Ascoli, “babbo non voleva tanto il Filarmonici! Perché ci stava più cchiappò”

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Di seguito la seconda puntata (qui la prima) della nostra serie sul cinema ascolano, che abbiamo presentato qui. Liberamente tratta dalla ricerca di Nicolò Piccioni, che ringraziamo.

I cine-teatri, in Italia, sono un fenomeno ben presente fin dagli inizi del secolo scorso, fino ad oltre gli anni ‘50. A causa della crescente popolarità degli spettacoli cinematografici, i gestori delle sale teatrali della penisola si videro costretti infatti, per alleviare i costi derivanti dall’allestimento degli spettacoli, e per richiamare il nuovo pubblico dei film, a modificare i repertori e spesso a cambiare le strutture dei locali per rispondere alle domande del pubblico.

Il primo teatro di Ascoli Piceno a dotarsi di un impianto di proiezione in città fu il Teatro Dei Filarmonici (qui per brevi notizie storico-architettoniche), in cui il solerte impresario G. Pomponi, nel 1912, diversificò l’offerta della struttura passando da operette e varietà a proiezioni cinematografiche di prim’ordine, che divennero poi abituali. Lo zelo dei proprietari del Filarmonici nell’adeguare la piccola sala agli standard del grande cinema è manifestato dai continui ammodernamenti che nel tempo vennero apportati nel cine-teatro, come l’installazione nel 1932 di un moderno proiettore Movietone Zeiss-Ikon per film sonori. Il primo film sonoro proiettato ad Ascoli, di fatto, fu proiettato al teatro dei Filarmonici nel 1932: era la produzione CINES La canzone dell’amore (1930, G. Righelli), prima pellicola sonora italiana, che diede l’avvio all’era del cinema parlato in città.

Con l’esclusivo utilizzo come spazio cinematografico l’aspetto del luogo non fu più quello di uno spazio teatrale sette-ottocentesco: gli stucchi furono tinteggiati di un colore uniforme, così come le pareti; venne smontato l’originario lampadario centrale e sul palcoscenico gli originali sipari vennero sostituiti dallo schermo di proiezione fisso per gli spettacoli cinematografici. Venivano comunque periodicamente effettuati lavori di “rinfresco” delle coloriture e delle decorazioni della sala.

Tra il 1942 e il 1947 si svolsero dei lavori per aumentarne la capienza e per migliorare la qualità dell’impianto, fino ad arrivare al 1954, quando le cronache raccontano di come: “il Filarmonici dispone del Multivision, una sorta di cinemascope aggiornato che assomma i vantaggi del cinerama e del cinemascope, compresa la stereofonia”.  Negli anni d’oro della sua gestione Giovanni Sabatucci effettua tutte le migliorie citate soprattutto per rivaleggiare con il diretto rivale dell’epoca, il vicino Supercinema, prima che lo stesso Sabatucci lo acquisisse; pare infatti che tra questi due cinema ci fosse sempre una vivace concorrenza, giocata soprattutto sui prezzi e sulla programmazione.

La fama del Filarmonici in città infatti era quella de “Il piccolo cinema dai grandi film”, come citava il suo slogan principale. Il locale ospitava saltuariamente anche spettacoli di cabaret e di varietà, anche se erano tipologie di intrattenimento che trovavano più spazio nel Supercinema. Prima della guerra il Filarmonici si manteneva su prezzi popolari: con un biglietto si poteva accedere alla visione di un filmato Luce, un western e una commedia; il Supercinema si attrezzò subito di risposta: con un biglietto si poteva avere un documentario, due film a piacere e un cartone animato Disney.

Dal punto di vista della programmazione invece la concorrenza, soprattutto nel dopoguerra, si giocava sulla previsione delle mosse altrui: si faceva addirittura spionaggio per scoprire quali manifesti erano giunti dalle case distributrici, allora in Ancona, per conoscerne i titoli. Ernesto De Marco, memoria cittadina, nel 1971 lavorò per breve tempo nel cine-teatro come operatore e racconta:

Ci stava una concorrenza spietata, ma che scherzi? C’era Malagrida che c’aveva il cinema Supercinema, lui era gestore del Supercinema. Si piazzava vicino alla maschera, giù in fondo, e a un certo punto, tutte le persone che arrivavano, che entravano, e lui lì vicino alla maschera, un po’ per controlla’ quello che faceva la maschera ma un po’ per farsi vedere … “Buonasera! Buonasera! Buonasera!” a chiunque entrava … ci teneva! Era ‘na cosa incredibile!:

Essendo molto vicini praticamente tu che facevi? Passavi lì, andavi a vedere che cosa proponeva un cinema e cosa l’altro, quindi teoricamente c’era questa concorrenza. Ci passavi di fronte, non entravi e andavi in quell’altro, stavano a 50 metri eh. Però poi io mi ricordo che loro, gli operatori erano tutti amici […] I proprietari forse si sentivano concorrenti, ma loro gli operatori erano tutti quanti amici, si conoscevano tutti quanti.

Una testimonianza diretta della vita lavorativa all’interno del Filarmonici è quella di Francesco Cavezzi, classe 1935, memoria ascolana che tra gli anni ’40 e ’50 aiutò per qualche anno Sabatucci e lo staff del cinema nei compiti più disparati.

