Una lectio magistralis. Anche se il generale Fabio Mini si schermirebbe (e in effetti lo ha fatto) di fronte a questa definizione. Eppure è stato questo, senza dubbio, l’incontro in cui ha presentato il suo ultimo libro: “La Nato in guerra. Dal patto di difesa alla frenesia bellica”. A me è toccato il compito – decisamente arduo per la statura dell’ospite – di accompagnarlo nel dialogo all’interno della rassegna organizzata, con la solita cura impeccabile, da Mimmo Minuto.
Quando ho letto il suo nome tra gli ospiti, per un attimo sono rimasto senza fiato. Poi ho realizzato: sì, proprio lui. Generale di Corpo d’Armata, ha comandato tutti i livelli di unità dei Bersaglieri, ricoperto incarichi dirigenziali negli Stati Maggiori dell’Esercito e della Difesa, diretto l’ISSMI del Centro Alti Studi Militari, prestato servizio in Cina, negli Stati Uniti e nei Balcani. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo.
Fabio Mini è – lo dico senza mezzi termini – uno dei miei riferimenti assoluti in materia di geopolitica e strategia. Ho letto praticamente tutti i suoi libri e non mi perdo mai un suo intervento sul Fatto Quotidiano.

“Hai letto ‘Ucraina 2022. La storia in pericolo’, a cura mia, di Franco Cardini e Marina Montesano? Il titolo dice tutto. È la storia a essere in pericolo, in mezzo a tutta la paccottiglia che è uscita su questo tema. Così abbiamo messo insieme una trentina di studiosi, intellettuali, accademici e freelance veri. Perché la storia, quella che sarà scritta tra qualche anno, non può basarsi su quanto pubblicato sui giornali di questi anni. Lo abbiamo pubblicato con una piccola casa editrice, ma l’importante è che esista. È una testimonianza. Non ha avuto attenzione mediatica, ma mette insieme persone che, anche se dicono cose diverse, almeno pensano. E senza confronto, non c’è progresso”. Mi aveva detto all’incirca a cena e allora mi è poi tornato alla mente Franco Cardini, altro mio imprescindibile punto di riferimento, lo scorso anno a Porto San Giorgio.
Anche lì, un monologo ininterrotto (nonostante le sollecitazioni) da una sola domanda iniziale fino a mezzanotte passata: un evento memorabile.

Con Mini sono riuscito a porre due domande e mezzo. Eppure ha risposto, senza saperlo, a tante di quelle che avevo preparato.“Se mi si chiede di parlare di questioni ampie, le mie risposte sono lunghe”. Mi aveva avvertito. Con quel suo modo ironico, umile, alla mano che solo i grandi hanno. Ma un’altra, almeno, gliel’avevo fatta prima dell’incontro, forse presentendo qualcosa: “Ma Stay Behind e, quindi, la Gladio italiana c’entravano con la NATO?”. La risposta, all’unica piccola mancanza di questo libro, ve la racconto alla fine.
Quel che è certo è che il libro – sintetico ma densissimo – affronta con chiarezza e grande completezza una questione centrale del nostro tempo. Parliamo ogni giorno di guerra, di armi, di alleanze. Ma quanti conoscono davvero il Trattato del Nord Atlantico? Quanti sanno cos’è diventata la NATO, come è nata e si è trasformata nella struttura, nei fini, nelle prassi?
“Non avevo in programma questo libro. Ma se te lo chiede Luciano Canfora – che dirige la collana Orwell per Dedalo – non puoi dire di no. E poi mi sono accorto che un libro così, in effetti, ancora non c’era”. E meno male che adesso c’è.

Co’sè davvero la NATO – Parlare della NATO oggi è complicato, perché è diventata una sorta di parola feticcio. Ne sentiamo parlare tutti i giorni, e spesso in maniera meccanica: la NATO fa questo, la NATO ha deciso quello, come se fosse un soggetto unitario, con volontà propria.
