Da città delle cento torri a città dei cento palloni

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Da città delle Cento Torri – si narra che nei tempi dei tempi ogni qual volta Ascoli perdeva una guerra per… punizione si procedeva al taglio di una torre – alla città dei… cento palloni. Il ritrovamento sul tetto della chiesa di San Tommaso ha riscosso un successo virale che ha fatto il giro del mondo catapultando la nostra meravigliosa città al centro della curiosità di chi ama mettersi davanti al piccolo schermo. 

Piazza San Tommaso è stata sempre un luogo di ritrovo e di socializzazione, frequentata tutti i pomeriggi da bambini di varie età. Giocavano a pallone. A quei tempi, si parla di settanta anni fa, era l’unico svago che veniva offerto ai giovanissimi ma la cosa più importante era che il divertimento di giocare a pallone era incomparabile e soddisfaceva al punto che non si vedeva l’ora di tornare il giorno seguente a Piazza San Tommaso. 

Ma in città c’era tanti altri campi sportivi in… miniatura, non dal fondo in erba – c’era un prato solo al Campo Boario, dove si svolgeva il mercato delle vacche  – ma duro cemento o terra battuta. In ogni quartiere c’era uno spazio per interminabili partite di calcio. Al centro Via D’Ancaria – veniva percorsa dalle macchine una volta ogni morte di Papa – oppure “Lu spiazzitte”, un’area in terra battuta a fianco dell’auditorium della Cassa di Risparmio, dopo che venne sconsacrata la chiesa di San Francesco di Paola. 

Ma non si creda che fare una partita fosse facile: le guardie municipali giravano per il quartiere, a caccia. Di cosa? Dei palloni o delle palle con cui giocavano i bambini. Poi, munite di un trincetto li tagliavano i due. Se una cosa del genere si facesse oggi, apriti cielo! 

A Borgo Solestà c’era “lu prate”, a campo Parignano “la Gil”, a Porta Maggiore la “piazzetta de li callare”, a Porta Romana il prato del Tirassegno, alla Piazzarola la “Piazzetta”, a San Filippo un campetto accanto alla chiesa, a Poggio di Bretta, vicino alla sponda del Tronto, uno terreno dove era possibile giocare, condizioni meteo permettendo.

Nell’area dove è sorto lo stadio “Cino e Lillo Del Duca”, c’era un vasto prato, il famoso “Cantinone”, che veniva diviso in mini campi di gioco. Per assicurarsi uno spazio, però, bisognava occuparli per tempo, per come erano affollati. Ma c’era un altro insormontabile problema: i genitori non volevano che si andasse in questo posto in quanto ritenuto troppo distante! 

Per concludere come dimenticare il campo delle Tofare, un’area ricavata da un’ala di una vecchia caserma in demolizione, teatro, soprattutto il sabato pomeriggio, di interminabili partite che iniziavano alle 14 per andare avanti ininterrottamente fino a quando faceva scuro, quasi quattro ore filate; con un terreno duro, quasi come il cemento e pieno di pietre così da tornare a casa sistematicamente con abrasioni dal sedere alle gambe.

Niente porte regolamentari, ma mucchio di borse o abiti ammucchiati per sostituire i due pali, niente linee di campo, ma solo quattro segnacci fatti con le scarpe, niente arbitro, con punizioni e rimesse laterali decisi più o meno di comune accordo.

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