“I miti sono importanti. I giovani devono avere delle t-shirt in cui credere”. Geniale come sempre Ellekappa, con le sue vignette. Uno dei miei miti adolescenziali (ma senza averne la t-shirt) è stato Luigi De Magistris, ex pubblico ministero a Catanzaro e Napoli, e poi parlamentare europeo nel 2009, due volte sindaco di Napoli dal 2011 al 2021. Sedici anni fa su Facebook, che era ancora agli albori nel nostro Paese, fondai un gruppo (erano organizzati in modo molto diverso da oggi) che ottenne migliaia di adesioni in poco tempo: era dedicato ai magistrati indipendenti, a lui in particolare.
Dopo tanti anni, eccolo qui davanti a me a presentare il suo libro “Poteri occulti: Dalla P2 alla criminalità istituzionale: il golpe perenne contro Costituzione e democrazia” grazie all’impegno dell’instancabile Mimmo Minuto a San Benedetto del Tronto. Tante cose sono cambiate rispetto a 16 anni fa, ma non la voglia di rimanere ad ascoltarlo fino all’ora di cena in quello che è di fatto un intervento fiume, appassionato e a tratti persino divertente.
Il suo progetto di vita attuale lo definisce “pedagogia della resistenza costituzionale”. Lasciato ogni incarico, anche quello di consigliere regionale in Calabria (scelta peraltro non condivisa dalla moglie), si sta dedicando alla scrittura, al teatro civile, ai podcast, alla radio. “Ci sono cinque persone che possono parlare delle cose di questo libro in Italia. E sono cose che noi dobbiamo sapere. E, quindi, credo che quello che sto facendo a me interessa, ma vedo che interessa a tanti e comunque fa paura. Certe volte non mi fanno andare in dei posti. Io sono un cattivo maestro”.

I POTERI OCCULTI, COSA SONO?
Sono quelle persone che ricoprono ruoli di primo piano nella politica, nelle istituzioni, nella pubblica amministrazione, nel mondo delle professioni, dei colletti bianchi, del mondo dell’informazione. Sono uniti da legami sodali, ma non per perseguire l’interesse pubblico, il bene comune, ma interessi privati, affaristici, lobbistici e non di rado criminali. E che utilizzano i luoghi in cui lavorano, pubblici o privati, per ratificare le decisioni prese fuori dai luoghi istituzionali.
I poteri occulti sono uno Stato nello Stato e hanno profondamente condizionato la vita democratica del nostro Paese. E dopo 34 anni in prima linea dentro le istituzioni, lo scorso agosto mi sono fermato a mettere insieme le cose. Sono arrivato a tre conclusioni.
La prima: io ritengo convintamente che noi non siamo una democrazia sostanziale. L’Italia è una democrazia solo formale e apparente. Non siamo un’autocrazia, non siamo una dittatura, ma se consideriamo che abbiamo la Costituzione più bella del mondo, promulgata nel ’48, ma la Costituzione meno attuata del mondo, c’è un problema democratico.
Se noi osserviamo con attenzione e leggiamo la Costituzione, dentro vi sono scolpiti dei diritti fondamentali che dovrebbero renderci tutti più felici (diritto al lavoro, giustizia sociale, giustizia economica, giustizia ambientale, ripudio della guerra, promozione della cultura e della ricerca, tutela del paesaggio, dell’ambiente, diritto alla salute, diritto alla scuola, alla formazione pubblica, beni comuni che prevalgono sulla proprietà privata). Credo che in qualsiasi luogo d’Italia, in alcuni magari più che altrove, questi diritti non sono assolutamente garantiti per tutti.
Allora, la domanda da porre è: perché? Visti i decenni ormai passati dalla sua approvazione. La Costituzione dà diritti. Diritto significa che ho diritto ad avere diritti. E i diritti sono diritti se sono per tutti. E il potere non vuole che i diritti siano per tutti. Il potere vuole che il diritto sia un privilegio che ti concede il potere, in modo che tu appartenga al potere e non sia cittadino fino in fondo, ma sia suddito.