In realtà la NATO è un’alleanza che nasce da un trattato, firmato nel 1949 da 12 paesi. Oggi sono 32. Il trattato originario è molto breve: 14 articoli, più un preambolo. Una cosa che si legge in un’ora.
Eppure contiene tutto: non solo le basi giuridiche dell’alleanza, ma anche il principio fondamentale secondo cui la NATO è una struttura a guida politica, che ha come scopo la difesa collettiva, nel quadro dei principi della Carta delle Nazioni Unite.
Quindi niente guerra preventiva, niente aggressioni unilaterali, niente “missioni di pace” che sono in realtà interventi armati. Lo dice chiaramente il preambolo, che richiama lo Statuto dell’ONU.
Il famoso Articolo 5 è quello che tutti citano: dice che un attacco a uno è un attacco a tutti. Ma – e qui sta il punto – non dice come si deve rispondere. Ogni Stato mantiene la sovranità su che cosa fare, quando, e in che modo. Può decidere di intervenire militarmente, oppure no. Non c’è nessun automatismo.
Anche durante la Guerra Fredda, nessuno era davvero sicuro che l’Articolo 5 sarebbe stato applicato in caso di invasione.
La prevalenza dell’elemento militare – Negli anni ’90 la NATO cambia pelle. Nasce la cosiddetta Partnership for Peace – un nome bellissimo – che doveva essere una forma di cooperazione tra paesi NATO e paesi dell’Est Europa.
Molti hanno visto in questa apertura una possibilità di dialogo. Ma nella realtà, quello che è accaduto è che i paesi dell’Est, usciti dal Patto di Varsavia, volevano avvicinarsi non tanto alla NATO in sé, ma agli Stati Uniti.
L’illusione era che entrare nella NATO significasse entrare nella sfera d’influenza americana. Perché, diciamolo chiaramente: la fiducia era rivolta agli Stati Uniti, non all’Alleanza Atlantica. Vendevamo democrazia, ma i paesi dell’Est volevano l’ombrello nucleare USA. E in molti casi, questa fiducia è stata mal riposta.
L’allargamento a Est è stato venduto come una diffusione di democrazia, ma è stato percepito, da Mosca e non solo, come una minaccia. Già nel 1997 diplomazie e analisti americani lo dicevano chiaramente: la Russia traccerà una linea rossa. Ma si è tirato dritto. Invece di creare sicurezza, si sono spostate armi e truppe ai confini.
E oggi ci stupiamo se la Russia reagisce. Reazione condannabile, certo. Ma non sorprendente.

Come funziona l’organizzazione – Il trattato prevede due organi fondamentali: il Consiglio Atlantico, composto da rappresentanti dei governi, dove tutti i membri sono sovrani e hanno pari dignità; e il Comitato Militare, composto dai Capi di Stato Maggiore. Le decisioni devono essere prese all’unanimità: c’è il diritto di veto. In teoria. Ma in pratica, questo principio è stato svuotato.
Negli anni ’90, e poi soprattutto dal 2001 in poi, la NATO ha cominciato a operare de facto senza mandato. Prendiamo il caso del Segretario Generale: a partire dal ’92, ha iniziato a presentare documenti strategici che non erano votati da nessuno, ma che venivano semplicemente dati per acquisiti. Le decisioni arrivano già confezionate. Il Consiglio le ratifica, punto. Il dibattito è formale. In molti casi, ci si limita a dire: “Non abbiamo obiezioni”. Ma questo non è consenso, è inerzia.
Il problema è che la struttura si è burocratizzata. Oggi abbiamo funzionari, comandanti, tecnici che rispondono alla NATO in quanto tale – non agli Stati membri. Sono diventati parte di un sistema autoreferenziale, in cui nessuno risponde più al proprio Paese (per non parlare del fatto che è il buen retiro di politici finiti…). È un meccanismo senza controllo democratico: un potere burocratico irresponsabile. La NATO ha sviluppato una sua personalità operativa, che decide, agisce e comunica al mondo – spesso anche al posto dei governi.
