Chi, pienə di vestiti che non mette più, che aumentano ad ogni cambio stagione, non si è detto: “emmmó ndo la metto tutta sta roba?”. Anche ad Ascoli Piceno, grazie agli attivissimi ragazzə del Collettivo Caciara, sono arrivati gli Swap Party: un’iniziativa che inizia oggi ma che vuole diventare un appuntamento fisso di ogni cambio di stagione.
Che cos’è uno Swap Party? Lo Swap Party è un sistema, sociale ed economico (ma non solo) alternativo, che fondato su una forma di baratto: io porto i miei capi e in cambio (dopo la loro valutazione) ricevo in cambio, gratuitamente, dei tagliandini da scambiare con altri capi, rinnovando il mio armadio in modo etico. Oggi, domenica 29 maggio, si sta svolgendo presso il mercato della verdura di Porta Solestà, tra via Verdi e via Bengasi, nella sua prima edizione primaverili fra t-shirt, pantaloni, cardigan, felpe, maglioni, cappotti, cappelli, sciarpe e scarpe puliti e in buone condizioni a volontà.
Da più di vent’anni fenomeno della fast fashion è entrato di prepotenza nelle nostre vite, complice la crisi economica ci siamo abituati ad acquistare i vestiti a basso costo da grandi catene per tenere sempre aggiornato il nostro guardaroba e contenere le spese. Quello che può apparire come un risparmio ha però un pesantissimo rovescio della medaglia: la vendita di abiti a basso costo presuppone comunque un profitto e questo viene ottenuto sfruttando la manodopera delle aree più povere del mondo con salari bassissimi diritti inesistenti e condizioni di sicurezza precari.
La qualità media dei prodotti è ovviamente più bassa, di conseguenza la loro vita si fa più breve e la produzione di capi di abbigliamento continua a crescere a dismisura, comportando un costo oltre che a livello umano e sociale anche ambientale. Le tonnellate di emissioni di rifiuti tessili, inclusi gli invenduti, (diretta conseguenza del fenomeno della fast fashion) rendono il settore dell’abbigliamento la seconda industria più inquinante al mondo dopo quella del petrolio.
Ma un consumo differente è possibile, riducendo l’acquisto compulsivo, leggendo con attenzione le etichette e la provenienza dei capi, assicurandosi che i diritti dei lavoratori siano rispettati e anche dando una seconda opportunità e una nuova vita agli abiti.