Da Ascoli a Palermo e ritorno: viaggio e riflessioni d’inizio anno

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Una volta un mio amico mi disse: ‘Per me il semaforo è un invito, mai un obbligo”. Questo si diceva un gruppo di ragazzi e ragazze fra i 30 e i 40 anni, mentre attraversava la strada rigorosamente col rosso in una serata di inizio gennaio a Palermo. Il visitatore della città non può che rimanerne colpito: le strade sono dissestate, la segnaletica orizzontale spesso manca del tutto e quella verticale sembra non interessare troppo agli automobilisti (ma, appunto, anche ai pedoni). Tutti corrono in un traffico perennemente sfiancante, i motorini elettrici sfrecciano (senza casco, di qualunque età, anche in tre su un singolo veicolo) in ogni area e senza alcun riguardo per gli altri utenti della strada. Non mi era mai capitato di avere così paura di attraversare sulle strisce pedonali. Una città in cui guardarsi le spalle, solo per il traffico? A leggere le cronache non solo, ma ci torniamo.

Tutto inizia con una e-mail della compagnia aerea Volotea. Decidiamo di partire per Palermo dall’Aeroporto delle Marche il 1 gennaio 2024, perché la Sicilia è una regione splendida e perché era quanto di meno costoso c’era sul mercato in quel momento. Il volo è puntuale, anzi, addirittura in anticipo. Il passaggio in aeroporto piacevole, anche se si tratta di una struttura davvero molto piccola. E almeno era riscaldato, diversamente dall’estate, quando per andare a Parigi ho sofferto per una temperatura soffocante all’interno. Il tasto dolente sono stati i trasporti per arrivare da Ascoli Piceno all’aeroporto, visto anche il giorno festivo: una vera odissea fra bus e treni con una partenza forzatamente anticipata di parecchie ore.

Sarebbe bello avere più destinazioni da quell’aeroporto, ma tutto questo quanto può essere sostenibile? In questi giorni l’immagine dell’aeroporto di Ancona sembra compromessa, con un pasticcio di ritardi, voli soppressi e scambi d’accuse, fra Aeroitalia (che gestisce – probabilmente ancora per poco – molti voli, in particolare quelli interni) e la Regione, con la necessità preparare un piano B per la gestione della cosiddetta continuità territoriale della nostra regione. Gli aeroporti piccoli (che sono sotto il milione di passeggeri annui, e noi siamo alla metà di questa cifra) sopravvivono con difficoltà in Italia. Per dar loro slancio occorrerebbe la giusta promozione, un’ottima razionalizzazione dei costi, un’attenta individuazione delle destinazioni e un intenso sviluppo dei trasporti intermodali per collegarsi bene al territorio. Noi a che punto siamo? Ancona, Rimini, Pescara, Perugia sono scali piccoli che insistono su un bacino d’utenza potenzialmente sovrapponibile. Servirebbe fare squadra, pensare a scegliere insieme le destinazioni di ognuno e rendere facilmente raggiungibili (finalmente!) questi snodi tramite il trasporto pubblico. Ci arriveremo mai?

Arrivati a Palermo, a proposito di trasporti, un’ottima sorpresa: il Comune ha deciso di tagliare il costo dei biglietti degli autobus a 50 cent durante le feste. Ovviamente, non ci sono autobus della compagnia pubblica da e per l’aeroporto. Per altre destinazioni (siamo stati a Monreale e a Mondello) il servizio è stato molto utile (anche se gli orari presenti su Google erano, ovviamente, non corretti). “In Sicilia senza un’auto? Ma è da pazzi!”. E in effetti un po’ lo è, però per le città di media distanza (noi ci siamo spostati verso Bagheria o Cefalù) ci sono i treni regionali che funzionano (a volte con qualche inconveniente, come le porte che avevano problemi ad aprirsi, fino alla partenza, o un suono acuto rimasto a farci compagnia per tutto il viaggio). Per destinazioni più distanti ci sono gli autobus, che nel nostro caso ci hanno portato a Trapani. Gli utenti di questo trasporto pubblico locale? Sui bus urbani e sui treni regionali tanti turisti, perché in effetti – anche se siamo fuori stagione – di turisti italiani e stranieri ce n’erano tanti, mentre i palermitani non erano moltissimi. Le tratte erano sovraffollate e nessuno, nessuno, aveva scaricato la App (non molto pratica, bisogna ammetterlo) che permetteva di avere il biglietto scontato. Discorso diverso per i bus a lunga percorrenza, dove c’erano molti siciliani, insieme ai turisti. Segno della mancanza di alternative all’auto. Da notare l’assenza di servizi di car-pooling e car-sharing.

