L’anno d’oro dello sport italiano e le follie di una provincia “provinciale”

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di Arpagone

In un anno segnato ancora dal Covid, lo sport italiano è stato capace di imprese eccezionali, segno che è nelle difficoltà che gli azzurri tirano fuori gli attributi. Non voglio fare paragoni blasfemi, ma se andiamo a guardare la storia, ogni volta che qualcosa è andata storta abbiamo sempre saputo dimostrare che siamo gente capace. Penso alla Disfida di Barletta, quando un pugno di mezzi straccioni seppero tagliare le unghie alla tracotanza francese, penso a quei mille scalcagnati in camicia rossa che attraversarono la penisola per regalare ai Savoia una “nazione”. Sarebbe da definirli patrioti, se la parola oggi non fosse male usata.

Ci sono parole nel nostro vocabolario  che a volte viene voglia di cancellare perché utilizzate per impropriamente. Prendete il grido della folla alle partite delle nostre nazionali di qualsiasi sport, “forza Italia”, è finito col diventare il nome di un  partito, così da rendere difficile gridarlo a cuor leggero: pensate il trauma di un comunista!

Digressioni a parte, abbiamo vinto tutto quello che potevamo vincere: gli europei di calcio, seppure con il fiato sospeso, abbiamo fatto man bassa di medaglie alle olimpiadi in ogni disciplina sportiva, abbiamo spadroneggiato nel nuoto, siamo stati fantastici nel tennis.

Poi, all’improvviso, il sogno perché a pensarci bene è stato tutto un sogno, ha cominciato a sgonfiarsi. La nazionale di calcio ha mandato tutto a puttane e ora rischia di non andare ancora una volta ai mondiali, nel tennis abbiamo mancato l’ultimo miglio e siamo tornati con i piedi in terra. L’Italietta insomma, capace di strani acuti ma anche di perverse cadute. Niente di nuovo.

Niente di nuovo è anche la storia di Sergio Pirozzi. Pirozzi, per chi non ne ha sentito mai parlare, è un signor travet che ha conosciuto la ribalta con il terremoto del 2016. Era il sindaco di Amatrice e per mesi ha occupato gli schermi delle televisioni nazionali e locali. Pochi sanno, però, che il mestiere del signor Pirozzi è l’allenatore di calcio e proprio per il calcio è tornato agli onori della cronaca, in una vicenda in cui sono protagonisti anche la Sambenedettese e i suoi tifosi.

I fatti. La Samb sta vivendo una delle sue peggiori stagioni, è passata in pochi mesi dal fallimento della vecchia società presieduta da Domenico Serafino, alla mancata iscrizione in Serie C della nuova società di Roberto Renzi, al tentativo di iscrizione in serie D di una nuova compagine scelta con bando comunale e, infine, all’iscrizione in serie D della società di Renzi, per ordine della giustizia amministrativa. La squadra viene assemblata alla meno peggio appena in tempo per il campionato ma, come naturale, i risultati sono disastrosi. Si licenziano allora i direttori sportivi, si cambiano gli allenatori, ma la classifica resta a rischio. A questo punto entra in ballo Sergio Pirozzi,  un allenatore che conosce la categoria (con il Trastevere ha sfiorato la serie C) e la piazza, dove è nato, ma anche con precedenti nell’Ascoli, dove ha allenato il settore giovanile ed è stato il secondo di Colomba in una salvezza che ebbe del miracoloso. Un palmares per tutti sinonimo di garanzia, ma non per i tifosi, che quando leggono Ascoli arruffano sempre il pelo. E per far capire meglio “che razza di uomo è questo Pirozzi”, ripropongono in rete le immagini che lo ritraggono in curva allo stadio Del Duca, con sciarpa bianconera al collo e megafono in mano che guida i cori.

Conclusione: il presidente ci ripensa, Pirozzi non mette piede in società e né tanto meno in campo e la “sommossa” rientra. Unico particolare, la classifica rimane sempre traballante. Ma vuoi mettere essere scampati ad un  oltraggio? Meglio morti che un ascolano in casa! Ma questa è un’altra storia. Finale Bianco-nero. Facce scure in casa ascolana dopo la seconda sconfitta consecutiva. E perché mai? “L’arte di vincere s’impara nelle sconfitte”, diceva Simon Bolivar. L’importante è non farci l’abitudine. Alla prossima.

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