Il secondo motivo per cui ritengo che la nostra sia molto fragile è che è stata attraversata da più colpi di Stato. Che magari non abbiamo visto perché non abbiamo visto i carri armati come in altri Paesi. Ma per colpi di Stato intendo fatti che hanno mutato il corso democratico del nostro Paese. Ne elenco alcuni: l’omicidio del presidente dell’ENI Enrico Mattei, Piazza Fontana, Piano Solo, Golpe Borghese, Gladio, Rosa dei Venti, Stay Behind, Piazza della Loggia, strage dell’Italicus, strage di Gioia Tauro, caso Moro, Ustica, strage di Bologna, Rapido 904, Falcone e Borsellino, le bombe di Milano, Roma, Firenze; tralascio le centinaia di omicidi eccellenti.
Un Paese che non ha la capacità, la volontà, il coraggio di ricostruire verità e giustizia su fatti che hanno profondamente condizionato la vita democratica del nostro Paese, evidentemente non ha la capacità di capire e di voler capire.
Che fondamenta democratica abbiamo, vedendo come sono state profondamente condizionate dal sangue? Io mi terrei velocemente su tre fatti, così diamo l’idea del filo conduttore, che poi è anche un filo che ha un colore, il nero.
PIAZZA FONTANA (1969) – L’inizio della strategia della tensione, dell’attacco allo Stato. Siamo fine anni ’60, siamo in pieno ’68, lotte operaie, lotte studentesche, lotte femministe nel mondo. Si può prefigurare un cambiamento politico. Nel cuore di Milano, a piazza Fontana, all’interno di una banca, viene messo un esplosivo che fa una carneficina. Chi viene accusato della strage? Vengono accusati ingiustamente due anarchici, per dimostrare che i rivoluzionari non vogliono solo la rivoluzione dei diritti, ma vogliono la rivoluzione con le bombe. Chi accusa due anarchici innocenti? Vengono accusati da un ufficio riservato del Ministero dell’Interno, l’informativa che parte da Roma per Milano, del generale Federico Umberto D’Amato. Un generale, uomo della CIA, dei servizi segreti americani. Poi diventerà capo del SID, il servizio segreto che sta dietro a tutta la strategia della tensione degli anni ’70, per poi confluire nella loggia P2.
Chi ha causato e consumato la strage di piazza Fontana? Dagli atti processuali, perché in questo libro non ci sono complottismi, non ci sono suggestioni, ma elenco solamente fatti: la strage di piazza Fontana viene fatta dai neofascisti con l’appoggio dei servizi.
Da dove proviene l’esplosivo che è stato utilizzato a piazza Fontana? Proviene da Verona, perché Verona è il luogo in cui sussiste la cellula militare più pericolosa della destra neofascista. L’esplosivo però proviene dalla Germania, in particolare da un deposito di armi che era sotto il diretto controllo dei servizi segreti americani e della NATO.
Caso Moro (1978, e su Ithaca ne abbiamo parlato recentemente QUI) – Moro viene sequestrato nel marzo del 1978, il giorno in cui in Parlamento si deve votare la fiducia a un governo monocolore democristiano, col sostegno esterno del Partito Comunista di Enrico Berlinguer, che era il principale partito comunista dell’Occidente. Non mi soffermo, ci vorrebbe troppo tempo, ma voglio sottolineare un fatto che è certo: Moro non è stato cercato. Ci sono prove ormai ritenute completamente definitive, sia agli atti di processi che di commissioni parlamentari, che si sapeva dove si trovava Moro.
Chi sapeva dove si trovava Moro? E sono stati avvisati quelli che avrebbero dovuto liberarlo? NE erano a conoscenza la Banda della Magliana, la criminalità organizzata di Roma, la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo (perché Cutolo controllava le carceri), ma nessuno andò a prelevare Moro.
La motivazione ufficiale? Perché non si cercava un canale con le Brigate Rosse, e perché con le Brigate Rosse non si tratta, lo Stato non tratta (è accaduto esattamente il contrario tre anni dopo, sul caso Cirillo).