Il primo impatto, scesi dall’autobus, è di sporco. Dall’autostazione Google Maps ci indica un certo percorso verso l’alloggio e si nota da subito un gran degrado. “Marciapiedi inondati di immondizia, mentre 171 nuovissimi mezzi per la raccolta restano fermi nei depositi per mancanza di personale. È questa la situazione di Palermo durante le festività natalizie”. Ha scritto il Fatto quotidiano, mentre si agita lo spettro della privatizzazione del servizio rifiuti. Ed è tutto vero, fatte salve le poche vie principali. La raccolta differenziata è, peraltro, solo al 15 per cento. Ma non è solo una questione di pulizia (da aggiungere le deiezioni canine, ovunque), il degrado è dato da tutta una serie di fattori: le murature spesso cadenti e abusive (come non pensare al disastroso “sacco di Palermo”), il traffico caotico, i panni stesi ovunque nei modi più ‘creativi’, la mancanza di cura totale all’interno dello spazio pubblico. Come diceva un’attempata coppia milanese in autobus: “Si nota la ricchezza incredibile che hanno visto questi luoghi, che stride immensamente con un presente misero e sciatto”. L’effetto è un po’ quello dei Quartieri Spagnoli a Napoli (prima della turistizzazione). La povertà si tocca con mano, non semplicemente per i tanti senza tetto. La si respira nell’aria, oltre all’odore (invitante) di fritto. “Voi delle Marche sì che siete ricchi”, ci dice subito un gelataio.

Tante sono le scritte politiche a Palermo. Spesso antipolitiche. Contro le elezioni, ad esempio. Molto spazio a slogan e simboli anarchici e a bandiere palestinesi.

Appena prima di partire, un altro articolo del Fatto mi aveva impressionato: “Risse, accoltellamenti, sparatorie, droga e spaccate. I fasti dei Gattopardi e dei Florio sono ormai racconti da libri e serie tv, la fotografia dell’odierna Palermo è quella di una città violenta, sporca e piena di ‘munnizza’. Abbandonata a sé stessa. […]  Episodi non accaduti in periferia, nei rioni ghettizzati, ma in pieno centro, tra i vicoli della ‘Palermo bene’”. Con omicidi fuori dalle discoteche, consumo di droghe esploso fra i più giovani. “In giro si vedono poche volanti di pattuglia e pochi posti di controllo” e su questo non si può che confermarlo. “Passeggiando […] si può assistere a dei ragazzini che accendono indisturbati maxi scatole di giochi pirotecnici, per festeggiare un compleanno o un anniversario, e in pochi istanti sembra di assistere ai fuochi di Santa Rosalia”. Trovandoci noi a inizio anno, il suono dei piccoli petardi ci ha accompagnato per tutto il soggiorno e a tutte le ore (da parte di giovanissimi e non solo). “Una zona franca. Nessuno rispetta le strisce blu, i parcheggi sono assediati da ambulanti, e le auto sono sempre in doppia fila”. La doppia fila è persino ottimistica. “Vetrine di negozi, bar e ristoranti mandate in frantumi, e i locali saccheggiati”, alcune vetrine danneggiate, di tanto in tanto, si vedevano, effettivamente.

