25 aprile – Cosa dice la storia

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Cosa sia la ricorrenza della Liberazione e cosa rappresenti per la città lo spiegò il 25 aprile del 2002 il presidente della Repubblica Azeglio Ciampi dopo aver decorato il gonfalone della città con la medaglia d’oro al valor militare. “Ciò che avvenne in quei mesi del 1943 e del 1944 in queste terre – affermò il presidente – è la sintesi di quello che oggi, dopo decenni di sedimentazione e di dibattito, sappiamo essere stata la Resistenza: una reazione delle coscienze alla sfida contro i valori e la dignità dell’uomo. Fu una reazione che si affermò in modi diversi a seconda delle circostanze, ma fu una reazione largamente diffusa, spontanea. Dopo l’8 settembre, ci fu la Resistenza attiva di chi prese le armi in pugno, partigiani, soldati, militari che seguirono l’impulso della propria coscienza; ci fu la Resistenza silenziosa della gente, dei cittadini che aiutarono, soccorsero, feriti, fuggiaschi, combattenti, esponendosi a rischi elevati. Ci fu la Resistenza dolorosa dei prigionieri nei campi di concentramento, di chi si rifiutò di collaborare. Questi diversi modi di vivere la Resistenza sono presenti, tutti, in questa città. Colpisce il coraggio dei giovani avieri, appena arruolati, che non si rassegnarono dopo l’8 settembre e respinsero per alcuni giorni, con gravi perdite, le truppe germaniche; dei capitani Bianco e Canger dell’Arma dei Carabinieri che diedero vita a uno dei primi raggruppamenti partigiani, già nell’autunno del 1943. Poi, tanti civili, studenti, come Adriano Cinelli, il primo caduto della Guerra di Liberazione, professionisti e lavoratori animarono le brigate partigiane che combatterono fino all’arrivo degli alleati”.

Parole quelle del presidente che trovano conforto e giustificazione nei fatti che portarono Ascoli, il 12 settembre del 1943, ad essere la prima città ad opporsi all’invasore nazista. In città erano presenti circa 1500 soldati italiani, ma ben pochi attrezzati per combattere: c’erano infatti compagnie deposito o distrettuali sia alla caserma Vellei che al distretto presso la Candido Augusto Vecchi e al presidio militare Umberto I, mentre alla Casermette c’erano un migliaio di avieri giovanissimi, richiamati alle armi appena due mesi prima cui si deve aggiungere la compagnia sanità dell’ospedale militare. Si trattava insomma di truppe costituite da anziani o sedentari e, nel caso degli avieri, non certo pronti a combattere. Tuttavia il comando di presidio allertò un piano a difesa della città. I tedeschi, solo 140, ma agguerriti guastatori autotrasportati, dopo aver conquistato il distretto, cercarono di prendere il presidio. Il tenente Ludwig Hoffmann alla testa di un plotone prese d’assalto la caserma in corso Mazzini. Trovarono aperto un ingresso, quello della mensa, e fecero irruzione dopo aver intimato la resa e ucciso una ragazza, Concetta Cafini, che stava passando di lì per caso. L’ufficiale tedesco entrò con cinque dei suoi, uccise con una raffica alle spalle il sottotenente Luciano Albanesi, ma fu mortalmente colpito subito dopo da una fucilata sparata dai soldati che difendevano il palazzo e che avevano già distrutto una camionetta tedesca. Nel frattempo gli spari avevano richiamato grande folla e numerosi civili (primo nucleo di quello che sarà la resistenza) avevano stretto d’assedio i tedeschi che si trovavano nel presidio. Gli invasori, di fronte a questa nuova situazione, scelsero di fuggire e durante questi scontri perse la vita il giovanissimo Adriano Cinelli che stava tentando di lanciare contro di loro una bomba a mano. 

Mentre dalle case pioveva di tutto sui tedeschi, questi, divisi in due colonne, si diressero verso le Casermette, ma si trovarono di fronte al fuoco degli avieri che sparavano riparati dalla massicciata ferroviaria. Presi in mezzo e mentre i civili partecipavano ai combattimenti nella zona di S. Filippo, i tedeschi cercarono la fuga, lasciando indietro numerosi commilitoni che si arresero. In tutto lo scontro costo cinque vittime fra gli avieri e sette fra i nazisti. A sera un ufficiale superiore tedesco, protetto dalla bandiera bianca, chiese di parlamentare e chiese, pena gravi rappresaglie, che l’intera città deponesse le armi. I pochi ufficiali e funzionari rimasti furono obbligati ad accettare le loro condizioni.

Ma non tutti lo fecero e si ritrovarono soldati e civili sul colle San Marco riuniti nella “Prima Brigata Patrioti Piceni” comandata dal giovane tenente Spartaco Perini. Qui il 3 ottobre ci fu la pagina più gloriosa e sanguinosa con uno scontro durissimo fra i veterani paracadutisti tedeschi e i giovani ascolani che pagarono con tanto sangue il loro amore per la libertà. Le vittime furono numerose sia in combattimento che dopo quando i tedeschi passarono per le armi i prigionieri e ancora oggi una lapide sul colle San Marco ricorda i loro nomi. I sopravvissuti si unirono ai partigiani teramani che avevano già affrontato i tedeschi al Bosco Martese e continuarono la loro lotta fino alla liberazione.

Come è noto, la data del 25 aprile è stata scelta per ricordare l’insurrezione nel 1945 di Torino e Milano che costrinse tedeschi e fascisti a fuggire. Ascoli e la provincia avevano già assistito alla fuga degli invasori. Nella tarda mattinata di domenica 18 giugno 1944 i motociclisti che precedevano i reparti del 184° reggimento paracadutisti della Nembo e il 61° battaglione allievi ufficiali bersaglieri del Corpo italiano di liberazione entrarono ad Ascoli accompagnati dai gruppi di partigiani che avevano duramente combattuto l’esercito tedesco nei mesi precedenti sulle montagne fra Ascoli e Teramo. I soldati italiani erano stati aggregati da qualche giorno al secondo corpo dell’Ottava armata comandato dal generale W. Anders e, mentre i polacchi continuavano a risalire la statale Adriatica liberando le città della costa, ad essi era stato affidato il compito di scacciare i tedeschi e i loro alleati fascisti dai centri dell’interno. Il giorno prima erano stati a Teramo e ora, con la guida preziosa dei partigiani, si stavano dirigendo verso il nord delle Marche.

Gli ultimi soldati tedeschi si erano ritirati da Ascoli sabato 17 giugno 1944. Alle loro spalle molte rovine. Prima di abbandonare la città avevano fatto saltare ponti, fabbriche, caserme. 

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