Fra biomimesi, design e architettura: l’opera di Giuliana Flavia Cangelosi

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Giuliana Flavia Cangelosi, classe 1992, proviene da Pollina, un piccolo borghetto della provincia di Palermo in Sicilia. Dopo il liceo artistico “Diego Bianca Amato” a Cefalù, cittadina costiera a 70 km da Palermo, si è laureata in Disegno industriale all’Università di Palermo. Attualmente è da qualche anno ad Ascoli Piceno per studiare Design computazionale presso la Scuola di Architettura e Design dell’università di Camerino, che ha sede in città. Ha disegnato per Papa Francesco in occasione della sua visita a Camerino, è stata invitata a parlare al TEDx di Reggio Emilia. Io l’ho scoperta la prima volta per una pagina Instagram particolarmente seguita.

Sì, l’avevo aperta intorno ai vent’anni agli albori di Instagram. Mettevo foto personali e i miei disegni di allora. Era via via cresciuta molto fino a oltre 55mila iscritti anche grazie alla pubblicizzazione dei miei lavori da parte di altre pagine importanti che si occupano di disegno architettonico. Un anno fa, però, mi hanno hackerato il profilo e sono dovuta ripartire da capo…”.

Palermo

Hai di nuovo un seguito importante. I social sono stati importanti per far conoscere quello che fai!

Sono stata selezionata da Architizer, il prestigioso sito nato nel 2009 ‘to empower architects with information to build better buildings, better cities and a better world” fra le ‘10 best architectural artists on Instagram’. Hanno anche utilizzato i miei lavori come esempio da imitare nell’articolo dedicato ai 12 errori più comuni nel disegno architettonico. Sulla mia pagina trovate i miei lavori di vario genere, spesso il taccuino con il nuovo sketch, inserito nel contesto urbano di creazione. Mi piace mostrare anche molto il mio studio, gli oggetti che lo popolano. Si tratta di scoprire com’è fatta la persona dietro l’opera, come lavora: la psicologia dell’arte. E poi i social sono uno strumento importante per conoscere altri illustratori architettonici ed esserne ispirati, confrontarsi. Nel mio caso pochi italiani e molti dall’estero”.

Cosa vedremmo aprendo ora la tua pagina Instagram?

Io disegno l’architettura. Lo faccio nel silenzio o con un sottofondo jazz. E questo fa sì che i segni siano vibranti, caotici, ma alla fine ritrovano l’ordine delle cose e si riconosce l’architettura per com’è. Potresti riconoscere periodi caldi e freddi: il primo legato alla sicilianità, il  secondo l’ascolanità e la pietra fredda. Ho lasciato la ritrattistica delle persone al liceo, non mi appassionavano. Disegno invece sculture, sono così fisse, immobili eppure col disegno può diventare viva, mobile. E poi c’è la natura analizzata attraverso la geometria. Banalmente – per capirci – il Natilus, il mollusco con la spirale aurea”.

Giove di Otricoli

I tuoi maestri?

Leonardo da Vinci per la delicatezza del segno. E poi Giovanni Battista Piranesi, architetto e incisore settecentesco per la tecnica del chiaroscuro. In generale dietro la mia opera c’è tutto l’Umanesimo-Rinascimento: Michelangelo, Raffaello… Le loro piante, le sezioni rappresentate così pulite, chiare che comunicano appieno l’architettura. Riescono a essere innovativi anche adesso. Nella contemporaneità penso a Refik Anadol, 36enne turco, autore di installazioni mozzafiato in tutto il mondo: riesce a plasmare l’infosfera con il machine learning per far dialogare il mondo virtuale con lo spazio fisico. Racconta lo stato d’animo delle persone con la grafica generativa e studia la città, per come viene sentita. Escono fuori immagini accattivanti e ti senti rispecchiato anche se non sei morfologicamente tu a essere rappresentato”.

Facciamo un passo indietro e ripartiamo dall’inizio, quando è nata questa passione per l’arte?

In realtà da piccola volevo fare la scienziata, avevo uno spiccato interesse per la natura. Ero indecisa con lo scientifico, ma poi alla fine ho pensato che l’arte potesse esprimere meglio quello che sono. Sentivo la necessità di raccontare me stessa, mostrare che non ero solo quella ragazza sorda (sono portatrice di impianto cocleare) ma una persona carica di emozioni. Mi interessava dunque il lato emotivo, non tanto quello tecnico. Attraverso il disegno lì ho capito che posso esprimere quello che sento. E i miei all’inizio erano più convinti di me che la strada giusta fosse l’arte. Da piccolina infatti disegnavo tantissimo, in particolare il mondo animale. Mi ricordo una volta uno scoiattolo, così vero che sembrava uscire dal foglio. Ci ho vinto un piccolo premio”.