Ma quel che è ancora più inquietante è che agli atti del procedimento che in questi mesi è aperto alla Procura di Roma, su volere della famiglia del giornalista Mino Pecorelli (ucciso nel ’79), si sta cercando di riaprire le indagini su un omicidio che non si è mai saputo chi l’abbia commesso. Giulio Andreotti è stato processato e poi assolto in Cassazione. Ma Mino Pecorelli, un giornalista vicino ai servizi, alla magistratura, massone, spregiudicato ma coraggioso, pubblica un articolo pieno di particolari sulla sua rivista OP. Lui dice: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa informa il ministro dell’Interno Cossiga (vicino alla P2, poi diventato Presidente della Repubblica) su dove si trovava Aldo Moro. Ma, dice Pecorelli, il ministro Cossiga doveva rispondere ai “santi in paradiso”, che sarebbe la P2, e i “santi in paradiso” non volevano ovviamente che Moro venisse trovato.
Pensate che la cabina di regia costituita dal ministro dell’Interno Cossiga per trovare Moro (scusate, per non trovare Moro), si scoprirà nel 1981, erano tutti esponenti dei vertici delle forze di sicurezza, delle forze armate e dei servizi iscritti alla Loggia P2.
Ma c’è un altro fatto. Moro era uno statista, uno dei più grandi statisti del ‘900, era saldamente inserito nel Patto Atlantico, era amico e fedele degli americani. Che cosa fa? Due settimane prima che si formi il governo e quindi che venga sequestrato, va dal segretario di Stato americano Henry Kissinger e gli dice: “Noi rimaniamo saldamente nella NATO, nel Patto Atlantico e siamo amici degli americani, ma in Italia vogliamo aprire una stagione nuova. Siamo nella Guerra Fredda. Vogliamo aprire una stagione di dialogo col Partito Comunista, di dialogo con l’Unione Sovietica, di dialogo con il mondo arabo, di dialogo con la Palestina“. Il Segretario di Stato americano, come se parlasse con un parcheggiatore abusivo in una piazza, dice al presidente Moro: “Signor presidente, se lei continua a dialogare col principale partito comunista dell’Occidente, lei la pagherà cara“. E ulteriori conseguenze dell’assassinio Moro saranno l’assassinio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella (fratello dell’attuale presidente della Repubblica) e di Pio La Torre, entrambi ammazzati in Sicilia, non solo da Cosa Nostra.
E chi fu mandato a dare una mano alla cabina di regia costituita da Cossiga per trovare Moro? Il braccio destro del segretario di Stato americano. Agli atti dei processi Moro, ci sono le dichiarazioni di quello che era all’epoca il corrispondente della CIA in Italia, che dice: “A un certo punto, siccome molti si diedero da fare per trovare Moro, abbiamo temuto che potessero liberare Moro. Per cercare una linea con le BR“.
In che senso fu un colpo di Stato? Cosa sarebbe stato il nostro Paese se Moro non veniva ammazzato e noi avessimo avuto un governo con il dialogo tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista? Un Paese peggiore, migliore, più felice, più infelice? Non lo sappiamo, ma avrebbero deciso i parlamentari eletti all’epoca con una legge proporzionale, e non con le leggi con cui adesso andiamo a votare per il Parlamento, che non contano nulla. Altri, invece, hanno deciso. Hanno deciso entità occulte all’interno dello Stato, con un sostegno oltreoceano.
Strage di Bologna (1980) – La più grave strage avvenuta in tempi di pace in Occidente. Perché Bologna? Perché Bologna era la roccaforte del Partito Comunista all’epoca e città simbolo della Resistenza. Qualche mese fa, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna di Paolo Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale, quindi un neofascista. Dicono i magistrati: la strage di Bologna viene fatta dai neofascisti col sostegno dei servizi e con il finanziamento economico di Licio Gelli. Licio Gelli è il capo della Loggia P2, che verrà scoperta nel 1981. Tutti i punti del suo Piano di Rinascita Democratica piano, che fu considerato eversivo, oggi vengono discussi in maniera assolutamente palese a Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama.
