Perché oggi più che mai c’è bisogno di rabbia

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Un contadino medievale si dice venisse in contatto, nel corso della sua intera vita, con un numero di informazioni inferiore a quelle contenute in un quotidiano odierno. Oggi siamo, quindi, molto più informati, anche rispetto al recente passato ma, al tempo stesso, la qualità del materiale è spesso scadente. L’informazione non indaga la prassi con acutezza e al contempo rifugge dalla teoria perché, si dice, non venderebbe copie”. Presso la libreria Rinascita, la presentazione del libro di Franco Palazzi, “La politica della rabbia. Per una balistica filosofica”, tocca lateralmente anche uno dei motivi per cui è nata Ithaca: dare spazio ad analisi, inchieste e approfondimenti che non trovano molto spazio (anzi non lo trovano proprio, almeno in ambito locale) sulla stampa di oggi.

L’autore ha ricostruito, nel suo libro, una storia sociale e politica della rabbia e messo in luce le sue potenzialità come strumento di liberazione degli oppressi. Evidenziare la disparità di trattamento fra la rabbia degli oppressi e quella degli oppressori è il primo passo della sua riflessione. Normalmente, infatti, si cerca di occultare la causa della collera, limitandosi a criticare le modalità di espressione, il tono, i gesti, la manifestazione della rabbia stessa. Si pretende che le rivendicazioni degli oppressi vengano esposte pacatamente, senza alzare troppo la voce, senza passare dalla parte della violenza. Quella che si finge di dimenticare è, però, la sistematica violenza che viene esercitata sulle classi subalterne. Queste, quando ricorrono alla violenza, non fanno che reagire a un sopruso o ad uno stato di cose ingiusto. Al contrario, invece, nel discorso pubblico la rabbia e la violenza degli oppressori contro gli oppressi passano sempre come giustificate e giustificabili.

Le classi dominanti hanno intuito molto tempo fa la portata sovversiva della rabbia. E per questo, nel discorso pubblico, si esalta una presunta “buona politica” che metterebbe da parte le passioni, senza parlare alla pancia ma alla testa, una politica di fatti e di logica. E invece in politica, ha ricordato Palazzi, ci vogliono le passioni, anche quelle che non godono di buona stampa. E la rabbia è ciò che ha permesso di migliorare le condizioni della vita sociale umana (nonostante la riflessione intellettuale e la politica sembra l’abbiano messa da parte).

L’Italia di oggi è attraversata da molti conflitti. Rispetto alla politica tradizionale, quella dei partiti e dei sindacati, che sembra produrre rassegnazione nei cittadini, può intravedersi una certa attività. È chiaro però che, come scriveva Mark Fisher, soffriamo di “impotenza riflessiva”. Ovvero, quanto più le radici dei problemi ci sembrano altamente profonde e immutabili tanto più conoscendole a fondo ci sembra impossibile cambiare. Ed è così che sistemi di cui conosciamo la profonda ingiustizia rimangono in piedi. L’Italia di oggi è in mano a una politica che cerca a tutti i costi la sterilizzazione del conflitto: abbiamo un banchiere come presidente del Consiglio; come dire che quello che ci vuole è l’individuo brillante, a metà fra il consulente per gli investimenti e l’idraulico. Alla politica delle masse, alle folle che chiedono, si può rispondere solo con la violenza degli oppressori: col manganello.

Recuperando l’eredità classica, l’autore riparte dai cinici e dall’idea di aver cura di sé. Un qualcosa che oggi appare relegato nell’ambito del privato, ma che già Michel Foucault aveva messo al centro di una certa idea di politica, che ha delle profonde radici filosofiche in Grecia. I filosofi cinici facevano della propria vita un’alternativa antagonistica all’oppressione e al potere, mediante una condotta di vita (un “vivere la filosofia”) irriverente, dissacrante, scarsamente rispettosa delle strutture che animavano la società. Nei cinici coraggio della verità e coraggio della rabbia diventavano tutt’uno: la verità cinica (quel prendersi cura di sé e della società) poteva venir detta solo rabbiosamente. Sono tali atteggiamenti, poi, ad averli resi dei dimenticati della storia della filosofia, la quale ha privilegiato maggiormente una dimensione contemplativa: proprio questo primato della prassi è la caratteristica che invece sarebbe fondamentale recuperare oggi.

Malcolm X - Wikipedia
Malcom X

E gli esempi non mancano: l’autore cita innanzitutto Malcom X. Poverissimo, il Ku Klux Klan gli uccide il padre, la madre va in manicomio e lui si mantiene in modo criminale: lo arrestano giovanissimo. Condannato a dieci anni di galera, mostra inizialmente una rabbia molto scomposta: non sa bene dove gettarla. Bestemmia dalla sera alla mattina, aggredisce i compagni di cella e va spesso in isolamento. Un detenuto, però, gli fa scoprire la biblioteca del carcere e lui inizia a leggere voracemente: la storia americana, lo sterminio dei nativi americani, la schiavitù nera e così via. Passò a leggere le intere giornate dei successivi sette anni e mezzo di reclusione. In carcere diventa un intellettuale, capisce che in quei libri ci può essere qualcosa per la sua liberazione. Da cinico, secondo Palazzi, per lui prendersi cura della società in cui viveva voleva dire criticarla aspramente. La stampa lo contestava definendolo l’uomo più arrabbiato d’America, mentre Martin Luther King – l’altro grande del movimento per i diritti civili – era il bravo ragazzo che porta a casa i risultati. Ma è davvero così, oppure proprio il fatto di avere un’area arrabbiata radicale permise a Martin Luther King di ottenere quei diritti per gli afroamericani?  

Ma ci sono casi anche di estrema attualità come la mobilitazione dei giovani per il clima o il Black Lives Matter (di cui abbiamo parlato anche qui). I ragazzi dei Fridays for Future sono uno dei pochi casi di intervento delle passioni in ambito politico, come anche il movimento “Non una di meno” contro la violenza di genere. Che cosa si diceva inizialmente della sedicenne Greta Thumberg? Troppo giovane per parlare di argomenti troppo complessi e da adulti, troppo donna, troppo arrabbiata (che nel suo caso, dal punto di vista dei tanti detrattori, faceva rima con “malata” in virtù della sindrome di Asperger). Così stessa cosa per il Blm, di cui (perlopiù) si criticavano non le battaglie ma le modalità d’azione. Eppure, sottolinea ancora una volta Palazzi, la loro era una violenza contro le cose e non contro le persone: non si è per la violenza ma nemmeno contro a tutti i costi, se questo vuol dire farsi ammazzare per strada da dei poliziotti.

L’AUTORE – Franco Palazzi è dottorando in Filosofia all’Università di Essex e autore di Tempo presente. Per una filosofia politica dell’attualità (ombre corte, 2019). Collaboratore di Jacobin Italia e Il Tascabile, ha scritto per numerose riviste italiane e straniere.

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