Si è spento all’età di 92 anni, l’avvocato Luigi Romanucci. Nella sua vita consigliere regionale negli anni Settanta, due consiliature consigliere comunale del Partito comunista. Compagno straordinario ed unico per le genti della sua parte politica, che ha difeso i valori della democrazia, del rispetto degli avversari, dell’amore per la politica alta, per l’impegno verso la città.
Quando qualcuno se ne va da questo mondo, ho sempre la sensazione che siamo solo granelli di sabbia, insignificanti, di fronte a qualcosa di vasto e incomprensibile. L’avevo ieri, quand’ero giovane, l’ho maggiormente oggi che l’età è sfiorita da un pezzo.
Di Romanucci non condividevo le posizioni politiche e nel lavoro eravamo su due opposte barriere, ma ci rispettavamo e stimavamo al punto che, nelle ultime battute della mia avventura lavorativa, mi rivolsi a lui per consulenze legali.
Le nostre strade si erano incrociate molte volte, lui come avvocato ed io come direttore del personale. Inevitabile quindi andare con il pensiero al passato quasi a rincorrere e ritrovare le immagini di chi si sta incamminando verso un Mondo impalpabile, che dicono incantevole, ma che da vivi fa paura.
Non mi sono mai piaciute le lodi dopo morto. Sembrano la riparazione per qualcosa che non si è fatto. Soprattutto quando sono di circostanza e le parole hanno difficoltà ad esprimere, in poche righe, il senso della scomparsa. Ma con Romanucci escono spontanee perché sentite. Siamo stati avversari, spesso duri ed intransigenti, eppure ci siamo rispettati. Lui difendeva gli operai, io difendevo l’Azienda. Ero il direttore del personale e le conflittualità era la nostra comune materia. Dura, difficile, spigolosa, per certi versi in Manuli, più sfumata e meno barriccadera in Gabrielli.
Una delle ultime volte che ci siamo incontrati in Tribunale, difendeva un ragazzo che in malattia andava a giocare a calcio, per il sommo dell’assurdo lo faceva con la nostra squadra. Alla fine della vertenza, con in mano l’accordo raggiunto, mi chiese se almeno era un bravo calciatore. Non solo risposi di si ma aggiunsi che ci aveva portati in finale del Campionato Italiano riservato alle aziende della Confindustria. “E voi lo volete licenziare! – esclamò – Io gl avrei dato un premio ed una licenza premio”
Anche nello sport avevamo qualcosa in comune, lui appassionato di montagna, al punto da fondare il Cai ascolano, io appassionato di baseball, avevo portato il gioco del batti e correre ad Ascoli.
Solo in politica la vedevamo in modo diverso, venivamo da due pensieri diametralmente opposti, ma conoscevamo quella regola che permette di restare avversari senza essere mai nemici, cosa che farebbe molto comodo ai politici di oggi.
Stamattina, alzandomi, il sole era inaspettatamente alto nel cielo e metteva di buonumore, poi ho letto sul tablet la notizia e s’è rotto l’incantesimo. Eppure credo che nessuno muoia, credo che l’anima in realtà divenga un’ombra. Morire è solo non essere visto.