Aurora Paccasassi, “vorrei che con la mia arte le persone siano meno sole”

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Aurora Paccasassi è originaria di Castignano (AP). “Sono del 1998, esattamente 23 anni fra 10 giorni” e, quindi, non le facciamo ancora gli auguri. Almeno per il suo compleanno. Di certo glieli facciamo per la sua carriera artistica, che speriamo piena di soddisfazioni vista la qualità delle sue opere (seguitela qui per ammirarle e presto ci sarà anche un sito). La sua passione per l’arte è nata molto precocemente.

Già da piccola avevo sempre i pastelli in mano. Conservo ancora i disegni, mia madre ci tiene ad averli tutti qui e fa sempre piacere rivederli. Poi alle elementari l’interesse è cresciuto, grazie ai lavori che ci proponevano le maestre: disegnare al termine di una poesia o di un brano letto. Tutti a casa e a scuola hanno iniziato a incoraggiarmi, visto che forse un po’ di talento lo iniziavo a mostrare. Poi, quando sono andata a visitare il liceo artistico ad Ascoli, mi sono resa conto che era quello che volevo fare nella vita. Mi sono iscritta senza induci all’indirizzo Arti figurative e ora all’Accademia di Belle Arti di Macerata”.

In famiglia sei l’unica ad avere estro artistico?

No, in realtà l’accoglienza avuta fin da subito è data da una sensibilità comune alle arti. Ciascuno a suo modo. Ci sosteniamo parecchio a vicenda, e non mancano mai alle mie mostre (e d’altronde anche casa nostra è una sorta di mostra permanente!). Conosco tante persone che vorrebbero intraprendere questo percorso ma hanno una famiglia che non li supporta affatto, perché quando si tratta di arte… D’altronde mi ricordo i miei compagni delle medie che, quando parlai del mio futuro all’artistico, iniziarono a prendermi in giro canzonandomi come una che avrebbe fatto ritratti per terra in strada. Comunque, mia sorella è anche lei in Accademia a Macerata, anche se lei vuole fare la stilista. Mio padre è fotografo e mia madre… lei fa un po’ di tutto. Découpage, pittura, lavori artigianali in generale – anche gioielli. E d’altronde capita che lavoriamo insieme”.

Cosa avete in programma?

Appena avremo tempo, gli studi ci stanno impegnando parecchio.. Ci sarebbe l’idea di una serie di tele in cui io dipingo dei soggetti a mia scelta e mia sorella va poi a ricamare sulla tela, i capelli o un qualche dettaglio. Non sarebbe la prima volta che lavoriamo insieme, è già capitato che mia sorella cucisse una maglia e io poi la dipingessi. Mentre, invece, con mia madre abbiamo pensato a una linea di gioielli: lei realizzerebbe la base con il fimo e io poi andrei a dipingerci sopra”.

Ho visto che le tue opere sono varie nel supporto ma il tuo stile molto riconoscibile.

Esattamente, come avrai capito mi piacerebbe espandermi in vari settori. Secondo me è proprio il concetto di tela a dover essere superato, per quanto possibile. Ci sono affezionata, certamente, ma da un po’ sto sperimentando la pittura su calici, damigiane, piatti (che ti danno peraltro il senso di tridimensionalità). Unire quindi l’arte classica su tela all’arte applicata di questi diversi supporti. C’è poi da dire che, se in triennale ho studiato Illustrazione e fumetto, ora in magistrale ho scelto Fumetto. C’è questo lato che vorrei sviluppare dell’arte che racconta. E cosa meglio del fumetto con le sue tavole, il testo, le storie. Proprio per la mia tesi ho scritto e realizzato da zero un fumetto. Mi è piaciuto pensare a una trama, inventare personaggi o ambientazioni. In quel caso il genere era distopico.

Ne hai qualcuno in preparazione ora?

Una storia molto autobiografica sulla paura di uscire di casa. L’agorafobia ti chiude fra quattro mura e ti fa percepire il mondo esterno come insidioso. Userò un mondo parallelo ambientato in un medioevo fantastico: una ragazza che esce di casa per fare una missione attraverso grotte, draghi e mostri da sconfiggere fino ad arrivare a una maga che le affiderà degli oggetti che le potranno servire durante il viaggio. A metà storia ci si renderà conto che era tutta una metafora e l’ambientazione tornerà ai nostri giorni. La ragazza in realtà si era recata dalla psicoterapeuta, che le aveva offerto dei modi per combattere le sue paure (soluzioni che ha sempre avuto dentro di sé): i mostri erano le altre persone, un semplice pullman un drago e la grotta un ascensore. Una storia dedicata a tutte le persone che soffrono di questo problema, un invito a non sentirsi sole e a trovare in sé la forza”.