Sequestro Cirillo (1981) – Veniamo all’altro colpo di Stato. Viene sequestrato in Campania, a Torre del Greco, l’assessore regionale ai lavori pubblici Ciro Cirillo, il più potente referente della Democrazia Cristiana in Campania, quello che doveva gestire il più imponente fiume di denaro pubblico del dopoguerra, quello del terremoto dell’80 in Campania e Basilicata. Cirillo era il garante del patto tra camorra, affari e politica. Sentenze passate in giudicato hanno dimostrato che per la liberazione di Ciro Cirillo è stato pagato un miliardo e 450 milioni di lire. Chi ha trattato per la liberazione di Cirillo? Le Brigate Rosse, nella figura dell’ideologo Giovanni Senzani; la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo; Vertici dei servizi: il servizio segreto militare (generale Musumeci, iscritto alla P2) e il servizio segreto civile (SISDE, dottor Del Monte, iscritto alla P2); Vertici della Democrazia Cristiana: Flaminio Piccoli e Antonio Gava. La trattativa si chiude nel supercarcere di Ascoli Piceno, dove era detenuto Raffaele Cutolo. Ma non era un supercarcere, era il “Resort Spa Cutolo”: da Cutolo sono andati politici, uomini dei servizi, uomini dello Stato. Ma quello che è incredibile è che sono andati i due principali latitanti della camorra dell’epoca, non a costituirsi, ma a chiudere la trattativa: tra cui Vincenzo Casillo, salterà con un’autobomba a Roma poco dopo. Quindi, lo Stato ha trattato con le BR, così come ha trattato con la mafia.
Stragi di Capaci e via D’Amelio (1992) – Perché Giovanni Falcone viene ammazzato con un atto terroristico militare? Lo potevano ammazzare a Roma, dove lavorava, girava certe volte la sera da solo, al massimo con un poliziotto. Perché farlo saltare in autostrada? Perché quell’attentato doveva avere evidenti e chiari effetti politici. L’effetto politico che ha avuto (e che doveva avere) era di chiudere definitivamente con la Prima Repubblica e stroncare la carriera politica di Giulio Andreotti, che doveva diventare Presidente della Repubblica. Finirà la sua politica, diventerà Presidente Oscar Luigi Scalfaro. Ma non perché Andreotti fosse il paladino della lotta alla mafia, ma perché non era più in grado di essere il garante del patto tra mafia e politica che aveva caratterizzato la Prima Repubblica. Quel patto salta a gennaio del ’92, quando la Corte di Cassazione conferma tutte le condanne agli imputati del Maxiprocesso a Cosa Nostra. Nell’agosto del ’91 viene ucciso Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale della Cassazione. Nell’aprile del ’92 viene ucciso Salvo Lima, braccio destro di Andreotti in Sicilia.
Ma quello che davvero sancisce il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è la strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, con la morte di Paolo Borsellino. Io lo ricordo bene quel periodo, perché io sono entrato in magistratura in quei giorni. Paolo Borsellino era un morto che camminava. Lo sapeva lui, lo sapeva la moglie, lo sapeva la famiglia, lo sapeva lo Stato. Lo Stato non ha nemmeno messo l’ordine di rimozione delle auto sotto casa della madre di Paolo Borsellino, a via D’Amelio, dove il procuratore Borsellino si recava ogni domenica pomeriggio a fare visita alla madre e alla sorella.
Ma quel che è ancor più grave: Borsellino, pubblicamente uomo rigoroso, magistrato vecchio stile, rilascia alcune dichiarazioni pubbliche inquietanti: “Io sono un magistrato, ma sono anche un testimone. Sono il principale amico di Giovanni Falcone. Aspetto, non vedo l’ora che mi chiami il magistrato competente sulla strage di Capaci per sentirmi“. Il procuratore della Repubblica di Caltanissetta farà passare 57 giorni senza mai sentire Paolo Borsellino. E non lo sentirà mai, perché Paolo Borsellino verrà ammazzato. Poi si scoprirà che il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, e il procuratore della Repubblica di Palermo, Piero Giammanco, erano entrambi vicinissimi ai poteri occulti. Borsellino, nel suo ultimo intervento pubblico alla biblioteca comunale di Palermo, con la voce strozzata dalla commozione, fa un passaggio inquietante: “Probabilmente, tra i principali responsabili della morte di Giovanni Falcone ci sono i giuda interni alla magistratura“.
