foto di Andrea Vagnoni
Perché continuiamo a ragionare in blocchi militari contrapposti come se fossimo ancora nel secolo scorso? Perché alcuni conflitti ci indignano e altri scompaiono dalle notizie? Che cosa ci raccontano davvero Ucraina e Gaza sul mondo in cui viviamo, sui suoi padroni, sui suoi fantasmi?
Sono queste alcune delle domande che hanno animato “Insalata geopolitica LIVE”, tenutosi per la prima volta al PACS, il nuovissimo Parco dell’Arte, della Cultura e delle attività Sociali di Ascoli Piceno curato da Frida Art Academy. Tanti nei giorni, nelle ore e nei minuti precedenti mi scrivevano chiedendo: “Ma dov’è?”. Ecco, intanto ripropongo QUI l’articolo in cui ve l’abbiamo raccontato.

A rispondere, sul palco accanto a me, c’era per la prima volta nelle Marche Benedetta Sabene, giornalista (di scuola Michele Santoro, una garanzia) e scrittrice, una delle voci più seguite e appassionate della divulgazione politica italiana. Romana, classe 1995, laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha cominciato a occuparsi di Est Europa quando ancora i riflettori non erano puntati sul Donbass (“volevo scriverci anche la tesi, mi fu sconsigliato. A chi poteva interessare?”), e con l’invasione russa dell’Ucraina ha scelto di portare il proprio lavoro dentro i social. Lo fa costantemente attraverso il profilo Instagram @nonmipiaci e di recente anche con la newsletter gratuita “Insalata geopolitica”, dove decostruisce la narrazione mainstream sui conflitti globali e sulle relazioni internazionali. Ha scritto un documentatissimo saggio per Meltemi “Ucraina. Controstoria del conflitto. Oltre i miti occidentali”.


“Quando ho iniziato a fare divulgazione non mi aspettavo il successo. E nemmeno l’ondata d’odio. Sull’Ucraina c’era un pensiero unico: chiunque uscisse da quello schema era visto come complice dell’invasore. Ho ricevuto insulti violenti, in quanto donna innanzitutto. A febbraio 2022 ho iniziato a dire che la storia non era così. Una fetta di pubblico era interessata, ma la violenza verbale era talmente forte da farmi pensare di smettere. Lo facevo senza guadagnarci nulla. Ma penso sia importante dare alle persone strumenti in più, invece che sostenere narrazioni omissive per sostenere determinate tesi mainstream”.
L’occasione, organizzata da noi di ithacaeditoriale.it con la collaborazione della libreria Prosperi e il sostegno della FLC Cgil, è stata un viaggio lungo, appassionato e con grande partecipazione di un pubblico variegato e curioso all’interno dei grandi punti ciechi della geopolitica contemporanea.


Siamo partiti con l’Ucraina. Di cui si è parlato nei giorni scorsi per le proteste in varie città del Paese dopo che il parlamento aveva approvato e il presidente aveva firmato una controversa legge che di fatto privava l’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) e della Procura specializzata anticorruzione (Sapo) della propria autonomia. Niente di nuovo per la giornalista, che nel suo libro grazie a fonti autorevoli e indipendenti, ha messo in luce, in particolare: il condizionamento euro-atlantico sulla politica di Kiev, soprattutto durante e dopo la Rivoluzione arancione; il preoccupante dilagare del neonazismo nella società e nelle istituzioni del Paese; le violazioni della libertà di informazione e dei diritti umani, che minano alle fondamenta la democrazia ucraina.
“È un Paese prostrato, anche economicamente. Tutto ciò per cui gli ucraini hanno iniziato a combattere nel 2014, per cui c’è stata una guerra civile e poi lo scontro con la Russia – cioè un’Ucraina realmente democratica – viene oggi negato dal governo. Si mandano al fronte migliaia di persone. Ma allora, per che cosa stiamo lottando? Che Paese ha in mente chi sta al governo? È per questo che oggi molti protestano”.


Gaza irrompe nel discorso quasi naturalmente, come lo squilibrio narrativo che ha messo a tacere il fronte est-europeo: “Da quando c’è Gaza, non si parla più di Ucraina. Il doppio standard dell’Occidente è enorme. In Ucraina parliamo di aggressore e aggredito, in Palestina no. L’opinione pubblica è con Gaza – e benissimo – ma manca un’analisi più ampia. Perché da una parte ci schieriamo, mandiamo armi, finanziamenti, e dall’altra no? È per come sono strutturate oggi le relazioni internazionali: una nuova guerra fredda, dove è finita l’illusione di un ordine fondato sul diritto e si è imposto un mondo unipolare governato dagli Stati Uniti”.
Israele e la sua centralità nello scacchiere diventano allora l’anello mancante per capire Gaza, l’Iran, e perfino i progetti economici globali: “Israele dev’essere l’unica forza in Medio Oriente. L’Iran va neutralizzato per questo. La Russia, potenza euroasiatica, doveva essere tagliata fuori dal legame con la Germania, che si reggeva sul gas a buon mercato. Già Trump, nel suo primo mandato, mise sanzioni contro i gasdotti. Gli Stati Uniti non volevano una Germania e quindi un’Europa indipendente. Il piano era indebolirci, isolare la Russia e ridurla a potenza solo asiatica”.


