno studio, come dire, rivisitato. Siccome mi vorrei specializzare nella fotografia di moda mi servirebbe uno studio, ma uno studio come dicevo che sia speciale e che supporti la natura. Organizzare il mio mondo. Un anno fa avrei risposto diversamente, oggi sento il bisogno di avere un mio posto, una indipendenza”.

Giorgia portava al collo un ciondolo con i girasoli di Van Gogh, cosa curiosa perché io ho un paio di orecchini con la stessa immagine. Il caro Vincent è stato uno di quelli che si è lasciato tormentare dalla sua passione tanto che ha finito per ingerire la pittura stessa: “Se si ha del fuoco nelle vene e un’anima non si possono nascondere, ed è meglio bruciarsi che soffocare. Perché quel che è dentro di noi deve venir fuori”.

Vi auguro, cari lettori, di non smettere mai di ardere di passione.

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