Eppure, non ci siamo sentiti in ‘pericolo’. Ci si abitua, l’effetto può a volte essere straniante, ma si fa. E si inizia a godere della tanta bellezza che quelle zone hanno ancora da offrire. Le chiese ricche, i palazzi sontuosi, le piante d’agrumi, l’intreccio di popoli, culture e stili che hanno lasciato traccia ovunque (persino nelle traduzioni in arabo dei nomi delle vie del centro). E poi il mare, cristallino, immerso in un contesto naturalistico d’impatto dato dai Monti di Palermo. Poi nel periodo natalizio ci sono le luminarie e il vociare sempre attivo delle persone nelle vie principali, i mercatini che dall’artigianato locale spaziano fino alla cucina. Sì, la cucina: da panini panelle e crocchè a cannoli, iris e cassate, dalle arancine alla caponata, dalle brioche col gelato alla granita. I forni e le pasticcerie sono davvero ovunque con i loro profumi e, lontano dalle vie turistiche, si trovano cose sorprendenti. I prezzi sono di solito buoni e capita di trovare grande simpatia in chi ci lavora. Altre volte il turista è un po’ l’estraneo, che quasi infastidisce rompendo una quotidianità ‘millenaria’. Il turista da una parte è un’opportunità, da cui estrarre valore nei modi più canonici, dall’altra un elemento di disturbo.

Un piccolo esempio è il pagamento per l’ingresso in praticamente ogni spazio d’arte: dai musei alle chiese fino ai palazzi. E con prezzi perlopiù elevati, troppo elevati. Cosa che comporta rinunce dolorose. Il trionfo di ori della Cappella palatina, emblema dell’arte arabo-normanna, può costare quanto il Louvre? Ma, soprattutto, conviene mettere a biglietto tutto il “patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9 Cost.)? E questo al di là del discorso chiese, luoghi dove per un credente viene esposta in permanenza l’ostia consacrata, cioè la presenza di Cristo: venderne l’accesso si configura come simonìa. Bisognerebbe piuttosto fare il contrario, rendendo gratuito l’accesso a tutto, favorendo l’intimità degli italiani con il proprio patrimonio culturale e non farne un ulteriore luogo di consumo. Un’intimità che si produce camminando, come facevamo noi, per chilometri ogni giorno. Entrando, provando a fondersi in maniera totale. Nel nostro Paese come in nessun altro, il patrimonio culturale è tutt’uno con lo spazio pubblico. “Anche solo per continuare a passeggiare al coperto, anche solo per cinque minuti. Va vissuto come un pezzo della città, proprio come un parco o una piazza. Spesso in Inghilterra, dove l’ingresso ai musei è gratuito, le persone approfittano della loro pausa pranzo per andare ad ammirare un Piero della Francesca o un Canaletto. Senza fare la fila. Cosa che da noi c’è sempre” ha ribadito tante volte il grande storico dell’arte Tomaso Montanari. “Dobbiamo poter respirare liberamente la nostra storia: non possiamo spezzare questa quotidiana intimità, diventando clienti anche nel cuore della nostra casa. In gioco c’è l’idea stessa di cittadinanza: rendere più difficile l’accesso dei cittadini a un monumento identitario significa in qualche modo annullarne la forza”. Peraltro, anche a livello economico, se con la cultura si vuole guadagnare, bisogna puntare su tutto quello che riguarda i servizi annessi generati dal movimento di persone verso le opere d’arte.

In una via centrale di Palermo. Le vie sono piene di scritte, scenette, graffiti, disegni. Spesso politici.

