Luci abbassate, in scena solo un leggio e una sedia con una bottiglia d’acqua. Parte un sottofondo musicale drammatico e sul maxischermo compare l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Poi, il volto dell’allora presidente Usa George W. Bush, il 20 settembre dello stesso anno, di fronte al Congresso: “Our war on terror begins with al Qaeda, but it does not end there. It will not end until every terrorist group of global reach has been found, stopped and defeated” (La nostra guerra al terrore inizia con al Qaeda, ma non finisce lì. Non finirà finché ogni gruppo terroristico di portata globale non sarà stato individuato, fermato e sconfitto). E ancora: “The course of this conflict is not known, yet its outcome is certain. Freedom and fear, justice and cruelty, have always been at war, and we know that God is not neutral between them” (L’esito di questo conflitto non è noto, eppure il suo risultato è certo. Libertà e paura, giustizia e crudeltà sono sempre state in guerra, e sappiamo che Dio non è neutrale tra di esse). Così inizia un’altra fase della nostra storia.
E così inizia anche “Scomode verità“, la controinformazione a teatro di Alessandro Di Battista, reporter, scrittore e attivista politico fra i più noti. Il PalaRozzi di Folignano (AP) è gremito all’inverosimile, tutte le fasce d’età, intere famiglie accorse alla chiusura di Librarte (ne abbiamo parlato già QUI). L’attenzione è altissima, ancora dopo quasi due ore, nonostante il caldo soffocante della serata. La passione sincera e travolgente dell’autore lo sostiene fino alla fine, al massimo un sorso d’acqua alla fine di ogni capitolo, mentre scorre un video, e una mano passata sulla fronte. Tanti rimarranno a lungo ancora per il firmacopie del libro da cui è tratto il suo monologo, dopo una corale standing ovation finale.

Da 9 anni, era il 19 agosto 2016, non lo vedevo di persona. Da quando era stato in piazza gremita a Giulianova (TE) per il suo “Costituzione Coast To Coast” in moto. Quella sera, diversamente dalle altre tappe, c’erano con lui sul palco Luigi Di Maio e Beppe Grillo, che disse qualcosa come: “La cosa che si denota stasera che questi ragazzi vicino a me sono diventati grandi leader, opinion leader e trascinatori di massa…“. Sembra passato un’era geologica della politica, Alessandro Di Battista non è più deputato dal 2018, ha lasciato il Movimento 5 Stelle e si dedica a qualcosa che gli riesce benissimo: il racconto crudo, coraggioso e militante di quello che studia, di quello che vede nei suoi viaggi in giro per il mondo. Una voce per coloro a cui ci si ostina a non voler dare voce. “Putiniano! Sostenitore di Hamas!” lo definisce qualcuno…
“State con il terrorismo o con la democrazia domandano sferzanti politici da salotto e opinionisti in televisione tutti pronti a difendere i massacri se li compie il blocco occidentale, tutti coloro che tentano di argomentare vengono delegittimati, tutti coloro che esercitano il pensiero critico vengono attaccati“. Ha esordito allora Di Battista. “In Palestina i peggiori crimini vengono commessi sotto gli occhi di tutti, in diretta streaming. Eppure si fa finta di non vedere. Hanno ammazzato oltre 230 giornalisti. Gente che filma anche sapendo che morirà, pur di lasciare una prova per il futuro. Come Borsellino: sapeva che l’avrebbero ucciso. Ma non ha smesso di combattere la sua battaglia“. Sono diventati target bellici, perché la verità è diventata una minaccia.
Il linguaggio stesso è inquinato. “Viviamo in un mondo in cui i mercenari americani sono contractor, quelli russi sono criminali, dove le missioni diventano esportazioni di democrazia e le guerre vengono vendute come operazioni umanitarie“. La truffa è semantica, ma le conseguenze sono politiche: chi controlla le parole, controlla la legittimità.
