Ascoli, “al Ventidio se qualcuno si permetteva di parla’, era come in chiesa, silenzio”

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Di seguito la terza puntata (qui la prima e qui la seconda) della nostra serie sul cinema ascolano, che abbiamo presentato qui. Liberamente tratta dalla ricerca di Nicolò Piccioni, che ringraziamo.

La storia del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno come cinema inizia nel 1917 quando, occupando il palco centrale del terzo ordine, viene costruita la cabina di proiezione in modo da poter utilizzare lo stabile anche come sala cinematografica, in un periodo in cui nella città fiorivano cinema in ogni dove. Il 20 dicembre 1923 il locale viene dato in concessione alla Società Filarmonica Ascolana, che si impegna a dare con periodicità programmi di lirica e prosa alternati a spettacoli cinematografici; tuttavia, bisogna aspettare quasi un anno prima che il teatro ospiti effettivamente una proiezione, cioè fino al 18 dicembre 1924 quando, come d’impegno preso dalla Società, viene proiettato il film Notre Dame de Paris (1911; A. Capellani). La proiezione fu un successo e intanto si annunciava al pubblico che la prossima sarebbe stata quella di “eccezionale portata artistica” di Nerone.

I motivi del ritardo del Ventidio ad adeguarsi agli standard come cinema (rispetto al suo “fratello minore” il Filarmonici) sono da ricercare nella sua importanza culturale in città: la struttura, vero e proprio fiore all’occhiello di Ascoli, spesso considerato uno dei più bei teatri delle Marche, agli occhi dei benpensanti non poteva rischiare di scadere culturalmente. Fu soltanto 12 anni dopo il Filarmonici che l’amministrazione della struttura si decise a compiere questo esperimento destinato a raccogliere molto successo.

Teatro Ventidio Basso, visuale dal palco

Con l’andare del tempo il locale, che già da tempo veniva usato liberamente per manifestazioni culturali, patriottiche e politiche, si prestò frequentemente a proiezioni, fino ad assumere il carattere di attività regolare del locale, sempre intercalata da spettacoli lirici, di prosa e di varietà.

Il tempo diede comunque ragione ai critici dell’operazione dato che, dopo gravi perdite nel suo grado di efficienza e decoro a causa dell’eccessivo utilizzo, e anche a causa dello sciagurato terremoto del 1972, il teatro dovette essere chiuso perché dichiarato inagibile, dopo che una verifica tecnica aveva riscontrato gravi lesioni alle travi del tetto.

Ernesta Spinucci, cittadina ascolana che per più di dieci anni, negli anni ’60 e ’70, lavorò come cassiera nel teatro, vivendolo a pieno in tutte le sue attività, cinematografiche e non:

Cercavo qualcosa […] e mi capitò questo lavoro. Anche se a me non piaceva, non piaceva perché come primo lavoro avere l’impatto con il pubblico non era semplice, poi a quei tempi una ragazza, avevo appena vent’anni, e non mi fu facile … Poi dopo mi sono trovata bene perché era un bell’ambiente. Diciamo che lì al Ventidio oltre all’attività di cinema facevamo anche prosa e lirica. Perché il Ventidio Basso fu dato in gestione dal Comune all’Ascoli Calcio, una società sportiva, e il Comune essendo un ente morale non poteva dare soldi a quei tempi, adesso sì. Quindi diede in gestione il Ventidio Basso all’Ascoli Calcio, e l’Ascoli Calcio incassava l’incasso solo del cinema, perché il comune si riservava sia gli spettacoli di prosa, gestiti direttamente dal comune e sempre con noi, con il personale dell’Ascoli Calcio, e anche la lirica. La lirica non durava una serata, durava sei, sette serate, quindi c’era il periodo della lirica che durava un mese, ed era una festa per la città eh … sì perché lì era un centro culturale importante, dove ci si incontrava, ci si divertiva pure.

Ingresso

Interessanti alcuni aspetti della società dell’epoca:

Soprattutto a chi stava ai turni alla cassa non davi confidenza, non davi confidenza perché questa confidenza poteva essere interpretata male, allora si stava sempre un po’ distaccati. A quei tempi discrezione era professionalità, perché poi qualcuno ne approfittava, perché poi se davi confidenza, dicevi qualche parola in più, ti ritrovavi con quello dopo che usciva dal cinema e telefonava, e questo non era bello capito? […] Io quando sono andata là il primo discorso che mi fece il direttore, perché ero una ragazza, mi disse di evitare. A quei tempi c’era la minigonna, era l’avvento delle minigonne, e io oltre alla minigonna portavo il pantaloncino a minigonna. Il direttore mi diceva, come a volte mi abbassavo “Signorina mi raccomando!” e io: “Non si preoccupi, ho i pantaloncini!”

Per quanto riguarda l’allestimento:

In sala c’erano delle poltroncine comodissime, non erano in legno, imbottite e color rosso, 330 poltroncine […] Non c’era assolutamente nessuno che parlava, oppure se qualcuno si permetteva di parla’, era come in chiesa, silenzio. Nell’intervallo ci si scambiava qualche parola, però non si dava fastidio. Lì alla cassa c’erano le caramelle, negli altri cinema c’erano bibite, cose, lì al Ventidio no, proprio per evitare che uno potesse sporcare, potesse dare fastidio. Non si vendevano bibite, assolutamente no.

Anna Maria Dominici, conferma:

Andare al Filarmonici era come il fratello minore, povero del Ventidio. Il Ventidio Basso era bello, era grande, le poltrone erano comode, invece qua tutto di legno, era piccoletto, capito? Meno accogliente e più piccolo, più stretto, quindi si riempiva subito, soprattutto se c’erano dei film di cassetta…

Teatro Ventidio Basso, visuale dal palchetto della proiezione

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