Nel 2014 la città di Matera è stata nominata Capitale Europea della Cultura per il 2021, anno in cui era di turno l’Italia. Bologna, Firenze e Genova sono le uniche altre città italiane che hanno avuto in precedenza questo riconoscimento istituito nel 1985.
L’attestazione di Capitale italiana della Cultura nasce invece proprio nel 2014 per l’anno 2015 come “premio di consolazione” alle altre cinque città finaliste insieme a Matera: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena. Poi è la volta di Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), Parma (2020, 2021 – due anni causa Covid), Procida (2022) e Bergamo/Brescia (2023). Nel 2019 Matera ha incorporato il doppio riconoscimento di Capitale Italiana ed Europea.
Ascoli Piceno ora si candida per l’anno 2024. In totale sono 24 le località, di tutte le regioni, che puntano per quell’anno all’obiettivo di Capitale Italiana della Cultura, alcune con comuni consorziati. Nelle Marche oltre ad Ascoli si propone anche Pesaro ed avere una concorrente di rilievo all’interno dello stesso territorio non è proprio una cosa positiva. Si sarebbe potuto avere l’appoggio dell’intera regione ed invece si procede, come spesso accade nei campanilismi marchigiani, non a ranghi compatti ma con percorsi separati. Del tutto casualmente l’amministrazione regionale parla lo stesso linguaggio politico di quella ascolana mentre a Pesaro si parla un’idioma diverso; ma questi sono retropensieri che non è detto abbiano ragion d’essere.
Il rischio, concreto, è che tra i due “litiganti” la capitale della cultura prenda una terza strada fuori dalle Marche.
Ma per essere Capitale Italiana della Cultura cosa occorre? La prima risposta è ovvia: occorre la cultura.
Qui si aprono vari scenari. In un bell’articolo, sempre su Ithaca (eccolo), Giorgio Tabani evidenziava come ad Ascoli ci siano numerose manifestazioni e vari festival di carattere culturale; talmente tanti da cannibalizzarsi l’un l’altro.
Queste iniziative godono (quasi) sempre di ospiti prestigiosi e di qualità che provengono da tutta Italia. Sono artisti, scrittori, intellettuali, personaggi che ripetono e fanno le stesse cose in decine di eventi analoghi. Quindi non attraggono fruitori di turismo culturale che non siano residenti o di paesi limitrofi. Non è la presenza dell’ospite illustre che crea cultura. Un evento fine a sé stesso, un appuntamento, anche ripetuto annualmente, in cui il pubblico torna a casa soddisfatto per aver visto da vicino un attore o un filosofo non può definirsi attività culturale. La cultura nasce da progetti presenti sul territorio tutto l’anno (ed alcune associazioni certamente lo fanno) e per essere proiettata in ambito nazionale ha bisogno di coerenza con la vocazione del territorio, ma anche di originalità, di supporto dal basso (i cittadini).
Il vero obiettivo, la vera sfida, non dovrebbe consistere nel diventare Capitale italiana della Cultura per un anno ma, più modestamente e proficuamente, essere Città della Cultura per sempre. E’ chiaro che ricevere un finanziamento di un milione di euro fa gola; è altrettanto ovvio che avere gli occhi puntati addosso per un anno intero sia importante per la città. Il rischio è che finito l’anno miracoloso poi si ricada nelle banalità del quotidiano. Cercando di fare contenti tutti (le varie associazioni e realtà culturali locali e non) alla fine le risorse si disperdono in mille rivoli che fatalmente inaridiscono.
Manca un’identità culturale che connoti in modo coerente e visibile il nostro capoluogo di provincia. Parafrasando Franco Battiato si potrebbe dire: “…cerco un centro d’identità permanente…”.