Dove trovi la tua ispirazione?

Se parliamo di fumetto, oltre che nella mia esperienza e in quelle con cui vengo a contatto, sono una grande amante del cinema e mi capita di prendere spunto dai cult. Ci sono molto fantasy e fantascienza. In questo periodo sto vedendo molta Marvel. In ogni caso comunque sono onnivora, se una storia è bella, è bella e basta”.

E quando dipingi?

Come per ogni artista, lo stile è in perenne divenire. Nel mio caso al liceo ho capito che non si tratta di qualcosa da cercare forzatamente ma viene da sé, col tempo. All’epoca ho iniziato a prendere spunto dall’iraniana Afarin Sajedi, le cui opere rappresentano, in un certo senso, il difficile mondo da cui proviene. Sono primi piani e mezzi busti di donne sole, su uno sfondo nero che fa da quinta alla triste solitudine in cui sono costrette. I loro occhi sono specchi che urlano ciò che le bocche chiuse non possono fare, e nonostante la sofferenza che lasciano trasparire, sono piene di forza. Inizialmente copiavo proprio le sue opere”.

A me sono venuti in mente i volti dello scultore Ossip Zadkine (questo è il momento in cui chi scrive fa finta di intendersene).

Lui ora non ce l’ho presente, ma in generale tramite lo studio della storia dell’arte ho pian piano allargato il campo dei miei riferimenti. Ad esempio con l’arte bizantina, che mi piace tantissimo, con l’utilizzo dell’oro, dell’ocra, del giallo. Tutti colori caldi che richiamano anche un po’ il tessuto etnico. L’Africa mi interessa molto, con quelle le maschere, quei volti grotteschi. C’è poi anche Modigliani, in queste figure slanciate. Mi rendo conto, peraltro, che nel giro di un mese tante cose sono cambiate nel mio stile: i lineamenti dei volti sono più spigolosi e geometrici, i colori più forti e molto spesso inserisco mani. Anche sui temi, sento di toccare tematiche più profonde, comuni a tutti gli esseri umani. Quasi un modo per dire ‘tranquillo, anche io faccio questi pensieri, non sei solo. Possiamo trovare una risposta insieme’”.

La fotografia di tuo padre ti ha influenzato?

No, perché lui ritrae paesaggi mentre a me non sono mai interessati. Io mi concentro sulla figura umana nelle sue varie espressioni. Vado poi a periodi, talvolta sono in un mood un po’ più estetico e allora riprendo Klimt e le sue decorazioni elaborate, dove il messaggio conta meno rispetto alla forma. Mentre c’è in me – in altri periodi – molto dell’Espressionismo tedesco, per quel clima freddo e malinconico. Quella malinconia che d’altronde mi caratterizza”.

Cosa esprime allora la tua arte?

Per me l’arte è un momento di pura introspezione: sono una persona che pensa molto, anche troppo. In molte mie opere ci sono queste figure che sono da sole, pensano, pensano tantissimo e infatti lo sfondo nero le inserisce in un contesto surreale. Mancano del tutto i riferimenti ad ambienti casalinghi o a paesaggi. Sono solo loro con sé stesse. Spesso si appoggiano sulla mano perché è come se sentissero il peso di questi pensieri. Questa testa non può più reggersi da sola ma deve essere sorretta da qualcosa. Infatti sto lavorando a una serie di quadri con queste donne che pensano, con la testa un po’ pesante, che fa quasi piegare il collo. In altri metto questa donna a contatto con altro, però c’è sempre il tema dell’attenzione al proprio sé. Un’altra serie a cui sto lavorando è dedicata alle ‘limitazioni’, visto che abbiamo vissuto e in parte ancora viviamo in un momento particolare. Saranno donne all’interno dei quattro lati della tela, come imprigionate, che cercano di venirne fuori. Sono alla ricerca, come ogni essere umano, di cosa c’è al di là. Che è poi il titolo di una mia opera che ho esposto di recente”.

Sì, infatti ho visto hai partecipato a mostre!

Questa l’ho esposta a Roma allo Stadio di Domiziano. C’è questa donna che col dito tocca il bordo della tela e guarda, appunto, al di là. Cosa c’è al di là di questo mondo? Per questa esposizione ero stata selezionata insieme ad altri 99 artisti emergenti. I visitatori potevano votare l’opera che più apprezzavano. Ora ho una mostra a Centobuchi, al Giovarti, dove resterà fino a fine ottobre. Per me è molto importante partecipare a eventi di questo tipo per farmi conoscere, così come è molto importante il lavoro sui social. Senza contare che sono sempre alla ricerca online di bandi e concorsi”.

