Banksy, ha senso la mostra dove è esposto ad Ascoli?

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Beh che c’entra, il tema dei festival è un pretesto, sono contenitori, e dentro ci finisce di tutto”. Luca Ricci, nato a Pisa nel 1974, è scrittore e drammaturgo. Dopo averne presentata una versione ridotta al Salone del libro di Torino, pubblica su Domani di questa domenica 12 settembre, un breve racconto bizzarro ma interessante. Il protagonista, senza nome, per la sua somiglianza fisica con un noioso autore di un libro sui satelliti sale, inizialmente per sbaglio, sulla giostra dei festival, delle rassegne, dei saloni, dei premi e… inizia a piacergli davvero. Fino a che…

Lei non conta niente, caro amico. Ai festival chiunque fa sold out, gli scrittori di best seller e gli intellettuali, i filosofi e i cuochi, gli scienziati e i comici. Ma lo sa che l’altro giorno per vincere una scommessa ho invitato perfino Andrea Sottomezzo, lo scrittore sfigato, e c’era la piazza piena, ho dovuto aggiungere le sedie, avremo fatto 200 persone? Tutto ruota intorno i festival, sono i festival lo spettacolo!.

Fino al 15 settembre Ascoli Piceno sarà la capitale italiana del selfie con Banksy nell’ambito di un festival (ovviamente), la prima edizione di “ControVento – Festival dell’Aria”, promosso dal Comune di Ascoli Piceno, in collaborazione con la Regione Marche, con il Ministero della Cultura, coadiuvato dal CoTuGe (Consorzio Turistico dei Monti Gemelli) e con la direzione artistica di Daniela Tisi e l’ausilio di Carlo Bachetti Doria insieme all’associazione Centoventotto. Con l’occasione anche la collezione della Pinacoteca civica sarà ispirata dal vento e dall’aria, in un percorso studiato dal suo direttore, Stefano Papetti.

Banksy, inglese, è senza dubbio il più famoso street artist del mondo, anche se la sua reale identità è ancora sconosciuta. Le sue opere compaiono all’improvviso nelle strade delle più diverse città del mondo, con un significato provocatorio e di denuncia della società. Eppure, sempre più spesso, è facile vederlo all’interno di mostre. In questo caso viene esposta un’unica opera dell’artista, l’icona delle icone: Girl with balloon, la ragazza col palloncino rosso. Si tratta solo di una serigrafia autenticata dall’artista, in quanto l’opera originale venne battuta all’asta da Sotheby’s (per un valore di 1,2 milioni di sterline) e subito si autodistrusse per metà con una complessa macchina tritarifiuti nascosta nella cornice.

Scrive il grande storico dell’arte, neorettore dell’Università per Stranieri di Siena e da poco dimessosi da presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali Tomaso Montanari in un suo libro, intitolato non a caso “Contro le mostre”: “La ricetta: organizzare mostre non elitarie, rivolte a un pubblico di famiglie, dedicate ad alcune tra le star dell’arte moderna e a movimenti iperpop (gli impressionisti, in primo luogo); concentrarsi su tematiche facili (l’acqua, l’oro, l’azzurro, la neve); presentare opere di non eccelso livello prelevate da importanti musei internazionali, in cambio di fees elevati”.

In un articolo di qualche anno fa, parlando della Ragazza con l’orecchino di perla, scriveva inoltre: “Si tratta solo dello spostamento materiale di un’opera unito a una abilissima operazione commerciale. Senza una ricerca, un progetto scientifico, un senso intellettuale: un qualunque valore aggiunto di conoscenza. L’aspetto più perverso di questa operazione è proprio l’isolamento del ‘capolavoro’, la sua ‘assolutizzazione’, e cioè, letteralmente, lo scioglimento di ogni suo legame (artistico, storico, culturale in senso lato). Come una reliquia magica, isolata ed irrelata, non ha nulla a che fare con la conoscenza. E anche se ci sono in fila centinaia di migliaia di persone tutto questo ha anche poco a che fare con un’emozione autentica, spontanea, non indotta. Possiamo non vedere il problema, sul momento: tutto, anzi, congiura perché non lo vediamo. Ma, sul medio e poi sul lungo periodo, gli alberi si riconosceranno dai frutti: il marketing produce clienti, inconsapevoli e tendenzialmente infantili, mentre la conoscenza aiuta a formare cittadini consapevoli, disposti a lavorare alla propria maturazione”.

E tornando più specificamente al nostro street artist, scriveva Federico Giannini lo scorso anno: “Tutte le mostre su Banksy che furoreggiano negli ultimi tempi e che si diffondono a macchia d’olio in tutto il mondo (non si contano più, anche in Italia, le rassegne che gli vengono dedicate). Sempre lo stesso cliché: sbrodolate di serigrafie da collezioni private, manifesti con le solite due o tre icone (la bambina col palloncino o il Flower thrower) per accalappiare il pubblico, totale assenza d’opere d’altri artisti per garantire un minimo contesto, celebrazioni acritiche e prive di contraddittorio. E musei che, quando si parla di Banksy, spesso sospendono temporaneamente la loro missione, che se si parla d’arte contemporanea dovrebbe consistere nel leggere criticamente e ordinare le produzioni del presente (magari con un poco d’approccio scientifico), e al contrario fanno tutto quello che un museo non dovrebbe fare, ovvero si limitano ad assecondare il gusto imperante, a dare in pasto al pubblico quello che il pubblico vuole e s’aspetta, a unirsi al coro d’elogi sperticati che esaltano un simpatico vignettista diventato genio per acclamazione popolare”.

Rincarava la dose Francesca Caputo in un articolo: “Ma se è vero che la forza del messaggio di Banksy sta nella condanna del sistema capitalista e consumista del mondo contemporaneo, perché Girl with a balloon è diventata soggetto di merchandising ed è stata registrata come marchio dall’artista? E per quale motivo ci ritroviamo oggi in uno spazio espositivo a pagare per una mostra del famoso street artist finendo così a sostenere quel sistema dell’arte contemporanea che lui tanto condanna? […] La brutalità della guerra, l’incapacità della classe politica, la lotta al consumismo ecc. L’ovvietà di queste posizioni è reinterpretata dagli stencil di Banksy che, ad un occhio più esperto, potrebbero sembrare il risultato artistico di analisi pressoché banali di ciò che ci circonda. Messaggi poco profondi, convenzionali, senza sfumature di giudizio e perfettamente in linea con il pensiero di massa, anticonformista nel conformismo”.

Si chiedeva infine Bianca Verolini: “Banksy scrive che nella street art non vi è nessun ‘elitismo o montatura’ dato che i graffiti ‘vengono esposti nei migliori muri che una città può offrire e nessuno è tagliato fuori dal costo d’ingresso. Le persone che vivono nelle nostre città non capiscono i graffiti perché pensano che niente abbia il diritto di esistere se non porta profitto, il che rende le loro opinioni prive di valore’. E tuttavia le opere di Banksy sembrano essere state svuotate della loro essenza e private di ogni elemento pungente quando hanno smesso di essere accessibili a tutti e volte a generare profitto. Se l’ironia dei suoi lavori serviva in origine a connotare la società di cui mano a mano è diventato forma di espressione, Banksy ha perso ora ogni legame con quelle specifiche scuole di pensiero di cui prima faceva parte”.

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