E come sei arrivata a specializzarti nel disegno architettonico?

I professori al liceo mi hanno supportato e accompagnato all’inizio del mio percorso artistico. Da lì al design all’università e poi alla scoperta dell’illustrazione architettonica. Sono una designer che ha una passione smisurata per l’architettura. C’è un gruppo molto variegato, gli Urban Sketchers, il cui intento è innalzare il valore artistico, narrativo ed educativo del disegno sul posto, promuovendone la pratica e collegando le persone in tutto il mondo che disegnano i luoghi in cui vivono e in cui viaggiano. A Palermo potevamo organizzare una giornata, incontrarci e andare a raccontare tutti insieme la cattedrale. Questa pratica mi ha fatto capire la passione per il ‘ritratto urbano’. Un ruolo essenziale è stata la tesi di laurea triennale. All’epoca era comune nella mia università indirizzarsi verso l’architettura arabo-normanna, che stava diventando patrimonio mondiale dell’Unesco. Io mi sono detta che avrei usato lo strumento più antico dell’architettura, cioè il disegno, al posto dei soliti strumenti del design (comunicazione, prodotto, ecc.)”.

Lo studio

Com’è nata l’idea?

Tutto parte da una piccola visita alla Cappella Palatina a Palermo. Era una fredda giornata d’inverno: entrata in questa basilica, la trovo vuota. Un ambiente dorato, completamente mosaicato. Mi sono emozionata, mi sembrava di percepire il divino; un calore, non solo spirituale. Dovevo raccontarlo. E l’ho fatto attraverso il disegno. Chiaramente ero all’inizio, la tecnica era ancora da raffinare. Ho provato la matita e l’acquerello ma ho capito che la penna era la tecnica per me. Si dice che il segno non sia fondamentale nel disegno invece è proprio quello che lo caratterizza: ‘de-signum’. Dal punto di vista semiotico la parola è costituita da questi due elementi, significato e significante: è importante attribuire al segno il significato che uno trova. Perché disegnare è… tutto ciò che senti, le emozioni, le idee, i pensieri”.

E da questa tesi?

Lavorare su quei temi mi ha permesso di farmi notare da Dario Flaccovio Editore, con cui è nata una collaborazione. Finora si tratta di quattro libri completi e due di cui ho realizzato solo la copertina. Il primo prodotto, a cui sono più legata, è il libro ‘Palermo ai tuoi occhi’, un viaggio tra i luoghi storici e sconosciuti della città: i testi di Alli Traina, carichi di storia e di poesia, sono accompagnati dai miei disegni a china“.

Come si è svolto il lavoro per il libro?

Io e la scrittrice spesso ci incontravamo, non in presenza ma per messaggio. Ed era affascinante perché molte volte c’erano coincidenze assurde. Vorrei raccontarti di quanto ho disegnato il porto di Sant’Erasmo. Dovevo andare lì ma mi si era rotto l’impianto: ‘Ora come faccio? Sono completamente spoglia, non sento niente e girare così…’ Invece la scrittrice mi ha comunque consigliato di andare e provare a disegnare col silenzio. Allora prendo lo zaino in spalla e vado. Per la prima volta ho sentito davvero le vibrazioni della città. Sotto i miei passi sentivo il cuore di Palermo per la prima volta. Una vera emozione. Per la prima volta ho sentito le vibrazioni del mare, il pescatore coi pesci pescati, gli uccelli che volavano. Disegnavo con dei segni imprecisi ma vibranti, che era quello che provavo. Un suono vibrante. L’ultimo disegno del libro è stato il Teatro del Sole, poi avrei lasciato Palermo per la nuova facoltà del corso di laurea magistrale”.

Parlami un attimo del colore.