Tutto questo sembra ancora poco sviluppato in Sicilia. A Trapani, entrando nella gelateria indicata come la migliore granita al gelso ci sentiamo rispondere: “La facciamo solo d’estate”. E contemporaneamente, a quell’ora, tutto era chiuso, sia di patrimonio culturale sia di attività commerciali (fatta salva una piccola, bella, libreria). E dove sono gli itinerari, le proposte? Entrando nell’incredibile Castello della Zisa a Palermo, la museografia è assurdamente assente. Ma non mancano le eccezioni, con il quartiere palermitano della Kalsa. Arabo nell’origine, popolare nella composizione, che vede tante botteghe artigianali e localini non turistici molto interessanti. O, ancora, il nuovo molo trapezoidale, voluto dall’Autorità di sistema portuale del Mare. Una passeggiata interamente ciclo-pedonale che ospita una piazza, dieci edifici con varie destinazioni (commerciali e uffici), un auditorium, un anfiteatro panoramico da 200 sedute e (purtroppo) un parcheggio. E poi un laghetto artificiale (8mila metri quadrati di superficie) che costeggia le mura del Castello del Mare e al cui interno sarà possibile navigare con piccole barche a remi. E poi le aree verdi: 12mila metri quadrati arredati con alberi di ficus, pomelie e aiuole. Un importante intervento di rigenerazione urbana che ha interessato una superficie complessiva di oltre 40mila metri quadrati, su cui sono stati demoliti circa trenta mila metri cubi di strutture fatiscenti e abusive.

Una parte del Castello del Mare

Un modo per rivedere il legame con il mare che, storicamente, è un problema che gli italiani (siciliani compresi) hanno sempre avuto. Un Paese circondato dall’acqua ma che ignora il mare, come ha scritto di recente Francesco Maselli nel suo L’Italia ha paura del mare (NR edizioni, 2023): una nazione arroccata su sé stessa, che vede da sempre dalla costa venire il pericolo (la malaria, gli invasori ecc.). E i riflessi li vediamo persino nella cucina dei luoghi costieri, che è sempre di terra (almeno quella vera e non turistica).

Mentre tornavamo in aereo, in attesa di scendere, una madre quarantenne inizia a parlare con il suo vicino di posto. La conversazione è lunga, al punto che il figlio (generando non poco imbarazzo) dice: “Mamma ti sei fatta un nuovo amico?”. Sono due borghesi palermitani che vivono e lavorano a Roma. Lui dice di essere stato molti anni al nord prima: “È proprio un altro mondo rispetto a noi. C’è lavoro, le cose bene o male funzionano, le persone sono più civili. Roma è più simile a noi, ma è comunque meglio” “Dici? Io ho casa a Trastevere e ho un bel lavoro, ma dire che si viva bene in questa città.. Se le cose importanti per il tuo quotidiano sono a una distanza massima di venti minuti forse. Ma chi se lo può permettere? Siamo in pochi. E poi la burocrazia, le inefficienze, la mancanza di cura. Gli amici degli amici che sono quelli che ce la fanno..” “Per carità, ma almeno ci si sposta un po’ meglio che a Palermo”. E così torniamo all’eterna questione del trasporto.

Ci lasciamo con una citazione di Pippo Fava, giornalista eroico ucciso dalla mafia: “Palermo è sontuosa e oscena. Palermo è come Nuova Delhi, con le reggie favolose dei maharajà e i corpi agonizzanti dei paria ai margini dei viali. Palermo è come Il Cairo, con la selva dei grattacieli e giardini in mezzo ai quali si insinuano putridi geroglifici di baracche. Palermo è come tutte le capitali di quei popoli che non riuscirono mai ad essere nazioni. A Palermo la corruzione è fisica, tangibile ed estetica: una bellissima donna, sfatta, gonfia di umori guasti, le unghie nere, e però egualmente, arcanamente bella. Palermo è la storia della Sicilia, tutte le viltà e tutti gli eroismi, le disperazioni, i furori, le sconfitte, le ribellioni. Palermo è la Spagna, i Mori, gli Svevi, gli Arabi, i Normanni, gli Angioini, non c’è altro luogo che sia Sicilia come Palermo, eppure Palermo non è amata dai siciliani. Gli occidentali dell’isola si assoggettano perché non possono altrimenti, si riconoscono sudditi ma non vorrebbero mai esserne cittadini. Gli orientali invece dicono addirittura di essere di un’altra razza: quelli sicani e noi invece siculi”.

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