La Vigilia di Natale
Nel giorno della Vigilia c’era l’obbligo del digiuno, seppure ci si chiedesse che senso avesse digiunare se si festeggiava la nascita di Cristo. Oggi, dal digiuno stretto si è passati ai pasti di magro, niente carne (segno di opulenza) ma minestra di ceci, tonno accompagnato da verdure di stagione, come i “gobbi”, che in italiano sono i cardi, sedano, finocchi e olive verdi.
Cena più consistente ma sempre di magro (quindi ancora niente carne) con mezze zite di magro, specie di spaghetti con buco che quando si tirano in bocca fischiano (per gli ascolani li cefelitte), poi baccalà in umido con l’uvetta, arrosto e fritto, accompagnato da gobbi, cavoli e finocchi fritti
Ricordo le “impanzate” di frestinghe, dolce eccezionale di cui ho perso il sapore. Era una specie di pizza fatta con fichi secchi ammorbiditi in acqua tiepida, uva passita, miele, zucchero, cedro candito, mandorle tostate, nocciole tostate, cioccolato fondente grattugiato, farina, pane grattugiato aromatizzato con noce moscata, buccia di limone grattugiato, buccia di arancia grattugiata e bicchiere di olio, messa al forno almeno per un’ora.
Mia nonna era una specialista così come lo era a cucinare il baccalà in umido con uvetta passa e pinoli. Autentica delizia culinaria, classica tradizione del Natale. E che dire dei “refritti”: spignoli, olive, carciofi, cremini, delizie del palato. Ma il piatto che più di ogni altro era atteso era “li fischiù“. Oggi questo tipo di pasta viene chiamato “zita”. Quando la mettevi in bocca, siccome era lunga, inevitabilmente finiva con lo sbatterti sulla faccia emettendo nel contempo un sibilo. Venivano conditi con un sugo di magro ricco di tonno, olive verdi, alici, aglio, peperoncino, capperi e prezzemolo. Altra delizia del palato, per non parlare delle varie pietanze di pesce dove spiccava il capitone.
La letterina e la poesia di Natale
Era l’appuntamento più atteso dai bambini che la mettevano sotto il piatto del padre, che fingeva sorpresa quando la scopriva. Da principio era un foglietto di quaderno dove i bambini disegnavano tre figure che doveva rappresentare la Sacra Famiglia; qualcuno si spingeva oltre aggiungendo due animali che doveva raffigurare l’asino e il bue. Con il tempo le letterine assunsero vesti raffinate (a volte anche troppo chic) traforate, merlate, con il Presepe a soffietto e le buste colorate. I bambini aggiungevano poche parole non sempre spontanee: “Caro Gesù Bambino tu sei tanto buono ed io meno. Ti prometto però che d’ora in avanti sarò più bravo e ubbidiente”. A quel punto il babbo tirava fuori, con gesti solenni il portamonete e allungava al piccolo la “mancia” che la madre prontamente “requisiva” spacciandosi per colei che li avrebbe conservati.
Se la letterina era un fatto personale tra genitori e figli, la poesia, imparata a memoria, serviva invece a raccogliere le mance dei parenti. La scena era sempre la stessa: il piccola saliva sopra una sedia per farsi vedere da tutti poi, dopo una serie di tentennamenti tra un “mi vergogno” e un “non me la ricordo”, finalmente partiva a razzo e la completava tutto d’un fiato, per poi rifugiarsi nelle braccia della mamma che per premio gli dava un fico riempito con mandorle, candito, un po’ di cacao e zucchero, avvolto in una carta colorata.
La poesia più gettonata era “La notte santa” di Guido Gozzano. Una poesia così lunga che il bambino ogni tanto aveva bisogno dell’imbeccata della madre per andare avanti nella sua cantilena.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!Alleluja! Alleluja!
L’Albero di Natale e Babbo Natale
L’albero di Natale si richiama al “culto degli alberi”, un mito che si perde nella notte dei tempo, nella grande epoca dell’animismo, quando l’uomo riteneva che ogni oggetto fosse animato. Allo spirito dell’albero veniva attribuito un potere fecondatore ed una capacità di influire beneficamente sulla vita. Quindi, quando l’inverno si faceva più freddo e la neve copriva le immense selve, l’albero diventava più sacro, perché proteggeva fino al ritorno del sole.
Rimase per secoli una consuetudine pagana e fu solo nel corso della riforma luterana che assunse il ruolo di simbolo in antitesi al presepe di tradizione cattolica romana.
Alla tradizione dell’Albero è legata anche quella di Babbo Natale, portatore di doni che vengono distribuiti a nome del Bambin Gesù, soppiantando la Befana. Questa tradizione arrivata a noi dal Nord Europa in effetti ha origine nel meridione italiano.
Da principio, infatti, Babbo Natale altri non era che San Nicola di Bari, nella cui ricorrenza il 6 dicembre venivano regalati giocattoli ai bambini. Il culto si estese soprattutto in Russia con il nome di San Nicholau per poi espandersi nei paesi nordici con il nome di Santa Claus.