Per la tesi l’ho usato: architetture a penna con sfondo giallo (l’oro), rosso (i palazzi) e blu (il mare), che sono i colori dominanti dell’architettura arabo-normanna. E poi, la copertina del primo libro di cui ti parlavo è una scalinata, che si trova in una zona un po’ malfamata di Palermo, però una zona talmente cara alla scrittrice che mi disse di andare e vedere cosa provassi. Nell’alzata dei gradini era dipinto l’arcobaleno. Quindi ecco, per dare un po’ di vita, un po’ di speranza in quel posto l’ho rappresentato. Poi ho capito che per comunicare l’architettura basta il segno, come elemento più espressivo, più chiaro e più pulito. L’acquerello posso usarlo, magari per evidenziare qualche dettaglio. Ad esempio, ho partecipato a un festival a Lèvanzo nelle Egadi e insieme agli urban sketcher abbiamo raccontato il vento di quest’isola. L’ho fatto con l’acquerello. Un paesaggio con queste case bianche dalle finestre blu. Sono rimasto dalla mattina fino al pomeriggio senza mangiare, completamente bruciata dal sole. Il mare di un blu, come quello delle finestre. E poi c’era una viuzza con dei panni stesi e ha acquerellato il vento su questi. Alla fine tutti i disegni sono stati proiettati su una palazzina”.

Lèvanzo
Lèvanzo

Accennavi alla laurea magistrale, cosa ti ha portato ad Ascoli?

In realtà è stato per caso. Stavo facendo ricerche online e ho guardato con interesse il corso magistrale in Design computazionale, unico a mia conoscenza in Italia allora. Naturalmente è stato difficile lasciare la mia città e la mia famiglia. Ma, ovunque andassi, sapevo che Palermo mi avrebbe seguito.  Il settore del computational design è in costante ascesa: il designer, o l’architetto, che lavora con esso non fa altro che inserire dei parametri (‘progettazione parametrica’), ossia dei dati, all’interno di un software che elaborerà una forma sulla base di essi. Chiaramente il progettista che resta sempre la ‘mente’, colui che decide e fissa il risultato da ottenere. In generale mi interessava ”.

E come ti sei trovata all’Unicam?

Molto bene, davvero. Il primo progetto realizzato è stato un video mapping per la chiesa di S. Agostino di Amatrice. Ero particolarmente sensibile al tema del terremoto: volevo in qualche modo scuotere il cuore delle persone e ovviamente la politica. Fare qualcosa. Non potevo farlo a distanza, dovevo conoscere veramente i luoghi e così sono andata. In autobus ho percorso la Salaria ed è stato un momento carico di emozioni fra i paesi distrutti. Non c’è una fermata. Sono scesa a Torrita, una frazione. Era febbraio e il freddo era glaciale. Non c’era una luce, ma… mi faccio coraggio e vado avanti. Ho preso la strada che attraversava le macerie, nell’architettura demolita, dove quel silenzio assordante mi ha fatto paura. Struggente. Ho chiesto a dei carabinieri indicazioni ma nulla. Alla fine mi ritrovo a seguire un cane, che sembrava mi facesse segno di farlo. Ed effettivamente mi sono ritrovata alla fermata dell’autobus che mi avrebbe portato ad Amatrice. Lì sono stati tutti molto cordiali. Ho ascoltato le loro storie, emozionanti ma tristi. Il Comune mi ha regalato dei libri. Hanno apprezzato che io, dalla Sicilia, fossi arrivata lì per dare il mio contributo”.

La cupcofee di Piazza Arringo per la Latteria Marini ad Ascoli Piceno

Cosa hai realizzato di preciso?

Un video mapping interattivo che consisteva nella proiezione di immagini sulla facciata della chiesa, purtroppo semi-distrutta. Queste immagini erano disegni, quella che è la tradizione del disegno proiettata sulla facciata. Tradizione e innovazione insieme per comunicare in una forma totalmente nuova. Era interattivo perché potevi interagire con l’architettura stessa: ingrandire per vedere i particolari, scalare, colorare, farlo in negativo: tutto attraverso un dispositivo, il Leap Motion, che lavora con la gestualità della mano. Poi ho scoperto il Kinect 360, che lavora con tutto il corpo umano e lì l’interattività è quindi ancora maggiore”.

Ora di che ti stai occupando?

Con la professoressa Lucia Pietroni e il corso di Design per l’innovazione, ho scoperto la biomimesi, una disciplina emergente, volta alla progettazione di materiali e sistemi rigenerativi osservando la natura e i suoi fenomeni biologici e applicandone i meccanismi al design. Leonardo Da Vinci ne è stato il pioniere. Sono tornata quindi al mio interesse per la natura da bambina. Sono prossima alla laurea e la mia tesi sarà su questo. In autunno sarò nella riserva naturale Sentina, lavorerò lì. Avrò anche bisogno dell’appoggio di un biologo, c’è tutta una parte di ricerca. Ho capito che il disegno può fare qualcosa. Sarò lì per disegnare la natura e analizzarla punto di vista geometrico e poi proiettare il tutto in spazio immersivo. Infatti l’altro docente che mi seguirà è Daniele Rossi, esperto in progettazione multimediale e  spazi fisici di virtualità”.