Come tutte le guerre: bombe e trattative. Cosa Nostra manda il messaggio allo Stato. Ci sono gli attentati di Roma, Firenze e Milano. L’ultimo attentato, che salta solo per un mancato funzionamento del congegno elettronico, è quello di gennaio del ’94 allo stadio Olimpico di Roma, dove doveva saltare un bus pieno di carabinieri.
Poi c’è una coincidenza e un fatto. Su questo ognuno si fa la sua opinione. Nasce un partito che segna il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica: Forza Italia. È un fatto che i due fondatori di quel partito: Marcello Dell’Utri, è condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa; Silvio Berlusconi, per il quale è in corso un processo di beatificazione, ha avuto rapporti organici con Cosa Nostra, al punto tale che aveva lo stalliere Mangano nella sua villa.
Poi, siccome sono dei filantropi, voi sapete che Silvio Berlusconi, quando è morto, ha lasciato a Marcello Dell’Utri 30 milioni di euro.
Non vi dico questo perché sono di quella parte politica, perché le considerazioni che ospitano alcuni esponenti del centrosinistra sono forse finanche peggiori. Perché la questione morale, purtroppo, è assolutamente trasversale.

L’esperienza in magistratura
Io ho avuto la sventura di essere mandato in Calabria, che mi ha condizionato la vita. Io sono molto legato alla Calabria e sono anche un testimone del fatto che è una balla che i calabresi siano conniventi, omertosi. Io mi sono reso conto subito delle insidie che avrei avuto, soprattutto all’interno. Se, infatti, gli attacchi pesantissimi fossero arrivati da interrogazioni parlamentari, ispezioni, attacchi politici, attacchi mediatici, avrei dovuto subire dei contraccolpi, ma avrei vinto. Invece, le menti raffinatissime hanno cambiato strategia: hanno portato l’attacco all’interno dell’ordine giudiziario. Cioè, farmi fuori dall’interno, con la saldatura con i poteri esterni attraverso i poteri occulti.
Il trasferimento forzato – Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiama nel suo ufficio il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il procuratore Generale della Cassazione, che inizia a esercitare plurime, devastanti azioni disciplinari. In due mesi, in un processo lampo, mi porteranno a trasferirmi per incompatibilità ambientale e funzionale. Il motivo principale della mia condanna è il seguente. A un certo punto, nelle indagini su cui avevamo ricostruito la depredazione di 15 miliardi di euro -destinati alla sanità, all’acqua, alla depurazione, ai rifiuti, alle opere pubbliche- l’anello di collegamento tra le famiglie, la politica, le istituzioni (purtroppo anche apparati di controllo) era un soggetto molto potente. Un politico noto, ma soprattutto un penalista molto influente. Lui era il coordinatore regionale di Forza Italia e l’uomo di Marcello Dell’Utri in Calabria. Avvocato di quasi tutti i boss della ‘ndrangheta e di tantissimi colletti bianchi. Avvocato e amico del mio procuratore.
Io devo fare una perquisizione al Presidente della Regione Calabria, che era anche il vertice dell’ufficio del commissariamento sull’emergenza ambientale. Informo il procuratore della Repubblica e il procuratore aggiunto. Loro mi dicono: “Questi nuovi decreti li firmiamo subito. Quello del Presidente, un po’ delicato, ce lo portiamo a casa e ce lo guardiamo bene”. Nel frattempo, avevamo delle intercettazioni in corso. C’è una fuga di notizie. Dopo quattro giorni, mi chiama il procuratore aggiunto e mi riconsegna il decreto non firmato, dicendo: “Luigi, non me la sento di firmarlo perché conosco il presidente da tanti anni“. Io dico: “Va bene, non ti preoccupare, vado avanti“. Il procuratore non mi dice niente, non mi restituisce il decreto. Ovviamente, quando facciamo la perquisizione, non troviamo niente. Però, menomale che avevamo quelle intercettazioni, perché scopriamo la fuga di notizie e acchiappiamo tre persone al confine tra la Lombardia e la Svizzera, con una valigetta con tre milioni e mezzo di euro in contanti.