Le missioni militari – La NATO nasce come strumento politico-diplomatico. Ma nel tempo ha progressivamente privilegiato l’elemento militare. Gli esempi non mancano. Pensiamo alla Jugoslavia nel 1999. Bombardamenti, missioni, operazioni condotte senza alcun mandato dell’ONU, e nemmeno con l’unanimità tra i membri. Lo stesso vale per la Libia nel 2011. Eppure, nei testi ufficiali, si parla ancora di “interventi umanitari” o di “difesa della popolazione civile”. Siamo al paradosso: si fa la guerra per garantire la pace.
Anche le parole cambiano. La Russia viene definita oggi “il nemico strategico”. Ma chi lo ha deciso? Dov’è il voto? Dov’è il dibattito politico? La verità è che siamo entrati in una fase in cui l’evocazione dell’Articolo 5 – quello sulla difesa collettiva – viene fatta a sproposito, quasi come una minaccia simbolica. Ma siamo sicuri che, se scoppiasse una crisi in Georgia o nei Balcani, i cittadini dei paesi NATO sarebbero pronti a morire per difendere un confine che magari non sanno nemmeno dove si trovi? Il problema non è la solidarietà in sé, ma la sua strumentalizzazione.
Il doppio standard: Russia, Israele, Gaza – C’è un altro tema, che riguarda la coerenza. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la reazione dell’Occidente è stata immediata: condanna, sanzioni, aiuti militari. Bene. Ma quando Israele bombarda Gaza, con migliaia di vittime civili, con distruzione sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture, la comunità internazionale tace. È il massimo violatore del diritto internazionale. Perché? Se si dice che l’Ucraina va difesa perché è un paese aggredito, allora dovremmo dire lo stesso per i palestinesi. Ma questo non accade. E allora bisogna avere il coraggio di dirlo: esiste un doppio standard.
E questa è una delle ragioni per cui molta parte del mondo – non solo arabo, anche africano, sudamericano, asiatico – guarda con scetticismo alla NATO e all’Occidente. Non perché siano antiamericani per definizione, ma perché vedono che i principi non valgono per tutti.
Le basi NATO in Italia – In Italia abbiamo circa 120 strutture NATO. Ma non sono basi dell’alleanza.
Sono basi americane. È bene essere chiari su questo. Gli Stati Uniti decidono cosa farci, chi decolla e quando. Il governo italiano viene informato, a volte. Ma non decide.
Prendiamo Aviano: da lì partivano gli aerei che bombardarono la Serbia. Nessuna autorizzazione ufficiale da parte dell’Italia. I comandi erano americani.
Se domani dovessero partire da una base italiana delle missioni dirette in Iran, non ci verrebbe chiesto il permesso. La nostra sovranità finisce – letteralmente – al cancello della base. Dentro, comandano gli americani. Ecco perché parlare di “basi NATO” è scorretto. La NATO non ha nulla a che vedere: sono basi bilaterali, concesse in uso agli Stati Uniti, che agiscono secondo la loro catena di comando.
Il diritto internazionale ignorato – Uno degli aspetti più gravi della situazione attuale è la sistematica violazione del diritto internazionale. La NATO in Jugoslavia e in Libia, gli Stati Uniti in Iraq, Israele a Gaza: tutti questi interventi sono avvenuti senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e spesso in aperta violazione di risoluzioni esistenti.
Il Consiglio di Sicurezza è paralizzato dai veti incrociati, certo. Ma il punto è che, quando le norme non funzionano, non si cerca di riformarle: si ignorano. Si procede comunque. Questo ha effetti devastanti.
