In città spopolano gli annunci di ricerca personale ma molti vanno deserti. Sui social le polemiche: sfruttamento o mancanza di volontà?
Leggo da mesi post polemici- sui social, articoli di giornali, tribune televisive che non fanno altro che dire, in sostanza, che i giovani di oggi sono dei fannulloni, che non hanno voglia di fare nulla, che dietro di loro c’è la famiglia che li vizia accondiscendente a ogni richiesta e necessità. La questione mi incuriosisce e cerco di saperne di più.
Incontro Federico, 18 anni appena compiuti e lo zaino di scuola riposto (per ora) nell’armadio, una mattina di buon’ora, a prendere un caffè insieme ad altri suoi coetanei. Convinta si stessero godendo il preludio di qualche scorribanda al mare, resto abbastanza stupita nell’apprendere che invece, si stanno recando tutti al lavoro.
Federico, insieme ad altri tre compagni di scuola, è approdato come magazziniere in un’azienda ascolana grazie all’esperienza dell’alternanza scuola lavoro o meglio PCTO (Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento). A marzo aveva portato il curriculum per poter svolgere il periodo di stage previsto dal percorso di studi. “Mi hanno contattato – racconta Federico – e dopo le due settimane alternanza scuola lavoro mi hanno chiesto di restare un’altra settimana perché avevo lavorato bene. E poi man a mano sta andando avanti così dall’8 giugno, sia per me che per i miei amici. Io ho accettato perché penso sia bello fare nuove esperienze di lavoro che ti preparano anche a un futuro.”
Federico lavora otto ore al giorno 9-18 con un’ora di pausa pranzo. E il mare? E le scorribande con gli amici? Non si trovano camerieri né baristi, il mondo della ristorazione, nei secoli pozzo delle opportunità per chiunque volesse anche approcciare al “lavoretto estivo”, sembra non essere più così appetibile?
“Molti di noi – mi spiega lui- non accettano i lavori il sabato sera e la domenica perché sono visti come giorni di riposo, momenti in cui tutti si riuniscono e ci ritroviamo nei locali o discoteche, perciò si preferisce lavorare durante il giorno.”
Chiamo un mio vecchio conoscente, il prof. Ercole Capriotti dell’Istituto Professionale Buscemi di San Benedetto del Tronto, responsabile del percorso accoglienza turistica. Mi conferma che nel settore c’è stato un sostanziale cambiamento occupazionale, perché se fino a 20 anni fa da un lato c’era “una maggiore propensione al lavoro da parte dei giovani” – dall’altro “le richieste degli operatori erano meno specifiche, il servizio era differente e meno pretenzioso, di conseguenza gli operatori di allora reperivano più facilmente il personale”. “Oggi – continua Capriotti – il livello del servizio si è alzato: si richiedono delle competenze trasversali (conoscenza delle lingue, gestione del cliente, capacità comunicative) oltre alle competenze professionali che un cuoco, un cameriere o un receptionist deve avere. I nostri studenti sono consapevoli di sacrificare festivi e momenti in cui i loro pari sono più liberi, ma lo sono meno coloro che in passato cercavano l’occupazione stagionale occasionale – ad esempio gli studenti universitari- che magari prediligono altri lavoretti piuttosto che la ristorazione”.
Non diverso il punto di vista di Lorenza Roiati, titolare de L’assalto ai forni, attività di panificio e pasticceria al centro di Ascoli Piceno. Proprio mentre sto scrivendo questo pezzo mi imbatto in un suo annuncio pubblicato anche sui social nel quale si ricercano un panettiere, un pasticcere e un addetto alla vendita/trasportatore patente b. Nell’annuncio espressi in chiaro gli orari e i giorni di lavoro: 5 giorni su 7, orario diurno, 35-40 ore settimanali in base alla mansione. “L’attività ha compiuto i tre anni quindi ho già cercato personale in passato ma quest’anno riscontro una difficoltà maggiore reperire ragazzi nel settore della pasticceria panificazione e pizzeria ossia un po’ più formato, mentre più semplice la ricerca di una figura da inserire alla vendita: il rapporto è 10% per pasticceria e pizzeria, 90% vendita e su questa richiesta l’età media si aggira sugli over trenta”.
Il quadro inizia a farsi più chiaro: si cercano ovviamente le competenze. Gli annunci di lavoro sono pieni di “apprendisti con esperienza”. Ma queste competenze vengono anche riconosciute economicamente? Nascerà qui l’inghippo? Sarà vero, come sostengono alcuni, che non si trova personale perché lo vogliono sottopagare?
