Ambiente, vogliamo un futuro fatto di trivellazioni per estrarre idrocarburi?

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Se siamo qui è per difendere le leggi del territorio, dell’ambiente, del turismo, questo accomuna le ragioni di tale ricorso, insieme ai Comuni che si trovano di fronte a un pericolo che faremo di tutto per evitare.

Lanfranco Cardinali – Consigliere delegato della Provincia di Teramo

L’essere umano sta rendendo inabitabile la sua casa e l’estate che stiamo vivendo ce lo sta dimostrando plasticamente. Presentando recentemente l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha parlato di “un codice rosso per l’umanità. I ​​campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili (…). L’unico modo per evitare di superare questa soglia è quello di intensificare urgentemente i nostri sforzi e proseguendo sulla strada più ambiziosa. (…) Dobbiamo agire con decisione ora”. Eppure quando entrano in gioco interessi economici importanti, sembra che nulla cambi. Anzi.

C’è una questione che, geograficamente parlando, ci riguarda da vicino. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha sbloccato dieci concessioni relative a 20 giacimenti per l’estrazione di gas metano, più uno esplorativo per la ricerca di petrolio, disseminati tra il sottosuolo emiliano, i fondali del mar Adriatico e il canale di Sicilia. I giacimenti di idrocarburi in sfruttamento da diversi decenni (c’è quasi un centinaio di piattaforme nell’Adriatico) si stanno infatti esaurendo e sono in corso da tempo le ricerche di nuovi.

L’intenzione dell’Eni, il colosso dell’energia a partecipazione statale, nel caso del nostro territorio, è quella di perforare il pozzo “Donata 4 Dir” fino a 1181 metri di profondità,  per estrarre gas metano del Campo Donata, al confine fra le Marche e l’Abruzzo. La decisione di Cingolani è una proroga di nuove concessioni, che finora erano state bloccate da una moratoria approvata nel 2019. A quel provvedimento sarebbe dovuto seguire il Pitesai, acronimo di Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, da approvare entro il 13 febbraio 2021 con lo scopo di individuare le aree idonee per lo svolgimento delle attività di estrazione di combustibili fossili da parte degli operatori. Ma nulla si è fatto finora e così gli iter autorizzativi sono ripartiti e la nuova scadenza del piano è stata rimandata al 30 settembre.

Più che di transizione ecologica, dovremmo parlare di finzione ecologica del nostro governo. Se davvero vogliamo abbattere le emissioni di gas serra, occorre fermare le nuove trivellazioni e smetterla di dire che il gas fossile è amico del clima perché è falso. Non abbiamo tempo da perdere con il greenwashing del ministro Cingolani e di Eni: chiediamo che in questo mare, e in nessun mare, ci sia più posto per le trivelleha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

Per capire il motivo per cui tale trivellazione costituirebbe un importante problema ambientale, facciamo un passo indietro. L’Agenzia europea per l’ambiente ha evidenziato come l’Adriatico viva una gravissima condizione ambientale, con una pressione insostenibile: tra le cause, proprio l’estrazione di idrocarburi (come ricordano le varie associazione ambientaliste e i Comuni interessati, nelle osservazioni al progetto).

Un problema essenziale, ricordano i critici, è legato al rischio di incidenti: se qualcosa va storto gli idrocarburi vengono rilasciati in mare e i danni all’ecosistema risultano irreparabili. Le perdite, a vario livello, di idrocarburi sono possibili durante tutto il ciclo di vita di una piattaforma: perforazione, estrazione e chiusura del pozzo. Inoltre il programma dell’uso di fluidi di perforazione prevede utilizzo di miscele di composizione di fatto ignota e, almeno per una parte della perforazione a base oleosa. Esistono anche in questo caso possibilità di dispersione oltre alla contaminazione delle acque sotterranee. Infine l’attività estrattiva comporta il rilascio di inquinanti (parliamo di metalli pesanti e Ipa, idrocarburi policiclici aromatici) ritrovati sia nei sedimenti che fra gli organismi viventi (pensiamo alla pesca).

