Data di nascita 1966, che orgogliosamente campeggia sulle divise. Per tanto tempo è stato sul punto di entrare nell’élite nazionale, ma le solite difficoltà economiche, che nei dilettanti condizionano la vita, e la mancanza di un campo idoneo ne hanno sempre frenato il grande salto. Oggi, dopo che l’assessore Nico Stallone ha ufficializzato il campo nell’area Zannoni, sembrano rinati a nuova vita. Sono cambiate molte cose, i giocatori di un tempo sono diventati i dirigenti di oggi e le giovani leve faticano a sostituirli, così, come possono e soprattutto come permette loro l’età, tornano a calcare il diamante. Aldo Pizzingrilli è il più anziano di tutti, è colui che dal 1964 ha cominciato a parlare di baseball ad Ascoli Piceno.
Lo incontriamo su quello che sarà il nuovo campo, con quelli che chiama ancora i suoi ragazzi, anche se ormai con i capelli bianchi. Stanno segnando le linee foul e il diamante, l’orientamento della casa base e sognando chissà quali iniziative. La prima volta, alla ex GIL, il campo fu inaugurato con un triangolare internazionale di softball.
“Era il 1964 quando, per la prima volta misi piede in un campo da baseball. Ero militare a Roma e per passare quei duri diciotto mesi, m’inventai questo capriccio. In realtà qualcosa era successo già prima. Nelle nostre estati giovanili si andava al cinema con 50 lire e vedevamo due film, di solito un western e uno strappalacrime, in quelle occasioni vidi ‘L’idolo delle folle’, con Gary Cooper, la storia di Lou Gehring, e ‘La paura colpisce’ con Antony Perkins, ma quello che più mi incuriosì furono le fotografie dei New York Yankees trovate su una rivista. Il servizio palava di Joe Di Maggio e di Mariline Monroe, ma io rimasi affascinato da quelle divise a righine blu su fondo grigio. Anche oggi, dopo cinquant’anni, non hanno cambiato look. Mi presentai in Federazione e chiesi come potevo fare per imparare il gioco. Mi fecero il nome di Guido Occidente. Lo incontrai una domenica di marzo all’Acquacetosa”.
Tornato ad Ascoli cosa successe?
“Trovai un gruppo di ‘pionieri’ capitanati da Mario Urbanizza, una fanciullezza passata in Venezuela, dove il baseball, anche oggi, è pane quotidiano. Con fatica riuscimmo ad arrivare a undici, nove con due riserve. Lavorammo con grande entusiasmo, anche se i primi risultati furono disastrosi. Nella prima partita del campionato di serie C, disputata a Bologna contro il Longbridge Foschini, fummo umiliati con un 46 a 0 in soli tre inning. Partita sospesa per manifesta inferiorità e a casa con la domanda ‘ma chi ce lo ha fatto fare?’. Tre anni dopo i bolognesi diventeranno campioni d’Italia con gli stessi uomini con i quali noi avevamo duellato (si fa per dire). La bruciatura si ridimensionò”.
Alla fine degli anni ’60 arriva il campo.
“Direi che costruimmo il campo. Lo facemmo con le nostre mani, il Comune ci mise a disposizione un terreno in viale Federici, area ex GIL., e noi (giocatori, tecnici e dirigenti) spianammo, recintammo, seminammo e costruimmo box e spogliatoi. Non dimenticcammo neppure l’illuminazione, un po’ artigianale, ma sufficiente per giochicchiare anche di notte.
Nel gioco non eravate più scarsi e cominciarono ad arrivare risultati e riconoscimenti.
“Nel 1970, in occasione di una riunione di società a Milano, il professor Pagnini, tecnico del Rimini, una delle migliori squadre d’Italia al pari di Nettuno e Parma, disse di essere rimasto ammirato dal gioco difensivo di una sconosciuta squadra giovanile: una armoniosa coreografia, la definì. Quella squadra era la formazione allievi del Baseball Ascoli.
Non vi accontentaste più dei soli campionati italiani, ma prendeste a girare per l’Europa
“Nel 1974 andammo in Cecoslovacchia, per una tournée che resta memorabile, per i risultati sul campo e per i tanti imprevisti fuori. Jan Palach si era appena dato fuoco in piazza San Venceslao e l’occupazione sovietica era ancora forte. C’era miseria e paura. Ad accompagnare la squadra anche Tonino Carino, che curava i servizi giornalistici. Per tutta la vita è restato un amico del nostro sport. Poi in Francia, dove i giornali francesi ci presentarono sulle prime pagine, con servizi inimmaginabili in Italia”.
Alla fine degli anni ’70 smetti di allenare e passi la mano a tecnici stranieri.
“Serviva il salto di qualità e benché fossi allenatore federale diplomato al primo corso nazionale, serviva una mano diversa che solo gli americani potevano darci. Il primo ad arrivare fu Willie Martin, un colored yankee che gettò le basi di quella che diventerà la migliore formazione ascolana. Erano tutti giovanissimi e Willie dette loro quello spirito yankee che mancava.
Nel 1987 arriva l’americano Mark Vittozzi. Una apparizione fugace ma che lascia il segno.
Nel 1988 è la volta del venezuelano Leo Martin con Luis Diaz, che prende in cura i giovanissimi. Leo resta tre anni con il ruolo di allenatore e giocatore. Sono gli anni del grande boom del baseball ascolano: in campionato arriva la promozione, nei settori giovanili spuntano società come funghi (Castel di Lama, Appignano, Pagliare, Offida, Acquasanta, Maltignano, Folignano, San Benedetto del Tronto e Torre San Patrizio), in luglio viene organizzato un camp sul colle San Marco a cui partecipano molti giovanissimi, in settembre si effettua la trionfale tournée in Francia“.
A questo punto la chiacchierata finisce. Il nostro interlocutore deve lasciarci perché reclamato dai “suoi ragazzi”. C’è il campo da costruire e il fatto che un assessore, per la prima volta, abbia pensato a loro e mantenuto le promesse, ha ridestato quell’entusiasmo che sembrava essersi perso per strada.