Incontro Emanuele Melchiorre, titolare del cocktail bar e ristorante Chisc. L’attività si regge sugli sforzi di tre trentenni: lui barman, la sua fidanzata Barbara ai tavoli e il fratello Daniel in cucina. Emanuele mi racconta che lavorano sei giorni su sette per 10-12 ore al giorno. Le ferie? Il giorno di chiusura, e se va bene una settimana a novembre. E’ indubbio che la passione e la forza di volontà facciano da traino, perché vedendola da fuori, la responsabilità di un’attività sulle spalle, soprattutto post pandemia, è una gatta da pelare che molti non si prenderebbero.
Nella ricerca di personale, mi racconta Emanuele, qualche colpo di fortuna e qualche buco nell’acqua: “io voglio garantire sempre un contratto regolare e quanto dovuto per la prestazione. Purtroppo, non si riesce a programmare un flusso di clienti tale da lavorare bene. Abbiamo notato che il bacino ascolano si è ridotto dopo la pandemia, gira meno gente mentre in centro sono aumentati i locali, frammentando ulteriormente l’offerta. I costi da sostenere sono aumentati per tutti e spesso si fa come si può, tagliando anche su un aiuto in più di cui invece potresti poi avere bisogno. Si naviga a vista – continua Emanuele- un lunedì possono prenotarti cinquanta persone e possono non esserci molte prenotazioni di venerdì. Ovviamente un dipendente che cerca la stabilità e l’organizzazione dei tempi, non puoi chiamarlo da un minuto all’altro. Ed ecco che tutto ciò va a scapito della professionalità del servizio o, spesso, del triplo della fatica che facciamo noi tre”.
Mi conferma la stessa visione nel settore alberghiero – ristorazione Francesco Balloni, direttore della CNA di Ascoli Piceno: il turismo è cambiato perché sono cambiate le esigenze e le scelte dei turisti. I tempi di permanenza si sono ridotti dai 10 o 15 giorni a 3- 5, e quando si parla di flussi turistici in crescita in realtà c’è una diversificazione maggiore del turista: “ciò che stiamo riscontrando come CNA nel mese di giugno, dove il flusso turistico sembra non andare male, ci sono state delle enormi differenze di arrivi e consumi tra quelli che sono state le prime giornate della settimana e quelli da giovedì fino a domenica“. Contemporaneamente l’aumento dei costi fissi per le strutture dell’impresa rende anche difficile che si riesca a marginalizzare il giusto: “oggi mettere in moto la macchina di un hotel o un ristorante, se fino a qualche anno fa costava 10 ad oggi costa 25, infatti molti stanno rinunciando ad aprire tutti i giorni ma si limitano al weekend”.
Cerco di capirne di più: raggiungo al telefono Elisabetta Carassanesi, District manager della filiale dell’agenzia per il lavoro Manpower di Ascoli Piceno: “la difficoltà nel settore ristorazione è sempre esistita sia per ragioni contrattuali che per ragioni di continuità occupazionale, ad oggi la questione assume maggior rilievo proprio in virtù di una profonda trasformazione del mondo del lavoro: i ragazzi chiedono più certezze, chiedono garanzie prima di mettersi in gioco e la ristorazione spesso non offre prospettive, prevedono part time e degli orari discontinui, tutte particolarità che hanno ripercussioni sulla pianificazione del futuro, della giornata e quindi del proprio tempo libero. Come causa – continua Carassanesi- non possiamo non considerare l’isolamento e le privazioni imposte dalla pandemia che oggi riecheggiano nella voglia e necessità di condivisione, di coltivare hobby ed amicizie”.
Sembra quindi in atto una profonda trasformazione di come viene percepito il lavoro allo stato attuale: se in passato rappresentava l’emancipazione, la libertà, l’identità nel contesto sociale, ora che sono poche richieste di lavoro davanti ad una moltitudine di offerte, questo ha reso la richiesta sicuramente più pretenziosa: il lavoro è un mezzo e non più un fine, per il perseguimento di una vita felice e per il nostro benessere psicologico, e poiché la dimensione lavorativa occupa gran parte delle nostre giornate e dei nostri pensieri, ben oltre l’orario canonico, non vuole essere un elemento centrale di questo processo, nel bene e nel male.
Insomma: non è vero che i giovani non vogliono lavorare, ma vogliono farlo meglio, auspicano ove possibile a niente turni, niente lavoro nel weekend, smartworking, flessibilità oraria e spesso anche niente straordinario, condizioni che ovviamente non sono ammissibili e realizzabili per ogni mansione. Dalla loro le aziende li vorrebbero formati, preparati e flessibili alle disponibilità dettate dal momento incerto ed imprevedibile. In mezzo ci sono le istituzioni, che aumentano i costi fissi e non mettono a disposizione concrete politiche di collocazione, ma anche e soprattutto, di riqualificazione e formazione per le categorie over 40.
Ma come nella metafora delle rette parallele, i due mondi, quello dell’offerta di lavoro e quello della domanda, continuano a non incontrarsi mai e ognuno da la colpa all’altro.