San Benedetto, quali spazi per studiare?

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Sapete dirmi un posto in cui possa andare a studiare a San Benedetto del Tronto?“. Capita, scorrendo le stories che appaiono sul proprio profilo Instagram, di imbattersi in richieste d’ogni genere. In questo caso, la questione sembra semplice, ma nasconde un problema molto articolato: quale ruolo dare all’istituzione bibliotecaria nel mondo contemporaneo. La città rivierasca avrebbe una struttura: la biblioteca multimediale “Giuseppe Lesca”, inaugurata l’8 settembre 2001 nel cuore dell’edificio adibito a municipio “in una nuova e modernissima sede: sono stati messi a disposizione del pubblico 950 metri quadri al piano terra e 750 al primo piano. Sono stati destinati, inoltre, 450 metri quadrati alle sale lettura e consultazione, 334 per la biblioteca dedicata ai ragazzi e bambini e altri 60 per gli spazi multimediali. Accanto alla Biblioteca si trova un Auditorium per 175 persone“. Questo recita il sito del Comune.

Il problema allora qual è? La città ha vari istituti superiori, con relativi studenti da tutto il comprensorio, e tanti universitari – anche fuorisede e… “nell’epoca prima del Covid lo spazio non bastava mai [sul sito della biblioteca si dichiarano 204 posti a sedere, ndr], eravamo tutti ammassati e a un certo punto del pomeriggio iniziava a mancarti letteralmente l’aria. Senza contare la corsa che c’era ogni mattina per accaparrarsi i posti e lasciare i propri appunti e oggetti e libri sui tavoli per occuparli”. Ora, a causa della pandemia, l’accesso alla sala studio, ridotta a 55 posti totali, è possibile solo su prenotazione, previa iscrizione ai servizi della biblioteca dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, sabato dalle 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 17.30. “Praticamente non riesco mai a trovare posto, ma non solo a causa dei pochi spazi disponibili, ma anche per il fatto che troppi prenotano e non si presentano: mi capita di arrivare, trovare la sala vuota ma non poter entrare“.

Quando studiavo ad Ascoli, adoravo la biblioteca comunale. Sempre piena di gente. Certo, poco adatta per concentrarsi ma molto per stare in compagnia“. Nel frattempo però la “Gabrielli” è chiusa per lavori e gli spazi per gli studenti ascolani (malgrado le poche postazioni a Monticelli) sono inesistenti (ne abbiamo parlato abbondantemente QUI). “Ancor di più frequentavo la Bottega del Terzo Settore, un posto perfetto. Con le sue vetrate ampie, spazi ariosi, posizione perfetta“. Certo, tecnicamente la Bts non è uno spazio studio, ma di fatto è stato permesso. Anche qui in modo ridotto, comunque, per la pandemia.

La biblioteca è o è stata, nell’immaginario collettivo, un luogo di studio, lettura, ricerca, silenzio, rapporto uno-a-uno con i documenti. Poi si è aperta a usi estensivi e a pubblici interessati ad altri servizi: i quotidiani, il patrimonio della fonoteca, gli incontri pubblici, i corsi, internet, la promozione della lettura, lo studio con i compagni di classe o i colleghi di corso. In tutti i casi, quello dell’utenza classica rimaneva un profilo estremamente selezionato: i servizi offerti «reclutavano» e definivano il profilo dei propri consumatori. Da un certo momento in poi la società e le sue contraddizioni hanno fatto ingresso nel luogo «sacro» del sapere. Pensiamo alla presenza costante di persone con problemi (senza dimora, tossicodipendenti) o comunque alla ricerca di un luogo (libero, gratuito, riscaldato o raffrescato, dove potersi sedere, dotato di servizi igienici) nel quale poter trascorrere del tempo nell’impossibilità di trovare adeguate alternative.

La cosiddetta “biblioteca sociale” rappresenta probabilmente l’unico orizzonte futuro per questi spazi. Un luogo che accoglie le persone e le loro idee, un luogo che offre socialità, cultura, che aiuta a orientarsi con competenza in un mondo sempre più pieno di informazioni. C’è una grande, gigantesca domanda espressa (ma molto spesso anche inespressa) di spazi pubblici realmente demercificati, liberi, gratuiti nel mondo del Tardo capitalismo. E questo è ancor più valido in città di provincia, dove le possibilità per i giovani (e i meno giovani) sono altamente ridotte. La vera domanda diventa, quindi, perché le nostre Amministrazioni investono così poco, invece di ampliare e disseminare questi centri in ogni quartiere centrale e periferico, anzi soprattutto periferico?

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