Perché se viene meno la legalità internazionale, si torna alla legge del più forte. A comandare è chi ha più armi, più basi, più capacità di proiezione militare. E allora crolla tutto il castello dei valori, delle convenzioni, della diplomazia. La forza si sostituisce alla politica. Il diritto si riduce a carta straccia.
L’Europa subordinata – L’Europa, in tutto questo, ha rinunciato a esercitare un ruolo autonomo. Invece di porsi come mediatore, come voce distinta, ha seguito acriticamente la linea statunitense, spesso anche contro i propri interessi. Basti pensare all’approvvigionamento energetico, alla rottura dei rapporti con paesi chiave, al rischio di essere trascinata in conflitti che non la riguardano direttamente.
C’è chi parla di difesa comune europea. Benissimo. Ma se l’Europa non riesce a dire “no” quando è il momento di dire no, allora che difesa è? Oggi non c’è autonomia strategica, né diplomatica. E finché continueremo a farci dettare le priorità da Washington – che, legittimamente, fa i propri interessi – l’Europa non avrà mai una politica estera vera.
Tornare alla politica – Oggi la NATO è una macchina militare senza freni politici. E il libro vuole spiegare come siamo arrivati qui. Come abbiamo tradito lo spirito del trattato originario. Come abbiamo sostituito la diplomazia con le armi, il confronto con l’obbedienza, la cooperazione con l’imposizione. Se non cambiamo rotta, rischiamo grosso.
Rischiamo una guerra che nessuno vuole, ma che nessuno sembra capace di evitare. La Russia non è un nemico da annientare. È un interlocutore, con cui bisogna trattare. Anche duramente, anche senza illusioni, ma con realismo. Se continuiamo a ragionare per escalation, per logiche di deterrenza a somma zero, andremo a sbattere.
Il primo passo? Rileggere il Trattato del 1949. Solo 14 articoli, ma lì dentro c’è tutto: il riferimento all’ONU, al dialogo, alla difesa comune – vera. Se vogliamo tornare alla ragione, dobbiamo partire da lì. La soluzione è politica, non militare.
Interessante la richiesta, fra le domande finali, di approfondire la questione di Craxi e Sigonella – I militari italiani circondarono i marines americani e ci fu quel braccio di ferro sulla pista. Ma il giorno dopo Craxi telefonò a Reagan per scusarsi. E poche settimane dopo concesse l’uso delle basi per l’attacco americano contro la Libia. Il problema – ha detto più o meno Mini – è che fu una commedia, una messa in scena dove nessuno aveva chiare le regole: per il diritto internazionale l’aereo era nell’area italiana della base, ma per gli americani era un ‘pirate aircraft’, un velivolo pirata, e quindi legittimo obiettivo. Il punto vero è che, già allora, le decisioni militari si muovevano in una zona grigia. Quella telefonata del giorno dopo dice molto più della scena sulla pista.

Presentazione dei libri: sì o no? – Mentre chiacchieravo con il generale, mi ha raccontato che non era abituato alle presentazioni di libri. Per i precedenti, di grandi editori, ne faceva giusto una. Stavolta gira l’Italia proprio per sostenere Dedalo. Eppure, va detto, ha tutte le capacità e l’energia per reggere il palco. Anche senza moderatori! Quante volte, da lettore e spettatore, ho visto moderatori che fanno il loro show, dimenticando perché siamo lì: per ascoltare l’autore. Con Mini, semplicemente, non è possibile. E per fortuna.
Quello che non lo entusiasma delle presentazioni è anche l’idea che si ascolti la presentazione e poi si faccia a meno del libro. Il suo invito è chiaro: “Leggete i libri!”. E la sfida – che rilancia a noi – è portare i giovani alle presentazioni e da lì, poi, al libro vero.
P.S. (che tutti aspettavano) Sì, la NATO c’entra con Stay behind, anche se con Gladio meno. Nell’esercito li disprezzavano ed epurarono (unica amministrazione pubblica) i membri della P2…