D’altronde, “i giornali, le televisioni, i social: molti sono controllati dagli stessi grandissimi fondi d’investimento che guadagnano anche con le guerre. BlackRock, Vanguard, State Street. Sono ovunque. E allora come possiamo pensare che i media veicolino la verità?”.
Il cuore del monologo è la Palestina. La tragedia di Gaza, il massacro dei civili, il silenzio assordante dell’Occidente. Di Battista disegna la cronaca dell’orrore. “Bambini trucidati, fatti a pezzi dalle bombe, operati senza anestesia, che dormono per terra e raccolgono acqua dalle pozzanghere per non morire di sete. Tutto questo è reale“. E aggiunge: “Non smetterò mai di parlare della Palestina. Non c’è nulla, politicamente parlando, che conti di più per me del sostegno alla causa palestinese“.
Una prima verità, semplice, quasi banale. “La storia non inizia il 7 ottobre“, anzi “Israele è da tempo uno Stato di apartheid, come denunciava Amnesty International. Eppure chi osa dirlo viene tacciato di antisemitismo“, così come Save The Children documentava la morte dei bambini in Palestina ben prima degli attentati di Hamas.
Si rompe un altro tabù, distinguendo tra antisemitismo e antisionismo. “Criticare la politica israeliana non è antisemitismo. È giustizia“. E denuncia con forza la “dottrina Eban”, quell’arma retorica secondo cui ogni critica a Israele sarebbe odio contro gli ebrei. “Un’altra trappola semantica, un ricatto ideologico“.
Ma quella che si combatte a Gaza non è l’unica guerra figlia dell’ipocrisia. C’è anche l’Ucraina, e qui Di Battista smonta un’altra narrazione preconfezionata. “Abbiamo creduto a una propaganda semplicistica, a un’idea dell’esercito russo come un’armata rotta che recupera microchip da lavastoviglie e frigoriferi per riparare le apparecchiature militari, indisponibile a causa delle sanzioni“.
Ce l’hanno raccontata così per motivare i nostri sacrifici, tanto mancava poco… “Abbiamo avuto un presidente del Consiglio che ci ha detto di scegliere tra la pace e il condizionatore“. E oggi, dopo tre anni, il condizionatore è ancora spento e la pace è più lontana che mai.
Noi, come società civile, possiamo fare qualcosa. Non chiudere più gli occhi di fronte alle immagini indescrivibili che ogni notte arrivano e tengono sveglio Alessandro Di Battista e tanti altri.
Fortuita coincidenza, l’arrivo di Di Battista nel Piceno ha coinciso (oltre che con il mio compleanno) con il primo Pride di Ascoli Piceno. E ad accogliere l’autore nel capoluogo c’erano una marea di bandiere palestinesi, persone con la kefiah e altre che si dissetavano con una Gaza Cola fresca. Un migliaio di persone che scandivano (l’abbiamo raccontato QUI): “Non esiste lotta queer radicale che possa ignorare la Palestina: perché la stessa logica che bombarda Gaza regola la nostra sessualità; lo stesso potere che costruisce i muri della Cisgiordania costruisce quelli dell’eteronormatività“.
Alessandro Di Battista le ha incontrate di ritorno da una visita a via Luigi Mercantini, dove vivevano i nonni e dov’è nata (e ha vissuto per due anni) sua madre Maria Grazia Mercuri (scomparsa dopo una lunga malattia alcuni anni fa). “Stanislao Mercuri, mio nonno, era infatti docente all’Istituto agrario” ci ha poi confermato.
E allora lo invitiamo anche pubblicamente a tornare in città. Rivolgendogli l’invito -che lui ha rivolto al pubblico- a credere in “un futuro che c’è, in un mondo sempre più ingiusto, oscuro e tragico, è ancora possibile. Perché ci sarà sempre un futuro finché ci sarà qualcuno disposto a perdere qualcosa pur di non voltarsi dall’altra parte“.
Noi ci stiamo provando con il nascente Festival dell’antifascismo. Ti aspettiamo Alessandro!
