Quel che rimane di un sogno

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L’occasione mancata per diventare Capitale della Cultura ha lasciato macerie, ma anche speranze. Finalmente una grande sensibilizzazione verso un settore che può diventare il futuro per il territorio. E la necessità di affidarsi a persone del mestiere. Aldilà dei colori politici.

Tanto tuonò che.. non piovve. Dopo mesi di attesa febbrile e successivamente ad un coinvolgimento che ha visto iniziative e sforzi di carattere politico, economico e associativo, Ascoli ha dovuto di cedere lo scettro di futura capitale della cultura a Pesaro.

Nonostante la validità del programma presentato dal capoluogo piceno e la straordinaria bellezza artistica e storica di cui è dotata, a tagliare il traguardo della vittoria è stata un’altra città delle Marche. Non Ascoli. Nelle ore e nei giorni successivi alla mancata proclamazione si sono levate orde di commenti, rivendicazioni, delusioni e molto altro ancora. C’è anche chi ha recriminato, offeso pesantemente chi è dietro ai meccanismi di un simile riconoscimento, che dovrebbe presentarsi alla partenza di uno scopo del genere con una progettualità ricca e nutrita, improntata su natura e cultura. In particolare,dovrebbe attrezzarsi con progetti in grado di attrarre un mercato internazionale, con l’ausilio di nomi potenti, da anni vessilli di qualità nell’ambito dell’arte ,dello spettacolo, della letteratura, dell’istruzione.

L’imperativo per imporre Ascoli all’obiettivo è stato “ diversificare”, consentendo di far spiccare il volo al territorio mediante la qualità di una progettazione quale obiettivo strategico di politica culturale. Purtroppo per Ascoli, che da non moltissimo ha iniziato a metabolizzare l’importanza della cultura per incrementare la forza turistica, finanziaria, imprenditoriale e per allargare la conoscenza del proprio territorio, Pesaro ha alle spalle decenni di investimenti sul settore: basti pensare al “Rossini Opera Festival”, che da tante stagioni impone capolavori lirici ad un pubblico internazionale, ma anche festival di danza e di teatro contemporaneo, eventi d’arte. Una città che sa diventare ad ogni stagione sede di residenze artistiche. Per non parlare di finanziamenti ingenti, provenienti anche da privati, che anno dopo anno puntano su eventi di questo tipo per poter vivere e attrarre la città.

Una piazza che incanta

Ascoli ha scoperto tutto ciò da troppo poco tempo e non sa ancora riconoscere quali siano gli strumenti migliori per investire a largo raggio. Bisogna avere la volontà di puntare sulla qualità che sia indiscutibile e non sul popolaresco, l’urgenza di affidarsi a coloro che hanno dimostrato “alti” risultati alle spalle. Per poi, solo poi, investire sul nuovo o su ciò che coinvolge fenomeni attuali o di moda.
Si sono visti ammanchi imperdonabili nello stilare i programmi da parte di Ascoli: la Facoltà di Design e Architettura non è stata coinvolta, ad esempio, così come altre realtà professionali che hanno dimostrato in passato di avere la capacità di scommettere, comunicare e interpretare esigenze importanti del settore. Per avere risultati che mirino a vere soddisfazioni e possano attrarre anche fuori dai confini ci vogliono idee, denari ma anche e soprattutto il coraggio di smettere di affidarsi solo a coloro che sono coinvolti politicamente nei rapporti con le amministrazioni. Bisogna dare credito a chi ha dimostrato innumerevoli altre volte di possedere vero talento, a coloro che in passato hanno fatto ottimi progetti, che conoscono davvero la materia di cui si parla e non di sperare che gli amici di partito sappiano rimboccarsi le maniche per poterlo fare. Tuttavia, il clima instauratosi con questa corsa alla candidatura ha accesso propositi, progetti, messo in campo forze economiche e instillato in tanti sul territorio la possibilità di un cambiamento per il futuro culturale della città. E per un luogo così per tanto tempo immobilizzato e impaurito nell’allontanarsi dalle proprie certezze è già un grande risultato.

E in questa ottica, Ascoli in ha dimostrato di essersi liberata. E di avere già vinto.

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