Un anno dopo, io devo avvisare il procuratore. E allora vi pongo questo dilemma: Se avviso il procuratore, l’indagine salta. Se non avviso, siccome già ero sotto pesantissima lente su ogni cosa che facevo, mi contestano. Io non ho avvisato il procuratore. Ve lo spiego perché: lo faccio un avviso segreto, il provvedimento in cassaforte con la mia cancelliera onestissima. Nessuno viene a sapere niente. Dopo sei mesi, usciamo allo scoperto, facciamo perquisizioni, informazioni di garanzia e sequestri, anche nei confronti di questo avvocato. 36 ore dopo, il procuratore mi toglie l’indagine. Sei mesi prima, il figlio del procuratore era stato assunto nella società del suo avvocato, e il procuratore aveva dato fideiussione a garanzia dell’assunzione.
Il Consiglio Superiore della Magistratura mi condannerà alla censura con un trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale. Questo avvocato, per 12 anni, ha continuato indisturbato. Tre anni fa, due indagini, una coordinata dal procuratore Gratteri e l’altra dal procuratore Lombardo, hanno arrestato questo avvocato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Quando i proiettili istituzionali ti colpiscono – A un certo punto, quando ero nell’apice dell’assalto, mi ricordavo della frase di Borsellino: “Vedi, Giovanni, la gente fa il tifo per noi“. Io questo lo sentivo. Quando andavo dal giornalaio, dal salumiere. Ma il sistema, se vede una persona che in quel momento è un pericolo, che cosa cerca di fare? Oltre a togliere le inchieste, oltre a cercare di trasferirti, oltre a cercare di piegarti per sempre, hanno cercato di distruggere la mia reputazione. Cercando in particolare di farmi arrestare. Pensate che in quel periodo ho avuto: 117 interrogazioni parlamentari; 5 anni di inchieste e ispezioni amministrative (primo governo Berlusconi e poi governo Prodi); processi contro di me. A un certo punto, mentre sto per finire un’udienza di sera, si avvicina un ufficiale dei carabinieri della Procura di Salerno (competente per i reati commessi dai magistrati di Catanzaro) e mi notifica un’informazione di garanzia di 16 pagine: abuso d’ufficio, reati gravissimi. Io devo dire la verità: l’unico momento in cui ho pensato al delitto perfetto (anche se non esiste): quando sono arrivato a casa e ho avuto un attimo di crollo. Ma poi mi sono liberato quando, dopo circa 10 mesi, ho concluso gli 88 verbali all’autorità giudiziaria. Hanno archiviato tutti i procedimenti nei miei confronti per l’assoluta correttezza del nostro operato e hanno aperto fascicoli con reati gravissimi nei confronti di politici, magistrati, colletti bianchi, professionisti.

Guerra fra procure? – Finalmente la procura di Salerno indaga i vertici della magistratura calabrese. Mentre stanno sequestrando atti in Calabria, accade una cosa che non è mai accaduta nella storia della Repubblica: i magistrati indagati, perquisiti e oggetto di sequestro indagano i magistrati che stanno indagando su di loro e si sequestrano gli atti che loro avevano sequestrato. Come se i carabinieri, durante una rapina in banca, arrestassero i carabinieri.
All’imbrunire, esce una nota del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dice testuale: “Una guerra tra procure”, mettendo sullo stesso piano aggressori e aggrediti. Dopo un mese e mezzo, tutti i magistrati di quell’ufficio giudiziario vengono rasi al suolo.
Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati dell’epoca, ha confessato a Alessandro Sallusti (direttore del Giornale): “De Magistris è stato il cigno nero, un momento imprevedibile. Perché indagava sia a sinistra che a destra, non era iscritto a nessuna corrente della magistratura, e tutte le correnti erano d’accordo perché tutti i partiti erano coinvolti e perché erano indagati anche magistrati“. Sallusti chiede: “È mai capitato che l’Associazione Nazionale Magistrati non abbia difeso un iscritto sotto attacco?“. Palamara risponde: “Mai. Ma in questo caso, abbiamo avvisato il presidente della Repubblica, in quanto capo del CSM, che stavamo facendo fuori De Magistris.“
Palamara, all’epoca dei fatti, aveva invece detto: “Il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi“. Quindi, noi eravamo il virus.
Cosa possiamo fare?
Oggi i poteri occulti stanno profondamente inquinando la vita democratica del nostro Paese. Quelli che erano piani nascosti o invisibili, oggi, anche grazie alla criminalità istituzionale, diventano progetti che si discutono nei principali mezzi di comunicazione e nei luoghi istituzionali che dovrebbero essere preposti al bene comune.
Invece, guarda caso, stanno giorno dopo giorno attuando esattamente quei piani che la Commissione presieduta da Tina Anselmi nel 1982 definì “un piano eversivo dell’ordine costituzionale della nostra Repubblica“.
I costituenti – madri e padri che avevano visto il fascismo, le leggi razziali, i campi di sterminio – scrissero la Costituzione come un antidoto. Il un battito cardiaco della democrazia. E in due articoli nascosero un avvertimento:
Articolo 1: “La sovranità appartiene al popolo“
Articolo 2: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“.
La Repubblica non sono solo le istituzioni, ma le istituzioni insieme ai cittadini: non è un diritto, perché potrei non esercitarlo, non è un dovere ma molto di più, è una missione, un inno contro l’indifferenza. Non difendere la Costituzione, ma attuarla.
Se noi stiamo fermi, aspettando il cambiamento dall’alto, non cambierà mai nulla. La storia non viene mai cambiata dall’alto, ma dal basso, nelle piccole comunità o nelle grandi comunità.
Quindi, ognuno di noi può fare tanto. Io nella vita ho visto che quando la gente si schiera, si muove e incomincia ad andare in direzione ostinata e contraria, le cose possono cambiare.
Io ci credo. E sono assolutamente dell’idea che questo può accadere. Non è un sogno, perché se sognassi da solo non è nulla. Se sogniamo in tanti, le cose possono cambiare.
Le domande
Tantissime le domande, il tempo è praticamente scaduto ma.. nessuno se ne vuole andare. È ora di cena, già si mette in fila chi vuole far autografare il libro. “Mio figlio vuole iniziare il prossimo anno Giurisprudenza per fare il magistrato” “Venga che gli faccio una bella dedica”.
Ma prima un punto su Giorgia Meloni e il suo sempre esibito impegno antimafia, sulla separazione delle carriere, su Vincenzo De Luca, lo storico presidente della Campania. E poi ancora se potesse mai tornare magistrato dove vorrebbe lavorare? “In Sicilia per indagare su Capaci e via D’Amelio”. Sulla indagini di oggi: Paragon e la cybersicurezza? C’erano già in quelle inchieste di 12 anni fa gli stessi ingredienti….
E poi sull’esperienza a Napoli? C’è disillusione in giro. Ma pensate a quella città, non troppi anni fa. Sommersa dai rifiuti. Praticamente bombardata. E guardatela oggi. Tutto questo è stato possibile con una una partecipazione dei cittadini senza precedenti. Perché c’è stata? Perché c’era un rapporto forte di fiducia tra popolo e chi governava senza tradire ciò che diceva. Nonostante tutti i giornali contro, senza l’appoggio di nessun partito… sono stato il sindaco più longevo della storia della città (e all’inizio nemmeno mia moglie riusciva a credere che mi sarei candidato). Ora è delle prime città per turismo culturale, acqua pubblica, beni comuni. Quindi, non vi deprimete mai. Si cade e ci si rialza!
