“Sessanta quesiti che presentano cinque opzioni di risposta, tra cui il candidato deve individuarne una soltanto, scartando le conclusioni errate, arbitrarie o meno probabili, su argomenti di: cultura generale e ragionamento logico; biologia; chimica; fisica e matematica“.
Sono queste le parole che tormentano i pensieri di migliaia di ragazzi che dopo il liceo intendono affrontare la prima tappa per diventare medici.
Tutti sanno che la misura del desiderio non è quantificabile con il numero di quesiti corretti in un test a crocette, né tanto meno l’impegno e il sacrificio. Ciononostante è tale il percorso per poter frequentare un’università di medicina in Italia oggi e, alla luce di questo – senza esprimere un giudizio – vi racconto la storia della mia estate.
A me non è stato chiaro da sempre che volevo studiare medicina. Mi piaceva leggere, scrivere poesie e poter conoscere il mondo con lo sguardo inedito dei miei occhi. Tutto ciò col tempo e con le esperienze è maturato in una stima per l’umano, che come una perla si trova in ogni uomo. Poter studiare una materia così affascinante, per poi metterla a disposizione dell’altro, mi è parsa l’esperienza più esaltante che potessi vivere solo durante il quinto anno del liceo, mentre tutto il mondo esplodeva nell’epocale pandemia da Sars-CoV-19.
Quando ho capito che però la mia rimaneva solo un’idea, l’ho voluta verificare prendendo in mano i libri e iniziando a studiare per il test. Molti sanno però che la preparazione alla maturità non è un’occupazione che lascia molto tempo al resto: il vero studio comincia d’estate. Dunque i giorni sono passati, le interrogazioni, la Dad, le simulazioni, i punteggi, l’elaborato di mate e fisica, i saluti e infine la gioia dopo la maturità. Non era ancora finita però e tutti i ragazzi tra i 77.376 iscritti al test 2021 lo sapevano.
Non esiste un metodo di studio perfetto e paradigmatico per affrontare una prova di questo genere. Ricordo che dopo l’esame di Stato non uscivo quasi mai di casa. Mi ritrovavo a volte con i miei amici a studiare in pineta e a fare quiz su quiz di biologia e chimica. In fondo per me era un gusto approfondire quelle materie e, nonostante i successi affatto immediati, andavo tutti i giorni sempre più avanti, seguendo il mio planning e il mio calendario.
Tuttavia la vita riserva molti colpi di scena e non accetta mai di obbedire agli schemi della nostra mente. A luglio mi sono ammalata di mononucleosi, mentre i miei genitori erano in vacanza. Le circostanze di come io possa essermi contagiata rimangono ancora misteriose, ma di sicuro in quel mese tutti i miei piani sono stati infranti e non ho potuto far altro che lasciare i libri sulla scrivania e guarire.
Tutti i miei compagni procedevano, i loro punteggi miglioravano, io restavo ferma.
Sarebbe inutile poi raccontare degli effetti collaterali di questo virus sul mio fisico, delle occasioni che ho dovuto perdere e del mio recupero trafelato ad agosto, perché non volevo arrendermi.
Dopo aver svolto il test il 3 settembre 2021 ho capito che non era importante. Nel secondo decennio del XXI secolo un ragazzo italiano neodiplomato si trova di colpo a un’udienza a tu per tu con la vita, deve scegliere e spesso lottare nel bel mezzo di grandi competizioni nazionali, cosmiche. Il test a oggi funziona così: puoi preparati e fallire, puoi avere degli ostacoli e fallire, puoi riprovarci e fallire. Dunque trovo di importanza radicale riscoprire la statura dell’umano che rischia di diluirsi e scomparire in questa massa ignota e indistinta. Bisogna ricordare che essere nel futuro un bravo medico, veterinario, infermiere e molto altro va al di là di una competizione. Invito chi avrà successo a gioire e, a chi non lo avrà, di riconoscere la statura del proprio umano, di non lasciare che si pieghi al gioco, ma di continuare a giocare.