Concessioni balneari, si cambia. Forse.

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Ci sono un sindaco, un sambenedettese e il Consiglio di Stato…” Sembra una di quelle barzellette che un tempo ci facevano tanto ridere, quelle del francese, del tedesco e dell’italiano. Qui, però, non c’è molto da ridere e di barzelletta c’è ben poco, se non il ridicolo finale. Ma andiamo per ordine.
Martedì 9 novembre il Consiglio di Stato decide di fissare la durata delle concessioni balneari al 2023, superando la delibera del governo che l’aveva fissata al 2033. Qualcuno festeggia, come il sindaco di Lecce, promotore del ricorso, altri, i titolari degli chalet, masticano amaro, ritenendosi colpiti nei propri diritti. Poco male se per anni hanno goduto di rinnovi delle concessioni quasi automatici e di canoni di affitto da pochi euro al metro quadro, per di più senza che nessuno avesse avuto mai da ridire sui prezzi per lettino e ombrellone sempre troppo alti.

Primo tempo – le concessioni balneari

Dunque, concessioni trasformate in veri e propri privilegi che periodicamente qualcuno cercava di sanare ma che puntualmente, finivano per “insabbiarsi”, nonostante la Commissione Europea chiedesse con insistenza di recepire la direttiva Bolkestein, approvata nel 2006.
La direttiva stabiliva che le concessioni pubbliche dovessero essere affidate ai privati attraverso gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale, ma i governi italiani non avevano dato mai applicazione, con la motivazione degli effetti troppo ampi che avrebbero danneggiato molte imprese.
Da qui all’esplosione di ricorsi e controricorsi la strada è stata breve, ma l’orientamento dei giudici non è stato mai chiaro e le sentenze dei tribunali hanno avuto esiti diversi un cause identiche. Ricorrere al Consiglio di Stato è stato l’ultimo passo, prima di prendere atto che non c’era alcuna volontà e, neppure possibilità di trovare una soluzione.

Secondo tempo – il Consiglio di Stato

E arriviamo al 2018 quando, con il primo governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, viene stabilito che le concessioni debbano avere un termine, fissato in quella occasione al 2033. Nulla diceva invece sulle gare pubbliche e sulle liberalizzazioni, come richiesto dalla Commissione Europea tra le condizioni per l’assegnazione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In compenso riportava una inutile “mappatura” di tutte le concessioni attive.
Anche in questo caso inevitabili i ricorsi, fino a scomodare il Consiglio di Stato, che riduce la proroga delle concessioni al 31 dicembre 2023. Fine della querelle. Per il momento.
La pronuncia esprime il segno dei tempi. Indecisione della politica; supplenza della magistratura; squilibrio fra i poteri; sovrapposizione dei ruoli; abdicazione del comando nazionale a favore di quello europeo; forzature nel sistema delle regole di diritto (prevalenza della regola giurisprudenziale su quella legislativa, retroattività della prima anche a discapito del giudicato contrastante) e così via.

Terzo tempo – il Sambenedettese

Era inevitabile che una situazione di questo tipo si scontrasse con la resistenza dei gestori delle concessioni balneari, già inferociti per quel 2033 come termine ultimo di scadenza delle proroghe. È a questo punto che entra in gioco il sambenedettese. Giuseppe Ricci presidente del sindacato nazionale ITB.
Quando il Sindaco pugliese aveva cercato di spiegare in pubblico la complessa e controversa storia delle concessioni balneari, aveva usato un paragone. Se da sindaco avesse concesso l’utilizzo di un castello per fini turistici senza procedura di affidamento e senza gara, per un lunghissimo periodo, di generazione in generazione, avrebbe attirato l’attenzione della Procura della Repubblica, della Guardia di Finanza e della Corte dei Conti. Lo sfogo del sindaco s’era chiuso con una domanda: “Perché per le spiagge non devono valere le regole che giustamente bisogna rispettare per dare in concessione tutti gli altri beni demaniali?
Di contro la proposta di Ricci, dopo aver sottolineato che una simile decisione non rientra nemmeno nelle competenze della Corte Costituzionale e che è assurdo pensare che il parlamento debba riempire passivamente le caselle di una riforma preconfezionata da un altro organo, specialmente se di natura giurisdizionale, chiede il trasferimento della proprietà degli chalet agli attuali gestori, e la concessione della spiaggia per 99 anni

Supplementari

È difficile dire cosa accadrà adesso. La decisione del Consiglio di Stato è stata criticata dai politici, in testa Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (Fdi). “Spiagge e mercati italiani non sono in svendita, si rassegnino i burocrati di Bruxelles e i loro complici“. Per i sindacalisti conseguenza immediata della sentenza sarà invece la revisione del disegno di legge sulla concorrenza. “È doverosa. Speriamo che il governo colga l’occasione per aggiungere una questione di cui si parla poco: il paese deve avere una legge sul demanio marittimo che definisca a livello nazionale le quote di spiagge pubbliche e spiagge in concessione“.

Basterà una decisione del Consiglio di Stato?

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