Calciatore, allenatore, assessore: l’ascesa di un inguaribile sognatore

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Conosco Nico Stallone da molti anni. Non so se questo possa definirci amici, ma di sicuro non siamo sconosciuti l’uno all’altro.
Lui, è l’assessore allo sport, io il “giornalista per caso” che dovrebbe “sfruguliarlo”.
“Vogliamo una voce intonsa”, mi ha spiegato il direttore. E io, secondo lui, non ho incrostazioni preconcette, non sono un giornalista, non ho tessere di partito, non sono nessuno insomma. Ma scrivo.

Dentro di me ho pensato: “Eh, che sarà  mai!” e ho accettato: “Figurati se non trovo argomenti per una chiacchierata!” Poi mi sono morso la lingua. Tante e tali sono le variabili di cui tener conto nell’abbozzare uno schema di conversazione; tanti e tali i compiti di un assessore, in proporzione ai mezzi di cui dispone; tanti e tali gli specialismi da padroneggiare che non è affatto semplice. Ho rivalutato il lavoro dei giornalisti, di quelli che con il microfono in mano inseguono il personaggio di turno per carpire quelle inutili parole, “non ho niente da dire”.

Nico sta per Domenico, un modo di scorciare i nomi per parsimonia. Ma la provincia è questa, oculatezza anche nella parola. Una vita nel calcio. Meglio da giocatore o da allenatore?

Due esperienze molto diverse, una matura l’altra e entrambe danno valore formativo a qualche cosa che continua ad essere chiamato “gioco”. Da ragazzino giocavo perché mi piaceva. Lo facevamo nelle piazze meno frequentate o in quegli spazi gibbosi di periferia che erano i nostri stadi. Sognavamo che ci adocchiasse un osservatore di turno, uno di quelli che prendeva la macchina e si faceva il giro dei paesetti della provincia quasi quotidianamente, per finire nel settore giovanile di una grande squadra. Sono finito nell’Ascoli, ma poteva succedere anche con la Sambenedettese! A quei tempi una era in serie A e l’altra saliva e scendeva dalla B. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili per entrare poi nel giro della prima squadra”.

Il tuo obiettivo, come quello di tutti i giovani calciatori, era esordire nella prima squadra e sbalordire da subito.

“Invece è avvenuto in una giornata disastrosa, all’Olimpico contro una Roma stratosferica, Tancredi, Spinosi, Falcão, Conti, Pruzzo, Di Bartolomei tanto per dirne alcuni. Sostituisco Torrisi al 38′ della ripresa e a risultato ampiamente compromesso (4-1 per i giallorossi). Confesso che quando mi sono alzato dalla panchina non mi interessava nulla del risultato, stavo coronando il sogno della vita. Avevamo l’attaccamento alla maglia, sensazione forse oggi dimenticata”.                                                                                                                                                  

Pensavi di esserti guadagnata la conferma, seppure come riserva, invece…

“… invece. Dopo un’altra stagione in bianconero con 11 presenze, cominciarono i trasferimenti per campi di serie C. La serie A di quelle stagioni vantava campioni su campioni che nobilitavano il calcio italiano, e allora per i giovani come me era meglio scendere un gradino e farsi le ossa in cadetteria. Jesi, Cesena, Mantova, Ravenna, Carpi. A Ravenna contribuisco a risollevare la squadra che, dopo il disastroso inizio, non solo riesce a salvarsi, ma sfiora la promozione, fermandosi alla quarta posizione. A Carpi faccio meglio, arriviamo a soli due lunghezze dalla Sarzanese. A quel punto dissi che poteva bastare”.

E’ venuta poi la stagione da allenatore.

Passare dal campo alla panchina è naturale, quando si ha la fortuna di essere allenato da tecnici del calibro di Mazzone, Marchioro, Tiberi, Buffoni, Melani, tutta gente arrivata in serie A. Da loro ho imparato tutto, non solo come stare in campo. Ho allenato per molti anni dalla D alla seconda categoria, ho forgiato uomini prima che calciatori, ho scritto le pagine più belle di una microscopica società, il Monticelli, che ha sfiorato il professionismo e ho confermato ancora di più come l’industria calcio del tempo sfornava uomini, persone che se non arrivavano in alto comunque avevano un futuro, un domani”.

Oggi ti occupi con successo dello sport ascolano come Assessore. Uno sportivo allo sport è una rarità per la politica, abituata a mischiare le carte, come se godesse delle incompetenze più che delle conoscenze. Per sbaglio o per scelta oculata?

Le scelte politiche sono sempre complicate. Bisogna rispettare i patti elettorali di schieramento, accontentare le richieste dei coordinatori regionali, tenere conto dei più votati… Per ultimo vengono le competenze, quelle che invece dovrebbero essere al primo posto.

In questo caso sei stato fortunato.

Spero non io, ma la città e le varie realtà sportive locali. Oggi non sono più il calciatore ma un appassionato di tutti gli sport”.

Il tuo programma in poche parole.

Presto detto: realizzare un grande centro sportivo in cui trovino posto tutti. Calcio, Calcetto, Basket, Volley, Rugby, Pallamano, Tennis e Baseball”.

Già il Baseball! Un campo sognato e rincorso da cinquant’anni…

… e che ora realizzeremo”.

[Gli amanti del batti e corri incrociano le dita, sperando che non sia l’ennesima delusione. Stallone lo garantisce, ma la diffidenza degli interessati resta, troppe volte sono stati scottati dalle promesse al vento. L’assessore capisce, ma tira dritto per la sua strada. L’aveva promesso entro fine anno, ma le solite lungaggini burocratiche hanno ritardato le delibere. Sarà per la primavera, quando il baseball tornerà a giocare. Una grande festa, ndr].

Una grande festa nella quale mi piacerebbe lanciare la prima palla, come si fa in America.

Non solo la prima, direbbero i baseballisti di casa nostra, ma anche la seconda, la terza… finanche l’ultima, se il sogno diventasse realtà.

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