E come sta andando?

Sto ottenendo un buon successo. In particolare con i supporti diversi dalla tela. Ho anche imparato a superare la questione del disagio degli artisti di fronte al committente. Chi mi scrive sa quello che produco e lo apprezza, non ho paura di esprimermi. Chiaramente penso a qualcosa e poi glielo sottopongo sotto forma di schizzi (cosa che non mi piace molto fare) e, se necessario, modifico qualcosa prima di procedere. Quindi carta copiativa se è su tela (altrimenti si macchierebbe tutta) o il disegno inserito in un calice da seguire come traccia e si va. E poi arriva il momento del colore, il più bello”.

Se invece dipingi per te stessa?

Capita di rado che dipinga per me, in ogni caso appena ho l’ispirazione ci penso e ci ripenso, anche di notte. Per molto tempo, anche settimane. Poi quando è il momento giusto, mi metto nel mio laboratorio e disegno. Solitamente il primo che faccio è quello che mi convince. Dipingo direttamente, senza disegni preparatori in questo caso”.

Accennavi prima ai colori.

Il pennello e gli acrilici. Nel mio stile avrai riconosciuto l’ocra dell’incarnato, il marrone dei capelli e così via. Ho i miei classici. In generale però adoro mescolare i colori, vedere cosa viene fuori. Vedi di fronte a te le infinite possibilità, le infinite sfumature raggiungibili grazie a soli tre colori. Mi fa provare un forte senso di libertà”.

Libertà.

Libertà e salvezza. Questo è per me l’arte. Anche nei periodi difficili, in cui sembra che niente riesca a sollevarti, l’arte ci riesce. Per questo vorrei che attraverso la mia arte le persone si sentano meno sole, a volte alcuni pensieri esistenziali possono spaventare e farci sentire sbagliati o ‘fuori di testa’: non è così! A me dipingere quelle due ore al giorno appaga, mi fa capire di aver realizzato me stessa, di aver compiuto il mio scopo. Ognuno di noi ha il suo scopo. E solo dipingendo sento di realizzare ciò che sono”.

Quindi dipingi ogni giorno?

Sì. Poi adoro dipingere la mattina, mi sento molto più concentrata. Faccio colazione e già per le 7,30/8 sono al lavoro: c’è chi medita e chi fa yoga, io dipingo. Mentre il pomeriggio studio. In questi giorni sto lavorando anche la sera perché ho delle consegne da ultimare ma mi pesa, in quanto scombussola tutti i miei ritmi”.

Hai citato il tuo laboratorio, è solo tuo o lo condividi?

No, quello è il mio ambiente, solo mio e ne sono gelosissima. O meglio, lo condivido con la lavatrice. Però almeno non c’è nessun umano che mi gira intorno. La centrifuga a volte si fa sentire, ma perlopiù sono i miei vinili a farla da padroni. (Ti posso inviare una foto? Così la inserisci!). È importante capire il luogo in cui si esprime un artista. Io amo il mio laboratorio. I miei pennelli. Le mie tele. La mia collezione di set Lego. Lì sono felice (e sola) anche se d’inverno congelo”.

Vinili di?

Mi piace molto il cantautorato. Quando dipingo ho bisogno della compagnia di qualcosa che capisco, per questo musica italiana. Penso soprattutto ai Baustelle, poi Rino Gaetano, Mannarino, il grande classico De André, ma anche i Joy Division. Ci sono poi le colonne sonore dei film, come Morricone. È come se tutte le loro canzoni fossero lì a raccontarmi una storia e io sono in ascolto”.

Progetti per il futuro?

Mi piacerebbe molto insegnare arte ai bambini, magari con dei laboratori, oltre a continuare il mio percorso di pittrice (che vorrei estendere a maglie, borse ecc.). Ora sto preparando un esame di pedagogia e didattica dell’arte e…. i bambini non hanno freni quando disegnano, non sono condizionati. Per loro il disegno riesce a esprimere quello che non riescono a dire, è il loro modo per comunicare con gli adulti. E dietro il modo in cui si fa un albero o una casa c’è un universo interiore complesso”.

C’è chi ti chiede di regalargli qualcosa?

Certo. Oppure sconti. O perché no, chi commissiona qualcosa e poi all’invio della foto dell’opera terminata non si fa più sentire. Ahimè il destino comune di chi si muove nei settori creativi, almeno in Italia”.

Insomma il quadro per me, mi toccherà pagarlo.

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