“Cinepsyche”, psicologia e cinema traslocano per una serata a Revolutionary Road

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“Grande successo per la proiezione di Revolutionary Road al Cinema Olimpia”. Così avrebbe potuto titolare un giornale locale per l’occasione. Eppure il Cinema Olimpia non esiste più. Nato nel 1922, era il cinema cittadino per antonomasia, nella centralissima via Trieste ad Ascoli Piceno. Di grande capienza, molto frequentato, è stato anche il più longevo portando avanti la sua attività per 69 anni (ne approfondiremo la storia prossimamente, per la nostra serie sulla cinematografia picena iniziata qui). Oggi al suo posto, dopo un lungo abbandono, c’è la Bottega del Terzo Settore, un luogo aperto alla comunità, anche dal punto di vista architettonico, con le sue ampie vetrate: lì persone e organizzazioni si trovano insieme, studiano, organizzano eventi, cooperano alimentando processi di coesione sociale.

Stavolta era il turno di Sinapsyche, un progetto nato da un gruppo di studenti, laureati, tirocinanti e professionisti del mondo della psicologia provenienti da tutta Italia e uniti dal bisogno di divulgare la loro disciplina. Si trattava del primo appuntamento in presenza per loro, nati in pieno periodo pandemico. Tutto è nato dall’esigenza condivisa di colmare quel vuoto tutto italiano nell’ambito della psicologia: nulla c’era infatti fra, da una parte, l’articoletto divulgativo ma scientificamente dubbio del giornalismo nazionalpopolare e, dall’altra, l’articolo scientifico con tutti i crismi, illeggibile però per un non addetto ai lavori.

Cinepsyche, con la collaborazione di Piceno Mood, consiste in una serie di serate a base di cinema e psicologia, in cui proporre la visione di una pellicola, stimolando poi la riflessione e il confronto rispetto a quanto appena visto. Il tema dell’evento inaugurale sono state le emozioni, esplorate attraverso il film Revolutionary Road (2008) di Sam Mendes, con Kate Winslet e Leonardo DiCaprio. Poltroncine distanziate, mascherine fino a che non si era seduti, green pass all’ingresso: tante le novità rispetto a un cineforum del passato. Ma anche tanta continuità: le emozioni, l’audio stereofonico ad alto volume, il legame (più o meno) silenzioso con gli altri spettatori e, perché no, una bibita e i popcorn da sgranocchiare (in questo caso gentilmente offerti dall’azienda OroRossoMorelli). Insomma il cinema come ce l’eravamo dimenticato con la pandemia (e mentre Netflix gongola: “Sarà sempre più raro andare al cinema”).

Ne avevamo parlato qui: guardare un film sul cellulare o sul pc seduti da soli su un divano significa negare l’estetica stessa del cinema e la sua dimensione sociale. Una magia condivisa che sfugge al quotidiano e che rappresenta un rito di soddisfazione affettiva, in cui – nelle condizioni protette della sala – i nostri fantasmi inconsci vengono gratificati. Una storia immersiva in cui alla connessione emotiva con i personaggi corrisponde un’esperienza comunitaria con cui magari confrontarsi, a maggior ragione in un cineforum.

Trasposizione cinematografica del bel romanzo di Richard Yates, Revolutionary Road è il ritratto spietato del matrimonio di April e Frank Wheeler. Novelli sposi negli anni ‘50, si trasferiscono nel perfetto ma vuoto sobborgo americano. Lei, attrice fallita con due figli, lui impiegato qualunque. Tutto sembra scorrere placidamente nella classica casetta a due piani dal prato ben pettinato ma, giorno dopo giorno, i sogni e i desideri sopiti riemergono nel fare i conti con la routine soffocante della felicità prefabbricata del sogno americano. Belli e sofisticati, i Wheeler sono ammirati da tutti ma, dietro la parvenza di compostezza, pulsa un’incontrollata energia (auto)distruttiva. Provano a lasciare tutto, decidendo la partenza per Parigi. Gli amici non capiscono (tranne, grande topos, il folle): dovrebbero, altrimenti, guardare in faccia alla loro stessa frustrazione. Tutto finirà nel peggiore dei modi. Dolori, crudeltà, liti furibonde: tutto viene messo a nudo.

I Wheeler di ieri sono gli stessi di oggi, forse solo meno consapevoli della propria mediocrità. E parlo da loro coetaneo a cui non dispiacerebbe una fuga a Parigi (in cui ho abitato per un po’) ma fermo nella provincia (italiana). Seppur, al contrario di loro, al riparo dalla farraginosa complicatezza della vita affettiva.

Qui potete prenotare il vostro posto per le prossime serate. Intanto, però, spendete un po’ del vostro tempo sul loro sito, fra un interessante blog scritto, gustosi video e podcast. E tenetevi aggiornati su Facebook e Instagram.

La perfezione mi fa schifo, mi repelle. Tutte quelle donne e quegli uomini che cercano la perfezione negli stereotipi creati della società mi fanno venire il vomito. Fottuti manichini di carne, senza personalità o amore per se stessi. Stessi vestiti, stessa musica, stesse espressioni, stessi cibi, stesse scopate, stesse auto, stesse vite…e alla fine? Stessi suicidi neurali di massa. Perché vivere come un automa è senza ombra di dubbio un suicidio. Quando tutti si è uguali, tutti si è nessuno. La perfezione è un uccellino in gabbia che vive, mangia, caga e muore con il solo scopo d’essere ammirato. Io voglio vivere libero, spiumato, infreddolito, denutrito ma libero.

Charles Bukowski

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