La guerra in Ucraina ha oggi due soli sbocchi, entrambi problematici: “O si congela il conflitto con un cessate il fuoco – ma con tutte le armi in circolazione sarà una guerra perpetua a bassa intensità – oppure si firma un accordo di pace internazionale che rispetti le richieste russe. Richieste che sono sempre le stesse dagli anni ‘90: fine dell’avanzata NATO, niente testate a lungo raggio in Europa dell’Est, la Crimea alla Russia e ora anche i territori occupati, che servono come cordone di sicurezza non NATO. Ma oggi queste condizioni paiono al momento difficilmente realizzabili”.
Nel frattempo, è il popolo a pagare. “I ragazzi al fronte hanno anche 18 anni. C’è una forte repressione della dissidenza pacifista. I reclutatori rapiscono. Molti uomini si travestono da donne per fuggire, altri si buttano nei fiumi per passare in Romania. Chi può scappa. I figli dei ricchi non ci vanno. A Leopoli no, ma a Odessa ti prendono per strada. Non è un massacro indiscriminato di civili, ma gli eserciti da chi sono composti? Da civili reclutati, di solito forzatamente, da poco”.

E l’Europa? In questa narrazione, è più che mai ancella delle strategie atlantiche. “Le élite europee, come Von der Leyen, fanno politiche contrarie ai nostri interessi. Se hai una grande potenza vicino, puoi rigettarne la politica e i valori, ma mantieni buoni rapporti, mantieni legami economici. E vale lo stesso per la Cina, che tra poco diventerà il nemico numero uno. Ma l’Unione Europea, per ragioni storiche legate alla Seconda guerra mondiale, non è un attore geopolitico indipendente. Serve una riforma radicale. Intanto, si approva che il 5% del PIL vada speso in armi. Una follia”.
L’analisi si fa ancora più aspra quando tocca la costruzione della paura. “Da una parte ci dicono che l’esercito russo è ridicolo, non ha nemmeno i calzini o prende i chip dalle lavatrici. E poi? Dovrebbero arrivare a Lisbona? Non hanno alcun interesse. Nemmeno a continuare questa guerra. Dal ’91 cercano un accordo sulla sicurezza paneuropea. A gennaio 2022, un mese prima dell’invasione, c’era stato un appello agli USA per trattare sulla questione ucraina. Respinto. La minaccia russa serve a giustificare il riarmo”.
Il discorso su Israele tocca corde profonde. “Oggi è governato dall’ala più estremista del sionismo, messianico. Persone ispirate a un’ideologia messianica, che promuove il progetto del cosiddetto Grande Israele. Nel 2018 hanno riservato lo Stato solo agli ebrei: o ti assimili, o c’è la pulizia etnica. Molti ministri sono coloni. Per loro i palestinesi non esistono come popolo, sono arabi e devono andarsene in uno dei tanti Paesi arabi intorno. Da qui il conflitto con l’Iran: vogliono eliminarlo come minaccia esistenziale allo Stato d’Israele, anche con un colpo di Stato, visto che è fallito il regime change tramite attacco militare (e hanno dovuto pregare per l’intervento americano). Il famoso Iron Dome, infatti, non ha funzionato come doveva. Ma Israele è nato per proteggere gli ebrei, non può permetterselo”.
E poi c’è il nodo americano, sempre presente sullo sfondo: “Israele ha l’arma nucleare. L’Iran chiede da sempre quella civile. L’accordo con Obama lo obbligava a controlli rigidissimi dell’Aiea, l’agenzia atomica. Israele invece, fa come vuole sul nucleare. È questo il doppio standard. Gli Stati Uniti volevano usare Haifa, porto israeliano, come snodo della via del Cotone, in alternativa alle Via della Seta cinesi. Ma l’aggressività di Israele ha reso tutto più difficile. Gli Accordi di Abramo servivano a normalizzare le relazioni con i Paesi arabi. Poi si sono lasciati convincere: prima eliminiamo l’Iran. E con lui l’Asse della Resistenza (con Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano, la Siria di Assad, Hamas)”.
Il discorso tocca anche le dinamiche interne alla politica statunitense: “La lobby ebraica finanzia le campagne elettorali di molti candidati americani e, quindi, condiziona pesantemente la politica. Ne parlava già Mearsheimer nel 2002. È un potere enorme. La politica estera USA cambia poco fra Democratici e Repubblicani. Ma i Democratici sono più ossessionati dalla Russia, i Repubblicani dalla Cina.”
Alla fine, la domanda che resta è: cosa fare? “Basterebbe trattare Israele come abbiamo fatto con la Russia: sanzioni, boicottaggi, embargo sulle armi. Far entrare gli aiuti umanitari. La soluzione dei due Stati non regge, è uno slogan: Gaza e Cisgiordania non non hanno continuità territoriale, poi ci sono le colonie israeliane in Cisgiordania. Servirebbe uno Stato binazionale con pari diritti per tutti, con supervisione internazionale. Oppure si parla una soluzione svizzera, con cantoni a seconda della composizione etnica”.


E infine, un’apertura al possibile, fuori dai blocchi: “I BRICS stanno cercando di creare un polo alternativo. Almeno inizialmente sul piano economico, superando il dollaro con lo yuan per le transazion internazioni. È molto interessante”.
Siamo al Pacs, un nome che gioca con il termine “pace” in latino. Essere pacifisti è da ingenui? “Il disarmo totale unilaterale in un sistema come quello attuale non è fattibile, ma combattere la terribile logica dei blocchi contrapposti è fondamentale. Oggi non c’è un sistema di sicurezza internazionale, bisogna costruirlo. Lottare per farlo. Bandire la logica militare”.
E mentre all’ora di cena, dopo il denso pomeriggio, tanti si trattenevano ancora a parlare, Benedetta Sabene visitava gli splendidi spazi della Frida, lasciandosi sorprendere dall’energia di un luogo nuovo. Alcuni si sono fermati per un saluto: “Grazie davvero a voi per quello che fate. Riuscite finalmente a portare in questa città la complessità, in una forma accessibile a tutti. Con coraggio”.