In generale come hai trovato l’esperienza nell’università ad Ascoli?

Qui siamo molto più seguiti, c’è un contatto maggiore con i docenti, un rapporto più amichevole. Ma poi ciò che mi piace è questa attenzione particolare all’innovazione: qui ho capito che quella è la strada che può migliorare il mondo, rispondendo alle necessità della società. A Palermo c’è più la valorizzazione dei beni culturali. Altra differenza è nei rapporti con i colleghi: pochi restano ad Ascoli (ci sono tanti che come me vengono dal Sud, in particolare dalla Puglia). Con chi rimaneva facevamo qualche piccola serata al massimo. Se dentro l’università la collaborazione c’è, fuori… Si sta soprattutto a casa, con giochi da tavolo e videogiochi (sono anche un po’ nerd) e poi certo anche film e serie tv. A Palermo era diverso dentro e fuori l’università ci trovavamo. Una cosa che vorrei sottolineare è la scarsa collaborazione con la città: università e città (inteso sia come Amministrazione pubblica che come aziende) restano due entità rigidamente separate. Nessun progetto, nessuna apertura. D’altronde non c’è nessuna efficace comunicazione dell’università e infatti gli studenti scendono…”.

E cosa mi dici di Ascoli come città?

Arrivando mi colpì il travertino, questa pietra bianchissima. Mi ha dato una sensazione di purezza, di tranquillità, che è quella del bianco. Mi piace immergermi in questo biancore. L’artista quando cerca ispirazione, osserva il muro, che è bianco, e ha bisogno di riempire quel vuoto. Mi piacciono queste piazze, che ti danno quello spazio per sentire e provare le tue emozioni. Le emozioni ti abbracciano e ti senti proprio parte dell’architettura. Mi sono trovata tanto bene qui. Palermo è così caotica, carica di colore. Qui mi piace fare colazione nelle due piazze, perché in mezzo a questa tranquillità – in cui io mi ritrovo tanto – posso allo stesso tempo riflettere, pensare e osservare l’architettura con un bel cappuccino e cornetto. Il mio momento preferito della giornata. Poi mi piace tantissimo passeggiare per le rue, che noi chiamiamo viuzze. Il mio silenzio che ritrova il silenzio dell’architettura, che ritrova la pace. Come anche il paesaggio natura circostante, come lungo via delle Stelle”.

Piazza Arringo, Ascoli Piceno

E nei dintorni sei stata?

Castel Trosino, un borghetto splendido e vicinissimo, eppure poco conosciuto dai miei colleghi qui. Ma mi piacciono tutti i paesi della vallata del Tronto. Tutti arroccati, col campanile che svetta. Da me è diverso il paesaggio, diversa la forma delle architetture dei borghi. Mi piace andare alla ricerca di questi posti per disegnare e, perché no, mangiare. Mi sono spinta ovviamente anche in altre province e a Recanati ho disegnato all’alba. Alla ricerca dell’infinito, del silenzio. Ero lì, non c’era nessuno. Solo io, il mio cavalletto e un pezzo di carta. Ho tracciato segni infiniti che alla fine hanno ritrovato quello che è l’ordine dell’architettura”.

Cosa c’è nel tuo futuro?

Quello dell’illustrazione architettonica è un settore non facile in Italia… Poche le persone che qui mi commissionano lavori. Al contrario gli spazi immersivi sono molto richiesti. La mia idea è: se coniugassimo da Leonardo a Refiq Anadol, che ne può uscire fuori? Unire tradizione e innovazione. Vorrei continuare anche qui ad Ascoli, magari con un dottorato. In generale tenere parallela la ricerca a uno studio privato che si occupi di allestimenti interattivi. Al centro l’intelligenza artificiale. Se non potrò qui sarò costretta all’estero, ad esempio Spagna che (insieme alla Svizzera) punta molto sulla biomimesi”.

Siamo alla conclusione, come mai mi hai portato qui?

Di recente ho avuto problemi forti al braccio. Ero triste, per riempire il vuoto dell’inattività, sono uscita e mi sono messa nel mio posto preferito, qui nel Chiostro di San Francesco. Osservo la luce che passa attraverso questi spazi vuoti, che è allo stesso tempo il mio spazio vuoto. E mi fa stare bene. La prima volta mi sono messa a piangere. L’architettura è tutto per me”.

Murale per @universitacamerino
Amatrice

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