Io al cinema ci abitavo dentro. Mi ricordo una cosa: il cinema Filarmonici era il cinema più piccoletto come capienza di spettatori, e mi ricordo che a un certo punto, quando si riempiva, non si diceva “No guarda le poltrone sono occupate” e non si vendevano i biglietti. I biglietti si vendevano sempre! Oltre a quelli che stavano seduti, ci stavano centinaia e centinaia di persone che stavano in piedi, pressate. Quelli che entravano prima, che avevano trovato posto, va bene, ma gli altri tutti in piedi, e come si liberava qualcosa allora c’era la corsa.

Il rapporto che c’era tra il personale, e quello degli spettatori con il film e con la sala era poi completamente diverso rispetto a oggi, e si viveva un’atmosfera quasi familiare. Infatti Francesco racconta:

Ci sono i palchi no? Poi il palco principale, quello centrale, rimaneva sempre chiuso perché quello era riservato al prefetto. Quello doveva essere sempre disponibile. Perché il palco si pagava di più, allora la maschera, l’ho fatto pure io, quando c’era il biglietto del palco c’avevamo le chiavi e aprivamo il palco. Poi il palco cominciò a essere il luogo della coppietta che voleva stare appartata […] Poi magari qualche film importante, come arrivava la pellicola la notte, c’era il proprietario del cinema insieme alle maestranze, ce lo vedevamo prima per vedere se il film poteva andare, se era bello.

Mi ricordo il film che tutt’ora ha il record degli spettatori, ed era il film Maria Goretti, e c’ha il record di spettatori, il record di incassi. […] Siccome venivano tanti di quegli spettatori, allora c’era lì allo spiazzo una fila di persone a fare la fila. Quando si riempiva tutto si chiudevano addirittura le porte, poi si proiettava questo film, si facevano uscire tutti gli spettatori e si faceva rientrare tutti quelli che stavano a aspettare. Questo film qua ha avuto molto successo perché a quei tempi c’era quello che ha ammazzato questa povera bambina, che poi fu fatta santa, e lui viveva ai Frati Cappuccini ad Ascoli, faceva il giardiniere. E’ stato uno dei film che ha avuto più spettatori. Sarà stato nei primi anni ’50. Andavano i film storici. Un altro film che ha avuto successo è stato Quo Vadis? (1951; M. LeRoy).

Gli spettacoli di varietà erano più rari ma richiamavano comunque tanto pubblico. Fernando Luzi, volto storico del cinema ascolano, ha lavorato tutte la vita per il Filarmonici e il Supercinema, a stretto contatto con il gestore Sabatucci:

Il Filarmonici era piccolino ma carino. Facevamo gli spettacoli anche al Filarmonici, gli spettacoli teatrali, le compagnie venivano … la prima volta che vidi, come si chiama, il comico quello … Dapporto, per la prima volta al Filarmonici. Non è che ci lavoravo eh, però entravo lo stesso. Entrai e vidi per la prima volta Dapporto. Era subito dopo la guerra, io ero giovane, le compagnie non si formavano ancora … tutti gli artisti, tutti li cantanti, ma famosissimi … lui Dapporto fece un monologo, lui solo parlava … le risate porca miseria!

Di nuovo De Marco:

Mi capitò che quando andai a chiedere ‘sto lavoro, che adesso mi ricordo anche chi era il proprietario del cinema, un certo Sabatini, Sabatucci … Allora gli andai a chiedere se aveva bisogno di un operatore, perché si era licenziato quello che lui aveva lì, e l’altro si era ammalato. Lui stava lì e doveva fare quello che in genere facevano i suoi dipendenti, perché lui di solito fumava e non faceva mai niente. Mi spiegò in poche parole come si metteva la pellicola, una pellicola 35 mm classica, che però dovevi montarla in un certo modo, farla passare in mezzo a tutti questi rocchetti che facevano da trasmissione e poi attaccare la punta sul rocchetto sotto, e poi quando partiva il film si riavvolgeva. A un certo punto lui dice “Guarda io adesso vado a prendere le sigarette” … io ero lì davvero da 10 minuti … mi aveva spiegato bene tutto. A un certo punto questo non tornava, e io mi vedevo questo film dallo spioncino, quando si spezza la pellicola! […] Subito comincia la rivoluzione in sala! Fischi, pernacchie! Allora ci provo, metto sta pellicola, sembrava una cosa semplice. Metto là, accendo, l’interruttore era a due velocità, velocità 1 e velocità 2. In teoria come attaccavi l’interruttore quello sarebbe dovuto partire a una certa velocità, poi dopo un certo numero di giri gli davi la seconda velocità … solo che come accendevo partiva di colpo e si spezzava la pellicola! Allora era diventata una corsa a riaccendere le luci e spegnere la macchina e mettere la pellicola, che si spezzava … oh, quattro volte di seguito! Allora alla fine, non sapevo che fare, ho avviato la pizza inferiore a mano, perché capivo che quando accendevo prendevano un colpo, e mi spezzava la pellicola che partiva troppo veloce. Allora che faccio, l’ho avviata a mano, l’ ho accesa e alla fine è partita. Ero sudatissimo! Torna il proprietario e mi dice “Ah! Mi ero dimenticato! Ti dovevo spiegare che quando accendi si spezza la pellicola, e bisogna avviare a mano!”.

Nelle fasi finali della sua vita la sala si attirò anche una fama non molto lusinghiera di cinema mal frequentato. Come racconta la memoria ascolana Cecilia Piccioni infatti: “Babbo non voleva tanto il Filarmonici! Perché ci stava più cchiappò. E allora, se ci andavi era proprio perché c’era un film che non potevi fa’ a meno…”.

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