Da non dimenticare poi che l’area di estrazione insiste su una zona d’attività sismica e l’estrazione di metano può creare le condizioni per il verificarsi di terremoti indotti sia per gli effetti della subsidenza (l’abbassamento del suolo) che per quelli delle variazioni delle pressioni su faglie esistenti. Il tutto in aree di elevatissimo valore ambientale ma anche litorali a fortissimo utilizzo turistico su cui si basa l’economia del territorio. Deturpare il paesaggio italiano per costruire trivelle certamente farà torcere il naso ai turisti, oltre che agli abitanti. La Sentina, la zona di fronte alla quale si vorrebbe costruire tale pozzo, è anche una Riserva Naturale in cui sono stati realizzati diversi progetti LIFE. Dovremmo preservare il patrimonio ambientale del territorio, non metterlo a repentaglio.

La riserva naturale Sentina

Ne vale la pena? Nel momento in cui utilizziamo i combustibili fossili, o idrocarburi, viene emessa anidride carbonica. La CO2 è uno dei principali gas serra, causa principale dei cambiamenti climatici. Tali gas presenti nell’atmosfera terrestre riescono a trattenere il calore del sole, non permettendogli di dispersi nello spazio e quindi provocando il surriscaldamento globale. Il metano rimane nell’atmosfera 12 anni, a differenza dei 500 anni dell’anidride carbonica; tuttavia, i danni a lungo termine sono decisamente maggiori: contribuisce al riscaldamento globale 25 volte più della CO2.

Peraltro petrolio da estrarre in Italia è stato definito dalla Legambiente di scarsa qualità, oltre che poco. I nostri fondali marini presentano circa 10 milioni di tonnellate di petrolio che, considerato il fabbisogno attuale, basterebbero per 8 settimane di consumo; quanto al gas invece le riserve si esaurirebbero in 6 mesi. Questo vuol dire che resteremmo comunque dipendenti dagli altri Paesi. È questa la ragione per cui pensiamo sia importante fermare le trivellazioni e puntare su un futuro nel quale le fonti di energia sono rinnovabili e ecosostenibili.

Dunque le ragioni per opporsi a Eni ci sono e sono anche tante.  Purtroppo, scaduti i tempi per il ricorso al Tar, non restava che, come ultima speranza, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.  A promuoverlo però oltre alla Provincia di Teramo, solo i Comuni di Martinsicuro, Alba Adriatica, Tortoreto e Pineto. l Comune di San Benedetto del Tronto, quello di Grottammare e quello di Cupra Marittima, dopo aver valutato la sinergia con le amministrazioni abruzzesi hanno rinunciato perché a loro parere non ci sarebbero i presupposti.

Di diverso avviso Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all’università di Teramo e tra i promotori del master “Diritto dell’Energia e dell’Ambiente” oltre che esponente in prima linea del referendum “No Triv” del 2016 (che non raggiunse il quorum). Uno degli argomenti giuridici è che, in sede di adozione del piano (il solito Pitesai), non è consentita la presentazione di nuove istanze per concessioni. E poi, “dalla documentazione non risulta così chiaramente, tuttavia è la stessa ENI che dichiara in un suo rapporto che questo pozzo verrà costruito entro le 12 miglia marine, questo non è possibile perché la legge lo vieta”. Infine, “il provvedimento”, si legge nel ricorso, “è stato adottato in paese violazione alle norme che richiedono l’acquisizione del parere delle Regioni interessate. Il Ministero, infatti, ha chiesto il parere alle Marche ma non all’Abruzzo, al quale non viene fatto alcun cenno”. Se a settembre avremo un piano che dirà dove si può e non si può trivellare, tutto ciò che verrà rilasciato da qui a quella data verrà fatto salvo. Non ci resta che aspettare l’esito del ricorso.

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